Data: 16/04/2019 20:00:00 - Autore: Francesco Pandolfi
Avv. Francesco Pandolfi - Nel caso in cui un'azienda, con il dichiarato intento di preservare a tutti i costi un posto di lavoro pur essendo venuta meno la posizione lavorativa espletata ab origine dal dipendente, di fatto faccia proseguire il rapporto di lavoro svuotando però per anni completamente le mansioni, viene condannata al risarcimento del danno da demansionamento. E' quanto verificatosi nel caso trattato e deciso dalla Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 10023/2019 (sotto allegata).

Il caso

Un caso, è bene precisarlo, che ha qualche anno.
La Corte giunge a dire: la privazione totale delle mansioni non può essere un'alternativa al licenziamento; la disciplina delle mansioni all'epoca vigente (parliamo di un giornalista addetto all'ufficio stampa, privato delle mansioni dal 2005 fino al momento del licenziamento) avrebbe consentito l'attribuzione al lavoratore, con il suo consenso, di mansioni inferiori, nel caso in cui questa scelta fosse stata l'unica in grado di preservare l'occupazione, ma non il mantenimento di un rapporto vuoto e, dunque, del tutto privo di contenuti professionali.

I tre gradi di giudizio

Una causa lunga, che si è snodata su tre gradi di giudizio.
In primo grado il Tribunale ha condannato l'azienda al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale da demansionamento, dal momento che il dipendente era stato privato delle mansioni in modo assoluto.
In appello la Corte ha confermato la sentenza del giudice di prime cure; quindi la Corte di Cassazione, come anticipato, ha respinto il ricorso dell'azienda.

Posto cancellato, si può licenziare ma non demansionare

La soppressione della posizione lavorativa obbliga il datore all'assegnazione di mansioni equivalenti, se disponibili nonché, quando c'è consenso, anche di mansioni c.d inferiori.
Laddove, invece, risulti impossibile assolvere a tanto, si versa automaticamente nell'ipotesi del giustificato motivo oggettivo di licenziamento ma non del demansionamento.
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