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Data: 06/05/2019 12:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate Annamaria Villafrate - E' proprio di questi giorni la notizia uscita sulla cronaca torinese del quotidiano "La Repubblica" di una banda di ladri che, dopo aver messo a segno i furti notturni all'interno di circa 80 abitazioni, si facevano un selfie con accanto le povere vittime dormienti nei loro letti, ignare di ciò che era appena accaduto. L'ossessione per i selfie insomma non scoraggia neppure i malviventi, i quali non sanno forse che in molti casi i giudici hanno riconosciuto a queste foto valore probatorio pieno. Vediamo quindi quali sono i casi più significativi della giurisprudenza che hanno ad oggetto i selfie e quanto possono costare la vanità e la superficialità in un'aula di tribunale:
Un selfie può costare il licenziamento?[Torna su]
Il Tribunale di Bergamo con la sentenza n. 684/2016 accoglie il ricorso di un dipendente avverso il licenziamento del datore, comminato per aver pubblicato su Facebook un selfie postato sulla bacheca del suo profilo social di Facebook, che lo ritraeva abbracciato al fratello, che sfoggiava un vistoso tatuaggio su un braccio molto robusto, entrambi con in mano una pistola. Il licenziamento in questo caso è stato scongiurato perché considerato una misura eccessiva. In casi del genere, se non viene meno il rapporto fiduciario tra dipendente e datore e se il fatto non ha ripercussioni sull'attività lavorativa, non c'è ragione di applicare immediatamente la misura più estrema. Sarebbe stato sufficiente, come indicato dal Giudice di primo grado, l'irrogazione della sanzione disciplinare. Sulla stessa linea interpretativa la sentenza del Tribunale di Milano n. 2203/2018 (sotto allegata) che ha risparmiato il licenziamento a un lavoratore che, durante l'orario di lavoro si è interrotto per farsi dei selfie con due colleghe. Anche il questo caso il giudice ha ritenuto la condotta, pur integrando una violazione degli obblighi contrattuali, non fosse così grave da giustificare la risoluzione del rapporto di lavoro. Processo da rifare per uno spacciatore che invia un selfie alla sua "vittima"[Torna su]
E' sempre un selfie a dimostrare l'avvenuto viaggio in corriera di uno spacciatore e di una delle sue vittime, morto qualche ora dopo. La Cassazione penale n. 1317/2019 (sotto allegata) riporta che "L'esame autoptico cui il giovane era stato sottoposto aveva accertato la causa della morte (…) in "insufficienza cardio respiratoria acuta, secondaria ad intossicazione acuta da metadone." Il dubbio che l'imputato abbia fornito alla povera vittima la sostanza stupefacente che lo ha condotto alla morte è stato un messaggio di ringraziamento "generico" del tossicodipendente a cui lo spacciatore ha risposto inviando un selfie che li ritraeva insieme su una corriera. La Cassazione non ha messo in dubbio la valenza probatoria del selfie, anche se alla fine del giudizio, per tutta una serie d'incongruenze ha annullato parzialmente la sentenza impugnata, rinviando a un altra sezione della Corte d'Appello per un nuovo processo. Costringere la fidanzatina a selfie erotici integra il reato di pedopornografia[Torna su]
Condannato per il reato di pedopornografia minorile invece un ragazzo che, coartando attraverso la manipolazione psicologica la fidanzatina, l'ha costretta a farsi dei selfie che la ritraevano nuda o intenta in atti di autoerotismo. La richiesta d'invio sul cellulare della madre e il successivo inoltro delle foto ad un amico su Facebook sono costati all'imputato 18 mila euro di multa e tre anni di reclusione (Cassazione penale n. 39039/2018). Selfie dell'amante? Provano l'infedeltà del marito[Torna su]
Moglie prova l'infedeltà del marito in un giudizio di separazione grazie ad alcuni selfie dell'amante che la ritraevano in abbigliamento intimo, trovati per caso in una chat di gruppo Whatsapp. In questo caso il seflie ha rappresentato la prova chiave del tradimento e la violazione dell'obbligo di fedeltà coniugale, come appurato dal Tribunale di Genova nella sentenza n. 1187/2018 (sotto allegata). |
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