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Data: 21/06/2019 16:30:00 - Autore: Giovanni Minauro Avv. Giovanni Minauro - Impugnazione dell'avviso di addebito Inps come opposizione agli atti esecutivi e prevalenza del termine indicato nell'atto notificato su quello fissato dall'art. 617 c.p.c. Su questi temi si concentra l'interessante sentenza della sezione lavoro del tribunale di Benevento (n. 390/2019 sotto allegata). La vicenda[Torna su]
Con avviso di addebito notificato in data 29.11.2016, l'INPS intimava alla società Alfa di pagare consistenti somme iscritte a ruolo relativamente al periodo '01/2011 - 07/2012, per presunte inadempienze contributive derivanti da "regolarizzazione spontanea", con avvertimento che l'atto impositivo poteva essere impugnato, nel termine di gg. 40 dalla sua notifica, con opposizione ex art. 24 comma 5 D.lgs n. 46/1999. Avverso tale provvedimento, la società Alfa, con ricorso depositato il 04.01.2017, proponeva opposizione nell'anzidetto termine e, sostenendo di non aver mai presentato alcuna istanza di "regolarizzazione spontanea", né di aver subito accertamenti ispettivi di sorta da parte dell'Ente previdenziale, chiedeva all'adito Giudice del Lavoro di Benevento di voler accertare e dichiarare l'insussistenza del credito contributivo preteso dall'INPS, previa disapplicazione dell'impugnato avviso di addebito, da ritenersi palesemente illegittimo per carenza di motivazione. Costituitosi in giudizio, l'Istituto previdenziale eccepiva, in via pregiudiziale, l'inammissibilità del proposto ricorso, deducendo che lo stesso, riguardando vizi estrinseci e formali dell'atto impositivo, denunciabili soltanto con opposizione agli atti esecutivi, era da ritenersi intempestivo, siccome proposto oltre il termine perentorio di 20 giorni previsto dall'art. 617 c.p.c. Nel merito, il convenuto Ente assumeva che la pretesa contributiva si riferiva a debiti previdenziali obbligatori derivanti dall'esecuzione di una sentenza passata in giudicato (con la quale era stata definitivamente sancita l'illegittimità del licenziamento comminato ad un lavoratore e disposta la conseguente reintegra dello steso nel posto di lavoro) ed era, pertanto, da ritenersi legittima, risultandone specificati nell'avviso notificato tutti gli elementi richiesti dall'art. 30 del D.L. 78/10, conv. in l. n. 122/10, ai fini della validità dello stesso atto. Nel controdedurre all'anzidetta eccezione di inammissibilità del ricorso, la società Alfa evidenziava che nel provvedimento notificatole risultava unicamente indicato, come termine per "presentare ricorso", quello di 40 gg. dalla notifica dello stesso avviso, previsto dall'art. 24 cit. D.lgs. n. 46/1999 per impugnare nel merito la pretesa contributiva dinanzi al Giudice del Lavoro territorialmente competente, e non anche quello, più breve, di 20 gg., per l'eventuale proposizione dell'opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., rimedio pure esperibile, ai sensi del successivo art. 29 stesso D.L.lgs., per denunciare eventuali vizi formali del provvedimento impositivo. La ricorrente società assumeva, pertanto, che la mancata indicazione di tale ultimo e più stringente termine di impugnazione aveva ingenerato nel suo rappresentante legale un errore – da ritenersi scusabile, non potendosi dallo stesso pretendere la conoscenza della peculiare disciplina processuale e degli orientamenti giurisprudenziali in materia di impugnabilità dell'atto impositivo in questione – tale da determinare un suo ragionevole affidamento nel diverso e maggiore termine per "presentare ricorso" indicato nell'avviso di addebito notificato e, dunque, circa la possibilità di far valere entro detto termine e con la "presentazione" di tale ricorso ogni tipo vizio del medesimo atto. Nel merito, la società Alfa ribatteva che l'INPS, nel costituirsi in giudizio, lungi dal dimostrare l'esistenza del titolo giustificativo della pretesa contributiva indicato nell'impugnato atto impositivo, aveva inammissibilmente posto a fondamento della stessa pretesa una giustificazione causale nuova e del tutto diversa da quella fatta valere con l'impugnato avviso di addebito (nel quale non veniva fatta alcuna menzione né della sentenza di reintegra, né del lavoratore e né delle relative presunte omissioni contributive). La sentenza del Giudice del Lavoro[Torna su]
