Data: 20/06/2019 18:00:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - Sì alla revoca dell'assegnazione della casa coniugale qualora la figlia del genitore collocatario abbia deciso di trasferirsi in un'altra città presso i genitori del fidanzato, iscrivendosi poi all'università nello stesso paese, così manifestando l'intenzione di costituire un autonomo habitat domestico distinto da quello originario.

Nonostante non si tratti di un legame stabile e non sia stata raggiunta l'indipendenza economica, la situazione è comunque idonea a far venir meno il presupposto per l'assegnazione della casa coniugale. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, nell'ordinanza n. 16134/2019 (qui sotto allegata) rigettando il ricorso di una madre che, a seguito dell'istanza dell'ex marito, si era vista revocare l'assegnazione della casa coniugale.

Il caso

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A seguito dell'espletata istruttoria, era emerso che la figlia della coppia aveva intrapreso una vita autonoma rispetto i genitori, anche se non dal punto di vista economico, tale da far ritenere reciso il legame con la casa familiare.

In Cassazione, la donna si oppone al provvedimento di revoca evidenziando come la ragazza, maggiorenne e non autosufficiente, si era iscritta a una sede universitaria fuori città, ma che rientrava a casa, seppur raramente, quando gli impegni universitari, caratterizzati da frequenza obbligatoria e periodi di tirocinio, glielo consentivano.

In sostanza, lamenta che il provvedimento impugnato non abbia tenuto in adeguata considerazione il diritto di studiare lontano dalla città di residenza, ritenuto altamente formativo per i ragazzi, come riconosciuto anche dal MIUR e dunque sarebbe dissonante con "l'evoluzione del mondo contemporaneo", sempre più teso alla dimensione internazionale anche dello studio.

Revocata l'assegnazione della casa familiare se il figlio si trasferisce in altra città

In realtà, secondo gli Ermellini, la decisione impugnata appare corretta: il giudice del gravame ha evidenziato come la ragazza avesse, in realtà, "consapevolmente reciso il legame con la casa familiare, intesa quale ambiente domestico necessario a garantire nella quotidianità quei riferimenti affettivi utili e di sostegno ad una crescita serena, in quanto comprensibilmente mossa dalla possibilità di una comunanza di vita con il fidanzato".
La giovane non aveva più da tempo rapporti con il padre e i familiari paterni e si era trasferita, ben prima di iniziare l'Università, a casa della famiglia del proprio ragazzo in altra città, dove aveva poi intrapreso una brillante carriera universitaria, rientrando a casa solo pochi giorni l'anno, durante le vacanze natalizie, pasquali ed estive.

Alla stregua di tali circostanze, la Corte territoriale ha ritenuto che la ragazza avesse costituito un autonomo habitat domestico distinto da quello originario, ormai disgregato, e che, pertanto, fosse venuto meno il presupposto per l'assegnazione della casa coniugale.

Necessaria la stabile dimora del figlio presso l'abitazione

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La Cassazione chiarisce, con orientamento valevole anche alla luce del nuovo art. 337-sexies c.c., che la nozione di convivenza rilevante agli effetti dell'assegnazione della casa familiare comporta la stabile dimora del figlio presso l'abitazione di uno dei genitori, con eventuali, sporadici allontanamenti per brevi periodi, e con esclusione, quindi, della ipotesi di saltuario ritorno presso detta abitazione per i fine settimana, ipotesi nella quale si configura, invece, un rapporto di mera ospitalità.

Deve sussistere un collegamento stabile con l'abitazione del genitore, benché la coabitazione possa non essere quotidiana, essendo tale concetto compatibile con l'assenza del figlio anche per periodi non brevi per motivi di studio o di lavoro, purché egli vi faccia ritorno regolarmente appena possibile; quest'ultimo criterio, tuttavia, deve coniugarsi con quello della prevalenza temporale dell'effettiva presenza, in relazione ad una determinata unità di tempo (anno, semestre, mese) (cfr. Cass. n. 4555/2012, n. 11981/2013 e n. 12395/2014).

In sostanza, secondo gli Ermellini, il ritorno, in una data frazione temporale, deve non solo avvenire con cadenza regolare, ma anche essere frequente, sicché non può affermarsi la convivenza del figlio che, in una data unità temporale, particolarmente estesa, risulti obiettivamente assente da casa, sia pure per esigenze lavorative o di studio, e ciò sebbene vi ritorni regolarmente non appena possibile.

L'assenza per tutto il periodo considerato e la rarità dei rientri, per quanto regolari, non possono essere controbilanciati dalla sola ipotetica regolarità del ritorno, altrimenti il collegamento con l'abitazione diverrebbe troppo labile, sconfinando nel mero rapporto di ospitalità. Conclusione coerente con quella raggiunta dalla Corte distrettuale nel caso in esame.

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