Data: 07/05/2019 09:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate

di Annamaria Villafrate - Un emoticon, per giudici, può cambiare il tono di una conversazione e le sorti di una causa di lavoro. Il Tribunale di Parma con la sentenza n. 237/2019 (sotto allegata) ha infatti accolto le ragioni di una lavoratrice, accusata dal datore di averlo insultato nel corso di una conversazione in chat tra colleghe. Il Giudice ha precisato prima di tutto che questo tipo di conversazione è privata e segreta e come tale da tutelare ai sensi dell'art 15 della Costituzione. In secondo luogo è necessario sempre contestualizzare il tono della conversazione. In effetti, in questo caso, le critiche rivolte al datore, proprio per il ricorso agli emoticon erano da considerarsi canzonatorie, non offensive.

Gli emoticon trasformano l'insulto in una burla

Una lavoratrice addetta alla cucina impugna il licenziamento intimatole dal suo datore di lavoro. Secondo il capo la dipendente merita il licenziamento "per aver proferito in non meglio precisate specificate conversazioni Whatsapp "pesanti offese personali … utilizzando espressioni come "se tutte un giorno poi non ci presentiamo voglio vedere che fa poi", "Lo denuncio pure", "Sempre più schifata sono", "È strunx", "Un marito così mi sarei già impiccata", "Se è così spero che a lui e alla moglie gli venga un brutto quarto d'ora", "Questo è mobbing".

Il Tribunale di Parma, in linea con la Cassazione sul tema delle diffamazioni all'interno di chat riservate, ritiene prima di tutto che tali conversazioni devono considerarsi private e come tali da tutelare ai sensi dell'art. 15 della Costituzione, che sancisce il principio di segretezza della corrispondenza.

Alla luce di questo principio, le critiche rivolte al datore devono essere ricondotte al legittimo diritto di critica sancito dall'art. 21 della Costituzione. Il fatto poi che gli sfoghi, i commenti e le critiche all'ambiente, alle condizioni e al datore di lavoro fossero intervallate da emoticon e battute ne dimostrano l'intento spiritoso, non denigratorio.

Emoticon affettuosi del datore escludono la vessatorietà

La sentenza del Tribunale di Parma, come quella di Roma del 12 marzo 2018 (sotto allegata), attribuisce un valore comunicativo assai rilevante agli emoticon. In questa vicenda però l'uso delle faccine ha "scagionato" il datore di lavoro, accusato da una dipendente di condotta vessatoria.

Il Giudice romano ha infatti ritenuto che lo scambio, tra datore e dipendente, di messaggi dal tono affettuoso e confidenziale dovuto anche all'impiego degli emoticon, denotava un rapporto basato sulla confidenza, familiarità e cortesia, in cui non poteva ravvisarsi una condizione di soggezione psicologica o disagio della dipendente.


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