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Data: 21/04/2019 17:00:00 - Autore: Paolo Palmieri Avv. Paolo Palmieri - L'art. 33, comma 5, della l. n. 104/92 disciplina il diritto del genitore o del familiare lavoratore, che assiste con continuità un portatore di handicap, di scegliere la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio. Pur non atteggiandosi a diritto assoluto ed illimitato, il diniego del datore di lavoro non può basarsi su una generica argomentazione fondata semplicemente sulla carenza di personale nell'ufficio di provenienza, ma occorre giustificarlo con le concrete ragioni riferite alle mansioni svolte dal dipendente e al suo profilo professionale, che impediscano l'assegnazione temporanea ad altro ufficio, precisando le effettive conseguenze negative di tale trasferimento sull'efficienza del servizio. A ribadirlo, recentemente, è stato il Tribunale di Milano con due importanti decisioni.
La disciplina dell'art. 33, comma 5, della l. n. 104/92[Torna su]
L'art. 33, comma 3, l. 104/92 dispone che: "A condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa …". Il successivo comma 5, dirimente nel caso in esame, dispone che "Il lavoratore di cui al comma 3 ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede". Quest'articolo ha subito diverse modifiche nel corso degli anni, alle quali si è unita anche una interpretazione giurisprudenziale dell'istituto progressivamente ampliata nel tempo. La norma in questione tutela lo stato di convivenza del dipendente (pubblico o privato) con un soggetto affetto da handicap grave che venga assistito con continuità dal primo. Inizialmente, la ratio della norma era quella di conservare il rapporto di assistenza e convivenza tra il dipendente ed il soggetto affetto da handicap, ma non anche di crearlo, se non prima sussistente, o comunque di ripristinarlo qualora fosse stato successivamente interrotto; in ogni caso non consentiva in alcun modo il trasferimento da una sede all'altra che trovasse una sua giustificazione nell'art. 33 l. 104/92. Successivamente, proseguendo nella sua attività interpretativa, la Corte di Cassazione (cfr. da ultimo Cass. n. 6150 del 1.3.2019) ha raggiunto un granitico orientamento secondo il quale la disposizione in esame risulta applicabile anche alla scelta della sede di lavoro fatta nel corso del rapporto, attraverso la domanda di trasferimento; e che non richiede la preesistenza dell'assistenza in favore del familiare rispetto alla scelta della sede lavorativa in quanto al lavoratore è riconosciuto il diritto di "scegliere la sede di lavoro" più vicina al "domicilio della persona da assistere": non è quindi richiesto che in passato l'avesse già assistita. Altro snodo fondamentale è stata la sentenza n. 15873 del 20.9.2012, con la quale la Suprema Corte ha precisato che: "… l'inciso "ove possibile " va interpretato nel senso della necessità di effettuare una valutazione degli interessi contrapposti che vanno bilanciati; l'esercizio del diritto del lavoratore non può essere esercitato in danno dell'interesse del datore alle esigenze economiche, produttive ed organizzative dell'impresa; tuttavia grava sul datore di lavoro l'onere di provare che l'esercizio del diritto del lavoratore incida in maniera consistente sugli interessi dell'impresa". Le decisioni del Tribunale di Milano[Torna su]
Su tali basi, con due decisioni rese a pochi mesi di distanza l'una dall'altra, il Tribunale di Milano ha riaffermato con forza la prevalenza del diritto nella scelta del luogo di lavoro da parte del dipendente pubblico che assiste un portatore di handicap grave, a fronte della generica argomentazione fondata semplicemente sulla carenza di personale nell'ufficio di provenienza. Entrambe le decisioni sono scaturite da ricorsi d'urgenza ex art. 700 c.p.c. proposti da due assistenti giudiziari, appartenenti dunque al personale dipendente del Ministero della Giustizia; entrambi lamentavano il mancato accoglimento della richiesta di trasferimento in un Tribunale più vicino al familiare convivente portatore di handicap grave. Nel primo caso il Collegio del Tribunale di Milano - Sez. Lavoro, con l'ordinanza n. 30851/2018, pronunciandosi su un reclamo avverso un provvedimento di rigetto di un ricorso d'urgenza, ha ribaltato la decisione reclamata ed accolto le richieste dell'assistente giudiziario. Quest'ultimo aveva adempiuto al proprio onere probatorio dimostrando la vacanza di organico presso i Tribunali del Distretto della Corte d'Appello di Napoli, non essendo prevalente, sulle esigenze ex l. 104/92, la copertura in via prioritaria da parte degli idonei al concorso ad 800 posti di assistente giudiziario; che, di converso, finirebbe per svuotare completamente di contenuto e di efficacia concreta il disposto di cui all'art. 33. Questo perché le posizioni giuridiche soggettive in capo agli interessati, proprio per il loro fondamento costituzionale e di diritto sovranazionale, sono qualificabili come diritti soggettivi (e non interessi legittimi) delimitabili solo tramite un adeguato bilanciamento di interessi da parte con onere probatorio in capo al datore di lavoro. Il Collegio, dunque, preso atto che la scopertura di organico post-concorso da 800 posti continuava ad essere maggiore nel Distretto della Corte d'Appello di Napoli, e rilevato che l'Amministrazione non aveva concretamente motivato le esigenze organizzative e produttive prioritarie presso il Distretto di Milano, ha accolto il reclamo ed ordinato al Ministero di provvedere immediatamente al trasferimento. Nel secondo caso è stato il giudice di prime cure ad accogliere il ricorso d'urgenza presentato da un'assistente giudiziario, per il trasferimento in una sede più vicina al luogo di assistenza del familiare portatore di handicap. Anche nel caso di specie le condizioni dell'assistito si erano aggravate ed il dipendente pubblico era l'unico che poteva provvedere alle sue esigenze; e, soprattutto, anche in questo caso l'assistente giudiziario aveva assolto al proprio onere probatorio dimostrando la vacanza di personale presso le sedi di destinazione. Per tali ragioni, con l'ordinanza n. 9366/2019, il Tribunale di Milano ha condannato il Ministero della Giustizia a trasferire immediatamente il ricorrente presso un Tribunale più vicino al familiare portatore di handicap. Conclusioni[Torna su]
L'art. 33, comma 5, l. n. 104 del 1992, deve essere interpretato sempre in termini costituzionalmente orientati, alla luce dell'art. 3 Cost., comma 2, dell'art. 26 della Carta di Nizza e della Convenzione delle Nazioni del 13.12.2006 sui diritti dei disabili, ratificata con l. n. 18 del 2009, in funzione della tutela della persona disabile. Queste posizioni giuridiche soggettive di rilievo costituzionale, possono essere contemperate esclusivamente con altri valori ed interessi di medesimo rilievo. In altre parole il lavoratore che assiste con continuità un portatore di handicap ha diritto di scegliere la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, a meno che, alla stregua di un equo bilanciamento tra tutti gli implicati interessi costituzionalmente rilevanti, il suo esercizio non finisca per ledere in maniera consistente le esigenze economiche, produttive od organizzative del datore di lavoro e per tradursi – soprattutto nei casi in cui si sia in presenza di rapporto di lavoro pubblico – in un danno per l'interesse della collettiva; ma solo ove tali esigenze siano adeguatamente provate dal datore di lavoro, e non eccepite solo genericamente. |
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