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Data: 01/05/2019 23:00:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - Il provvedimento che nega l'asilo politico al migrante dovrà accertare l'assenza di pericolo nel Paese di provenienza. È essenziale che i magistrati rifuggano da formule generiche e stereotipate, mentre sarà indispensabile che vengano specificate le fonti in base alle quali è stato svolto l'accertamento richiesto. Non sarà all'uopo sufficiente il generico riferimento a "fonti internazionali" che attesterebbero l'assenza di conflitto nel paese d'origine del migrante che chiede di restare in Italia in quanto in patria rischia la vita.
La vicenda[Torna su] Lo ha precisato la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, nell'ordinanza n. 11312/2019 (qui sotto allegata), esortando i magistrati a evitare motivazioni che contengano richiami generici alla situazione del Paese d'origine dei richiedenti asilo in base a vaghe fonti internazionali, procurandosi, invece, informazioni aggiornate. In base a tale motivazione, gli Ermellini hanno accogliendo il ricorso di un migrante pakistano che si era visto negare dalla Commissione prefettizia di Lecce e poi dal Tribunale della stessa città, il diritto a restare in Italia essendo stata respinta la sua domanda di protezione internazionale Tuttavia, la difesa del ricorrente ritiene che il giudice a quo abbia valutato la domanda di protezione sussidiaria in base a generiche informazioni sulla situazione interna del Pakistan, senza considerazione completa delle prove disponibili e senza corretto esercizio dei poteri officiosi. Protezione internazionale: va accertata la situazione reale del paese di provenienza[Torna su] Una doglianza che la Cassazione ritiene fondata. Dal decreto del Tribunale, evidenzia la Corte, emerge che, tra l'altro, era stata chiesta la protezione sussidiaria sul fondamento della condizione di pericolo di danno di cui all'art. 14, lett. c), del d.lgs. n. 251/2007 (violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato determinativa di minaccia grave alla vita o alla persona). Come già chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (per tutte Cass. n. 17069/2018), ai fini dell'accertamento della fondatezza o meno di una simile domanda di protezione internazionale, il giudice del merito è tenuto, ai sensi dell'art. 8, terzo comma, del d.lgs. 25/2008, a un dovere di cooperazione che gli impone di accertare la situazione reale del paese di provenienza. Ciò avviene attraverso l'esercizio di poteri-doveri officiosi d'indagine e di acquisizione documentale, peraltro derivanti anche dall'adozione del rito camerale, in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente Ciò vale in particolare quando lo straniero che ha chiesto il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all'onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto: in tal caso, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d'ufficio se, e in quali limiti, nel Paese di origine dell'istante si registrino fenomeni di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano i civili a minaccia grave e individuale alla vita o alla persona. Niente formule generiche e stereotipate[Torna su] Affinché tale onere di cooperazione risulti adempiuto, spiegano dal Palazzaccio, è essenziale che il giudice del merito "rifugga da formule generiche e stereotipate, e specifichi soprattutto sulla scorta di quali fonti abbia provveduto a svolgere l'accertamento richiesto". In mancanza di una simile specificazione, si legge nel provvedimento "sarebbe vano discettare di avvenuto concreto esercizio di un potere di indagine aggiornato". Nel caso in esame, dunque, l'accertamento non può ritenersi adeguatamente svolto poiché il Tribunale si è limitato all'apodittica considerazione che "come riportano le fonti internazionali (..) la situazione di conflitto e rischio generalizzato riguarda in particolare altre zone (...)". Per la Cassazione il riferimento alle "fonti internazionali", senza migliore specificazione, non è sufficiente allo scopo. Il decreto va dunque cassato e la causa rinviata al Tribunale di Lecce che, in diversa composizione, effettuerà un nuovo esame sull'istanza del richiedente asilo. Il verdetto della Corte di legittimità, tuttavia, non manca di avere un peso rilevante sulle procedure per il riconoscimento delle richieste di asilo, spianando la strada altresì a futuri ricorsi in relazione alla concessione dei permessi.
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