Data: 19/04/2019 09:00:00 - Autore: Valeria Zeppilli

di Valeria Zeppilli – Il ritardo nella diagnosi di una malattia può cagionare molteplici danni risarcibili e non solo un pregiudizio all'integrità fisica del paziente, privato della possibilità di guarire o di condurre un'esistenza migliore e più lunga fino all'esito inevitabilmente fatale.

La questione, non sempre chiara, è stata oggetto della sentenza numero 10424/2019 della Corte di cassazione (qui sotto allegata), che su di essa si è soffermata ampiamente, precisando bene qual è l'area dei danni risarcibili in presenza di colpevoli ritardi nella diagnosi di patologie a esito infausto.

Il diritto di determinarsi liberamente

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In particolare, a venire in rilievo è il diritto del paziente di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali e di scegliere, quindi, come affrontare l'ultimo tratto del proprio percorso di vita.

Si tratta di un diritto che, come affermato dalla Corte sia nella sentenza numero 10424/2019 che nella precedente ordinanza numero 7260/2018, merita tutela "al di là di qualunque considerazione soggettiva sul valore, la rilevanza o la dignità, degli eventuali possibili contenuti di tale scelta".

La scelta delle alternative assistenziali

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In altre parole il ritardo diagnostico, oltre che il danno all'integrità fisica del paziente, può determinare "la perdita di un "ventaglio" di opzioni, con le quali affrontare la prospettiva della fine ormai prossima".

Ci si riferisce, in particolare, alla scelta di attivare celermente una certa strategia terapeutica, alla determinazione per la ricerca di alternative meramente palliative, ma anche alla decisione di vivere le ultime fasi della propria esistenza accettando in maniera cosciente e consapevole la sofferenza e il dolore fisico.

Citando "una delle voci più alte della letteratura del 900", la Cassazione ha affermato che si tratta dell'esigenza "dell'essere umano di 'entrare nella morte ad occhi aperti'".

Protezione normativa

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Del resto, ricorda la Corte, una tale autodeterminazione del paziente non è "priva di riconoscimento e protezione sul piano normativo, e ciò qualunque siano le modalità della sua esplicazione".

Il riferimento, in particolare, va alla legge numero 38/2010, finalizzata alla tutela e alla promozione della qualità della vita fino al suo termine, e alla legge numero 219/2017, che detta le norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento.


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