Data: 15/05/2019 17:00:00 - Autore: Marco Sicolo
Avv. Marco Sicolo - Nel corso di un processo può accadere che l'attore valuti opportuno chiudere anzitempo la controversia, senza giungere alle fasi conclusive del procedimento.

A tal fine, egli ha la possibilità di rinunciare agli atti del processo, secondo quanto disposto dall'art. 306 c.p.c., oppure di rinunciare all'azione. Entrambe queste opzioni comportano l'estinzione anticipata del procedimento, ma differiscono sotto alcuni importanti aspetti.

Differenze tra rinuncia agli atti e rinuncia all'azione

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La principale differenza tra le due soluzioni in esame risiede nella possibilità, o meno, di riproporre successivamente la medesima domanda giudiziale.

Con la rinuncia agli atti, infatti, l'attore mantiene la facoltà di agire nuovamente in un successivo giudizio per la tutela dello stesso diritto, anche se, ovviamente, gli atti del processo estinto perdono ogni efficacia. Se, però, la rinuncia agli atti interviene in appello, essa comporta il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.

La rinuncia all'azione, invece, integra un vero e proprio atto di disposizione del diritto azionato ed equivale, nella sostanza, ad un rigetto nel merito delle pretese attoree. Pertanto, tale rinuncia comporta la preclusione a far valere in un successivo giudizio le medesime ragioni con una nuova domanda.

Forma della rinuncia. Necessità dell'accettazione

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Mentre per la rinuncia agli atti è sufficiente disporre della procura alle liti, la rinuncia all'azione, in quanto atto di disposizione del diritto, presuppone il rilascio di un mandato ad hoc, che attribuisca al difensore tale specifico potere (cfr. Cass. Civ., sez. II n. 4837/19).

Peraltro, a differenza della rinuncia all'azione, che non necessita di alcuna formalità e può risultare anche in maniera tacita dal contegno processuale della parte, la rinuncia agli atti deve rispondere ad una precisa disciplina normativa.

In particolare, il primo comma dell'art. 306 c.p.c. dispone che la rinuncia agli atti comporta l'estinzione del giudizio quando sia accettata dalle parti costituite che potrebbero avere interesse alla prosecuzione. Tale accettazione, peraltro, non può essere condizionata o contenere riserve.

La rinuncia all'azione, invece, non necessita di alcuna accettazione di controparte per risultare perfettamente efficace e condurre, quindi, all'estinzione del processo.

Il provvedimento di estinzione

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La rinuncia all'azione, comportando la cessazione della materia del contendere, porta alla pronuncia di una sentenza che attesta il venir meno dell'interesse delle parti alla prosecuzione del processo.

Invece, l'estinzione del processo conseguente a rinuncia agli atti va dichiarata con sentenza dell'organo collegiale o con ordinanza del giudice istruttore (reclamabile presso il collegio). Anche davanti al giudice monocratico il provvedimento dovrebbe avere, di regola, forma di sentenza, ma pur quando reso in forma di ordinanza esso conserva il suo carattere decisorio e risulta, pertanto, appellabile (cfr. Trib. Torino 12 febbraio 2016, Trib. Bari 24 aprile 2008 e Cass. 15631/09).

Provvedimenti sulle spese di lite

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Con riferimento alle spese di lite, l'ultimo comma dell'art. 306 c.p.c. dispone che la liquidazione delle spese, in caso di rinuncia agli atti, è fatta dal giudice istruttore con ordinanza non impugnabile.

In assenza di diverso accordo tra le parti, le spese giudiziali sono poste a carico del rinunciante, sia in caso di rinuncia agli atti che in caso di rinuncia all'azione.


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