Data: 10/04/2019 19:30:00 - Autore: Annamaria Villafrate

di Annamaria Villafrate - In caso di fallimento del datore di lavoro, spetta al fondo di garanzia Inps il pagamento del Tfr? La recente ordinanza n. 9670/2019 (sotto allegata) della Cassazione, nel respingere il ricorso di un lavoratore che ha fatto domanda all'Inps per ottenere il pagamento del Tfr tramite il Fondo di garanzia, offre lo spunto per vedere che cos'è questo Fondo, come funziona, quando e a quali condizioni può essere utilizzato se il datore non paga come dovrebbe.

Cos'è il fondo di garanzia Inps per il Tfr

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Il Fondo di garanzia per il Tfr è istituito presso l'Inps. Questo strumento è stato creato per sostituirsi al datore di lavoro se costui risulti insolvente nel pagamento al proprio dipendente o ai suoi aventi diritto del Trattamento di fine rapporto. I pagamenti relativi al Tfr a carico del Fondo vengono eseguiti entro 60 giorni dalla domanda del lavoratore interessato. L'art 2 della legge n. 297/1982 contenente la "Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica" regolamenta il fondo di garanzia all'art. 2, che contempla due diverse ipotesi relative al datore di lavoro.

Datore sottoponibile a procedure fallimentari o liquidatorie

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Ai commi 2, 3 e 4 l'art 2 dispone in particolare che, se il datore è sottoposto a una delle procedure previste dalla legge fallimentare: "2) Trascorsi quindici giorni dal deposito dello stato passivo, reso esecutivo ai sensi dell'articolo 97 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero dopo la pubblicazione della sentenza di cui all'articolo 99 dello stesso decreto, per il caso siano state proposte opposizioni o impugnazioni riguardanti il suo credito, ovvero dalla pubblicazione della sentenza di omologazione del concordato preventivo, il lavoratore o i suoi aventi diritto possono ottenere a domanda il pagamento, a carico del fondo, del trattamento di fine rapporto di lavoro e dei relativi crediti accessori, previa detrazione delle somme eventualmente corrisposte. 3) Nell'ipotesi di dichiarazione tardiva di crediti di lavoro di cui all'articolo 101 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, la domanda di cui al comma precedente può essere presentata dopo il decreto di ammissione al passivo o dopo la sentenza che decide il giudizio insorto per l'eventuale contestazione del curatore fallimentare. 4) Ove l'impresa sia sottoposta a liquidazione coatta amministrativa la domanda può essere presentata trascorsi quindici giorni dal deposito dello stato passivo, di cui all'articolo 209 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero, ove siano state proposte opposizioni o impugnazioni riguardanti il credito di lavoro, dalla sentenza che decide su di esse."

Datore di lavoro non suscettibile di fallimento o altre procedure liquidatorie

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Qualora invece il datore di lavoro non rientri tra i soggetti passibili di fallimento o altre procedure liquidatorie e non provveda al pagamento del Tfr, o vi adempie solo in parte, in caso di risoluzione del rapporto, il dipendente o i suoi aventi diritti possono rivolgersi al Fondo di garanzia dell'Inps "sempreche, a seguito dell'esperimento dell'esecuzione forzata per la realizzazione del credito relativo a detto trattamento, le garanzie patrimoniali siano risultate in tutto o in parte insufficienti. Il fondo, ove non sussista contestazione in materia, esegue il pagamento del trattamento insoluto."

Inps non deve pagare il Tfr se il lavoratore non si attiva per recuperarlo

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Ora, abbiamo visto che il lavoratore è tenuto ad attivarsi contro il proprio datore. Il Fondo infatti interviene solo se il datore non ha provveduto al pagamento del Tfr perché sottoposto alle procedure previste dalla legge fallimentare o perché le garanzie patrimoniali di cui dispone risultano insufficienti o addirittura assenti.

La Cassazione con l'ordinanza n. 9670/2019 ribadisce proprio questi principi respingendo il ricorso di un lavoratore che:

  • non si era insinuato nel fallimento della società;
  • non aveva neppure tentato il pignoramento nei confronti del datore di lavoro debitore.

A nulla vale la giustificazione del lavoratore di non essersi insinuato nel fallimento del datore per la sua incolpevole ignoranza dell'apertura della procedura fallimentare. Come precisa la Corte, infatti "la legge fallimentare contiene una serie di disposizioni che assicurano ai terzi la possibilità di conoscenza in relazione ai diversi atti del procedimento e svolgono, quindi, la funzione di una vera e propria pubblicità dichiarativa."

Comunque anche "nel caso in cui il lavoratore non dimostri di essere stato ammesso al passivo del fallimento e tale ammissione sia resa impossibile dalla chiusura della procedura fallimentare per insufficienza dell'attivo prima dell'esame di una domanda tardiva di insinuazione, il lavoratore è tenuto a procedere ad esecuzione forzata nei confronti del datore di lavoro tornato in bonis." Azione esecutiva che, rilevano gli Ermellini, non è stata intrapresa, ragion per cui non poteva rivolgere domanda all'Inps per ottenere il pagamento del suo Trf attingendo al Fondo di Garanzia.

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