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Data: 21/04/2019 18:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate di Annamaria Villafrate - Non è condivisibile per la Cassazione n. 16138/2019 (sotto allegata) l'interpretazione soggettiva di un padre ed ex marito che ritiene di assolvere il proprio dovere di mantenimento nei confronti del figlio, pagando il mutuo della casa in cui vive. L'accollo del mutuo infatti non equivale a corrispondere l'assegno di mantenimento. Configura quindi reato tale condotta, anche perché l'imputato non ha provato la sua impossibilità a provvedere a dette obbligazioni. La vicenda processualeUn padre viene condannato dalla Corte d'Appello, che modifica la sentenza di primo grado, per violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o scioglimento del matrimonio di cui all'art 570 bis c.p. L'imputato ricorre quindi in Cassazione contestando la sentenza di secondo grado per i seguenti motivi:
Pagare il mutuo non equivale a corrispondere il mantenimento al figlioLa Cassazione però, con la sentenza n. 16138/2019 ritiene il ricorso dell'imputato inammissibile. La Corte d'Appello ha infatti "dato conto della ritenuta attendibilità e credibilità della persona offesa, evidenziando, altresì, come non sussistano ragioni per sostenere che la stessa abbia dichiarato il falso circa il mancato pagamento delle spese straordinarie essendo, invece, verosimile che l'imputato abbia trascurato di fare fronte a dette spese analogamente a quanto fatto per l'assegno di mantenimento." La Corte d'Appello ha pertanto ritenuto infondate le doglianze relativa al pagamento del mutuo, precisando come l'accollo di queste spese non può considerarsi come pagamento del mantenimento in via alternativa. L'illecito penale quindi non viene meno. Il giudice di secondo grado inoltre ha correttamente rilevato come la vendita dell'attività e il fallimento della società amministrata dall'imputato non sono elementi da cui si poteva desumere l'impossibilità ad adempiere il proprio obbligo di mantenimento, rilevando altresì, come il giudice di primo grado avesse già rilevato l'assenza di un quadro probatorio che potesse deporre in tale senso. Il giudice d'appello in sostanza si è quindi attenuto alla costante interpretazione della Cassazione, visto che: "incombe sull'interessato l'onere di allegare gli elementi dai quali possa desumersi l'impossibilità di adempiere all'obbligazione. Affinché la condotta possa ritenersi scriminata non vale la dimostrazione della mera flessione degli introiti economici o la generica allegazione di difficoltà economiche o la semplice indicazione dello stato di disoccupazione, ma è necessario fornire una dimostrazione rigorosa di una vera e propria impossibilità assoluta … persistente, oggettiva e incolpevole ...". |
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