Data: 04/05/2019 14:00:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - Il soggetto coinvolto in una zuffa non può invocare la legittima difesa se ha partecipato allo scontro per vendicarsi, ovvero animato, a sua volta, da una volontà aggressiva nei confronti dell'altro. In sostanza, non si configura l'esimente nei confronti del soggetto che ha contribuito a determinare la situazione di pericolo.

La vicenda

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Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, nella sentenza n. 17787/2019 (qui sotto allegata. Gli Ermellini hanno negato l'applicazione dell'esimente a un cittadino italiano coinvolto in una rissa con un cittadino extracomunitario: il primo era stato condannato per lesioni personali, l'altro per percosse.

Da qui il ricorso in Cassazione nel quale il cittadino italiano si duole della mancata applicazione della scriminante della legittima difesa, pur essendo emerso, dalle prove assunte, che lui era stato aggredito dall'altro, il quale aveva dato inizio alla colluttazione, e si era limitato a reagire all'aggressione con una difesa proporzionata all'offesa.

Legittima difesa e scontro tra due soggetti

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Un ricostruzione che viene respinta dai giudici di legittimità. La configurabilità dell'esimente della legittima difesa, spiega la Cassazione, deve escludersi nell'ipotesi in cui lo scontro tra due soggetti possa essere inserito in un quadro complessivo di sfida giacché, in tal caso, ciascuno dei partecipanti risulta animato da volontà aggressiva nei confronti dell'altro.

Quindi, indipendentemente dal fatto che le intenzioni siano dichiarate o siano implicite al comportamento tenuto dai contendenti, nessuno di loro può invocare la necessità di difesa in una situazione di pericolo che ha contribuito a determinare e che non può avere il carattere della inevitabilità.

Niente legittima difesa se l'altro ha reagito per vendicarsi

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Nel caso di specie, dalla ricostruzione del fatto operata dal giudice a quo era emerso che la zuffa era stata iniziata dall'altro. Tuttavia, dopo essere stato aggredito ed essere caduto a terra, il ricorrente, allo scopo di vendicarsi, ha a sua volta attaccato ripetutamente e con grande aggressività il rivale, riuscendo a colpirlo e cagionandogli lesioni personali.
In pratica, l'imputato ha colpito l'avversario non perché costretto dalla necessità di difendersi e per evitare di essere picchiato, ma perché animato dal proposito di vendetta e dunque allo scopo di aggredirlo a sua volta e in tal modo punirlo per l'aggressione ricevuta.
In tale situazione, in applicazione del principio sopra esposto, deve escludersi la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 52 c.p. e, conseguentemente non opera la scriminante, invocata dal ricorrente. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

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