Data: 29/05/2019 14:00:00 - Autore: Filippo Pirisi

Avv. Filippo Pirisi - La Cassazione civile, Sez. Un., con la decisione n. 328 del 9.1.2019 ha risposto - in modo positivo, affermandone la sussistenza - al quesito relativo alla responsabilità erariale dell'arbitro di calcio in relazione al contenuto del proprio referto.

Il Giudice delle Leggi si è così espresso a seguito di ricorso formulato avverso la decisione della Corte dei Conti n. 597/2015 che aveva condannato un arbitro di calcio (regolarmente iscritto all'A.I.A. e quindi afferente alla F.I.G.C.) ed il Presidente della Lega Nazionale Dilettanti a risarcire, nell'interesse del C.O.N.I., il danno erariale conseguente ad una dichiarazione mendace in sede di referto.

La vicenda

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Nello specifico, infatti, la partita Rieti - Pomezia dell'1.6.1997 era dapprima stata dichiarata sospesa ma, successivamente, in sede di referto, l'arbitro aveva ugualmente omologato il risultato maturato sul campo.

Tale discrepanza venne accertata dalla Corte Federale F.I.G.C. ed acquisiva rilevanza esterna all'ambito sportivo in ragione del fatto che era stata inserita nella cosiddetta schedina del totogol provocando il deposito di numerosi ricorsi da parte dei partecipanti al concorso pronostico e causato il risarcimento, da parte del C.O.N.I., di oltre un miliardo e mezzo di lire in loro favore.

La qualificazione giuridica delle Federazioni afferenti al CONI

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Preliminarmente all'esame della decisione delle Sezioni Unite, è però opportuno ricordare la qualificazione giuridica delle singole Federazioni afferenti al C.O.N.I. e, di conseguenza, ricordare quale ruolo ricoprano i singoli affiliati in ragione delle loro specifiche peculiarità, con particolare attenzione agli effetti che le loro condotte provocano a livello esofederale.

Originariamente, ed ovvero dall'entrata in vigore della Legge costitutiva del C.O.N.I. n. 426/1942, le singole Federazioni sportive avevano natura pubblicistica in forza della convinzione che il fenomeno sportivo avesse interesse generale ad uso, consumo e godimento della collettività.

Solo successivamente, però, nonostante il solidificarsi del ruolo del Comitato olimpico quale organismo regolamentatore, partendo dal principio che le Federazioni si basano sulla libera scelta di aggregazione spontanea dei singoli affiliati, si è pian piano instillata l'idea della loro natura privatistica: concezione, questa, che ha poi trovato riscontro, sebbene non ancora in modo diretto, nella Legge n. 91/1981.

In questo panorama di confronto, Legislatore e dottrina si sono così bilanciati nel riconoscere meritevole di pregio un'interpretazione equidistante, poi confermata con il D. Lgs. 242/1999, la quale ha evidenziato la loro natura privatistica a valenza pubblicistica.

Si è così voluta circoscrivere la questione certificando la valenza pubblicistica delle singole Federazioni C.O.N.I. nonostante la loro, oramai attestata, natura privatistica.

Le funzioni dell'arbitro di calcio

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E', dunque, in tale contesto che si può commentare la correttezza delle decisioni sia della Corte dei Conti che, a conferma, delle Sezioni Unite della Cassazione.

L'arbitro di calcio, infatti, esercitando le sue funzioni proprie per come autorizzate dal C.O.N.I., nonostante non sia - sebbene in passato siano state proposte tesi differenti - inquadrabile come un pubblico ufficiale, è tenuto ad assicurare ed a garantire il regolare svolgimento delle manifestazioni sportive in ossequio al singolo regolamento sportivo di riferimento. Proprio in ragione di ciò, quindi, quando redige il proprio referto, è chiamato a farlo con la consapevolezza che esso rappresenta l'unico documento ufficiale che attesti le risultanze dei fatti. L'arbitro, dunque, sebbene come detto affiliatosi liberamente ad un Ente con natura privatistica, compie un'azione con lapalissiana finalità e funzione pubblicistica in forza del suo consapevole inserimento nell'apparato organizzativo e gestionale del C.O.N.I.

E', infatti, proprio sulla base di questo assunto che si concretizza la sua responsabilità erariale, in quanto egli si pone quale soggetto certificatore all'interno della relazione funzionale che sussiste fra l'illecito ed il danno. E' l'arbitro che, direttamente negligente nella sua condotta certificativa, provoca l'illecito ed il conseguente danno a carico del suo Ente di riferimento, il C.O.N.I., che -come riconosciuto dalle sentenze- avrà su di lui diritto di rivalsa.

L'arbitro, infatti, è soggetto ontologicamente inserito nel rapporto organico di servizio con il Comitato olimpico (dal quale, è infatti bene ricordarlo, riceve consistenze economiche) in quanto incaricato di vigilare e certificare un'attività con indubbi rilievi sì interni ma anche esterni alla realtà sportiva, avendo, quindi, anche indubbie connotazioni e finalità pubblicistiche - nel caso di specie della decisione - in relazione ai concorsi pronostici.

La decisione

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In altre parole, l'attività dell'arbitro è sì riconducibile alla natura privatistica dell'A.I.A. (e quindi del C.O.N.I.) quando svolge direttamente il suo incarico all'interno del terreno di gioco ma, come in occasione del referto e dell'omologazione dei risultati, la sua funzione si esplica con efficacia diretta anche verso l'esterno, e quindi non possono negarsi prerogative di natura pubblicistica, il che lo porta ad incidere, inevitabilmente, anche sull'esistenza e sulla configurabilità della relazione funzionale, propria della sua diretta attività, che sta alla base della responsabilità erariale a lui imputabile.

L'importanza di questa pronuncia, nel caso specifico avente natura amministrativa, deve però portare l'interprete a riflettere, ancora una volta ed anche in relazione alle altre materie ordinarie del diritto, sulla sempre maggiore incidenza delle decisioni degli Organi di giustizia C.O.N.I. che, sempre più spesso, esplicano i propri effetti nella valutazione di controversie esterne alla competenza sportiva.


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