Nel decidere la controversia, il Giudice del Lavoro di Benevento, in persona della dr.ssa Claudia Chiariotti, ha innanzitutto qualificato l'impugnazione proposta dalla società Alfa come opposizione agli atti esecutivi, riguardando la stessa contestazioni attinenti alla regolarità formale dell'atto impositivo (assoluta indeterminatezza della pretesa), proponibile, ai sensi dell'art. 29, comma 2, cit. D.Lgs. n. 46, nelle forme ordinarie, e non nel termine di quaranta giorni previsto dall'art. 24, comma 5, del medesimo D.Lgs., per l'opposizione riguardante il merito della pretesa di riscossione (Cfr., in tal senso, Cass. Sez. lav., n. 25208 del 2009 e n. 18691 del 2008). Lo stesso Giudice ha tuttavia ritenuto che il ricorso, pur se proposto oltre il termine di decadenza di gg. 20 di cui all' art. 617 c.p.c. (con atto di impugnazione tuttavia depositato entro il termine di 40 gg. di cui all'art. 24 comma 5 D.lgs n. 46/1999), fosse, in ogni caso, da considerare ammissibile, atteso che, ove l'atto impositivo contenga – come nel caso in esame – l'indicazione di un termine per proporre opposizione superiore rispetto a quello previsto dalla legge, vale il termine indicato nello stesso atto e non quello fissato dal legislatore, dovendosi ritenere che l'errore di diritto commesso dall'amministrazione procedente sia idoneo, anche alla luce del principio di congruità e intellegibilità della motivazione del provvedimento amministrativo, a ingenerare nel destinatario un errore scusabile, tale da far sorgere in lui un ragionevole affidamento nel diverso e maggiore termine indicato dall'autorità competente. L'orientamento della Cassazione[Torna su]
Sul punto, la condivisibile pronuncia del Giudice sannita si allinea, dunque, ad ormai consolidato orientamento giurisprudenziale della S.C., che trova ispirazione nei principi fissati in Corte cost. n. 86/1998, secondo cui è da escludere, in via più generale, la decadenza dal diritto all'impugnazione, per violazione del fondamentale diritto alla difesa di cui all'art. 24 Cost., qualora l'amministrazione procedente ometta o indichi erroneamente nel provvedimento impositivo (sia esso costituito da un'ordinanza ingiunzione, da una cartella esattoriale, da avviso di addebito o da altro atto equipollente) il termine per proporre l'opposizione e/o l'autorità competente a decidere sulla stessa, in modo da non consentire un'adeguata identificazione delle autorità cui poter ricorrere e la conoscenza dei relativi termini (Cfr., ex multis, Cass. civ., sez. lav., 27/10/2017, n. 25667, nonché Cass. n. 7368/2000 e, da ultimo, Cass. n. 10840/2017; Cass. 29 ottobre 2004, n. 21001; Cass. 25 luglio 2000, n. 9725; Cass. 7 giugno 2000, n. 7670; Cass. 13 settembre 1997, n. 9080; Cass. 31 maggio 2006 n. 12895). Nel merito, lo stesso Giudice, nel considerare inammissibile la nuova e diversa giustificazione causale della pretesa contributiva, addotta dall'Ente previdenziale soltanto in sede in costituzione in giudizio, ha accolto il ricorso, ritenendo che nell'impugnato avviso di addebito non risultava sufficientemente specificata, in violazione dell'art. 30 comma 2 del D.L. N. 78 del 31/05/2010, detta causale, non potendo la semplice dicitura "regolarizzazione spontanea", sebbene riferita ad un preciso lasso di tempo, in alcun modo consentire al soggetto intimato di comprendere le ragioni della stessa pretesa. Com'è noto, l'art. 30 cit. D.L. N. 78/2010, prevede, difatti, espressamente, che l'avviso di addebito debba innanzitutto contenere, a pena di nullità, la chiara indicazione della causale del credito, oltre che del codice fiscale del soggetto tenuto al versamento, del periodo di riferimento del credito, degli importi addebitati ripartiti tra quota capitale, sanzioni e interessi ove dovuti, nonché dell'agente della riscossione competente. |
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