Data: 27/04/2019 22:00:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - In sede di revisione delle condizioni di divorzio il giudice dovrà dare rilevanza ai soli fatti nuovi sopravvenuti dopo la cessazione degli effetti civili del matrimonio e non potrà, invece, valutare condizioni precedenti la pronuncia. Inoltre, quanto ai criteri di calcolo, bisognerà tenere conto delle novità introdotte dalla sentenza n. 18287/2018 delle Sezioni Unite che ha rivisto i criteri trentennali in materia.

Sono i principi che emergono da due recenti provvedimenti emessi dalla prima sezione civile della Corte di Cassazione, n. 11177 e n. 11178 del 2019 (entrambe qui sotto allegate) che si è pronunciata in relazione a vicende inerenti l'assegno di divorzio.

Revisione assegno divorzio può investire sia l'an che il quantum

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Nella prima vicenda, gli Ermellini forniscono considerazioni di carattere generale riguardanti l'ambito della possibile revisione ex art. 9 della legge n. 898/1970 delle statuizioni contenute in una sentenza di divorzio passata in cosa giudicata e il modus operandi del giudice che di tale richiesta venga investito.

La Cassazione rammenta che, ai sensi dell'art. 9 cit. (come modificato dall'art. 2 della L. n. 436/1978 e dell'art. 13 della L. n. 74/1987), le sentenze di divorzio passano in cosa giudicata "rebus sic stantibus" rimanendo cioè suscettibili di modifica, quanto ai rapporti economici o all'affidamento dei figli, in relazione alla sopravvenienza di fatti nuovi, mentre la rilevanza dei fatti passati e delle ragioni giuridiche non addotte nel giudizio che vi ha dato luogo rimane esclusa in base alla regola generale secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile (cfr. Cass n. 2953/2017).

Pertanto, la revisione dell'assegno divorzile postula l'accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attribuivo dell'assegno secondo una valutazione comparativa delle condizioni suddette di entrambe le parti.

A tal fine, il giudice adito non potrà procedere a una nuova e autonoma valutazione dei presupposti e dell'entita dell'assegno sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in sede di sentenza divorzile.

Egli, invece, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento dell'attribuzione dell'emolumento, dovrà limitarsi a verificare se e in quale misura le circostanze sopravvenute e provate dalle parti abbiano alterato l'equilibrio cosi raggiunto e ad adeguare l'importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale reddituale accertata. Tali principi evidenziano che la revisione ex art. 9 cit. della statuizione concernente l'assegno divorzile può investirne sia l'an che il quantum.

Il riconoscimento dell'assegno di divorzio dopo le Sezioni Unite

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Con l'ordinanza n. 11178/2019, invece, il Palazzaccio si è soffermato sulle regole per il calcolo dell'assegno divorzile alla luce del provvedimento (n. 18287/2018) con cui le Sezioni unite civili hanno sancito il definitivo abbandono del mantenimento del tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio, per quasi trent'anni, era stato utilizzato dalla giurisprudenza
Il Supremo Consesso ha sancito che, al fine di stabilire se, ed eventualmente in quale entità, debba essere riconoscersi l'invocato assegno divorzile, il giudice, in primo luogo procede alla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, anche a mezzo dell'esercizio dei poteri ufficiosi.
Qualora risulti l'inadeguatezza dei mezzi del richiedente, o, comunque, l'impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive, il giudice dovrà accertarne rigorosamente le cause, alla stregua dei parametri indicati dall'art. 5, comma 6, prima parte, della legge n. 898/1970, e, in particolare, se quella sperequazione sia o meno la conseguenza del contributo fornito dal richiedente medesimo alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei due, con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali, in relazione all'età dello stesso ed alla durata del matrimonio.
Infine, il giudice quantifica l'assegno rapportandolo non al pregresso tenore di vita familiare, né al parametro della autosufficienza economica, ma in misura tale da garantire all'avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo sopra richiamato.

Le conseguenze sui processi in corso

Il collegio si sofferma altresì sule conseguenze dell'intervento delle Sezioni Unite sui processi in corso, dal momento che il nuovo indirizzo interpretativo non comporta soltanto una diversa valutazione giuridica di un quadro fattuale inalterato, essendo facilmente intuibile che l'applicazione di una regola giuridica funge anche da griglia di selezione delle allegazioni dei fatti rilevanti (e, conseguentemente, delle prove).
Se è vero che la legge sulle condizioni per la concessione dell'assegno di divorzio è rimasta immutata, spiega la Corte, è parimenti innegabile che ne è stata profondamente innovata l'interpretazione per effetto del diritto vivente creato dalla nuova giurisprudenza delle Sezioni Unite, sicchè per non discostarsi da esso, dovranno utilizzarsi i criteri indicati dall'art. 5 della legge n. 898/1970, interpretando la norma secondo le indicazioni del diritto vivente che in quella sentenza hanno trovato la propria fonte per dare all'assegno la nuova funzione compensativa e perequativa che gli compete.
Pertanto, nei giudizi di divorzio ancora pendenti al momento della pubblicazione della sentenza n. 18287, verrà data alla norma la sua giusta applicazione; il giudizio di legittimità, invece, non può essere la sede per ulteriormente accertare se tale conclusione possa, o meno, trovare applicazione anche nei giudizi di revisione proposti, ex art. 9 della medesima legge, per adeguare l'assegno divorzile alle mutate condizioni economiche delle parti. Nel caso in esame, dunque, si rinvia alla Corte d'Appello per il corrispondente nuovo esame alla stregua dei menzionati principi.

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