Data: 11/07/2019 15:00:00 - Autore: Cleto Iafrate

di Cleto Iafrate - Il passaggio che i militari e le forze di polizia ad ordinamento militare si accingono a compiere è epocale. Con la sentenza n. 120/2018, la Corte Costituzionale ha finalmente rimosso l'anacronistico divieto per i militari di costituire associazioni sindacali[1]. Dunque, fino ad oggi, i militari hanno vissuto in una condizione per così dire di "incostituzionalità di fatto".

Le audizioni in Parlamento

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Adesso il Parlamento dovrà scrivere una legge che recepisca il principio enunciato dalla sentenza e, allo scopo, ha già esperito un primo ciclo di audizioni, nel corso delle quali sono stati sentiti i vertici delle Forze armate e di Polizia ad ordinamento militare e i sindacati militari allora già costituiti.
Nel corso di queste audizioni sono emersi due fronti contrapposti:
- i sindacati militari hanno chiesto in coro, sia pur con diverse sfumature, l'attuazione dell'art. 39 della Costituzione al comparto militare;
- di contro, i Signori Comandanti Generali e Capi di Stato maggiore hanno affermato che il "mondo militare" è specifico, e da questa specificità discenderebbe una serie di limiti e condizionamenti all'esercizio dei diritti costituzionali dei militari, e segnatamente all'esercizio dei diritti sindacali[2].
E' lampante che queste due posizioni sono inconciliabili.
Quindi, per far comprendere quanto sia essenziale un sindacato "vero" per i militari e quanto sia anacronistico lo schema proposto dai vertici militari, è fondamentale chiarire il concetto nodale di specificità militare, dal punto di vista dottrinale e della tradizione.

La specificità militare nella dottrina costituzionale

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Se si condividesse l'idea che dalla specificità militare derivano una serie di limiti e deroghe ai principi costituzionali e, in particolare, ai diritti sindacali dei militari si conferirebbe alla gerarchia militare una sorta di "supremazia speciale", per effetto della quale non sarebbero applicabili, all'interno dell'ordinamento militare, i principi generali e fondamentali dell'ordinamento giuridico statale di cui lo stesso ordinamento militare è certamente parte essenziale.
Come ha affermato la Corte costituzionale in epoca pre-costituzionale "gli eserciti prescindevano dallo status civitatis dei reclutati, per altro privi di diritti civili formalmente riconosciuti [e] a tutela dell'unico e decisivo interesse della disciplina e della gerarchia si [teneva] separato il soldato [dai cittadini], a sottolineare la qualità inalienabile dello status personale (semel miles semper miles)"[3]
La promulgazione della Carta Costituzionale nel 1948, ha costituito una svolta per la riflessione sui rapporti tra ordinamento generale ed ordinamento interno speciale (militare)[4].

La più elaborata riflessione in argomento è costituita dalla teoria di Vittorio Bachelet, il quale sostiene l'impossibilità di un contrasto tra ordinamento generale e ordinamento interno ed afferma che quest'ultimo ha rappresentato, storicamente, una "istituzione" avente in sé una "forza vitale e una sua regola di condotta che lo Stato di diritto ha inizialmente piuttosto riconosciuto che imposto[5]".

In tono con questa impostazione, l'autore legge ed interpreta l'art. 52, III comma, Costituzione[6].
In sintesi, Bachelet giunge alla conclusione che la specificità militare non è un principio di rango costituzionale ma, in quanto preesistente alla Costituzione, è stata per così dire accettata -oserei dire tollerata- dai Padri Costituenti. Essa è il frutto di una prassi ripetuta e di una consuetudine organizzativa che non ha ricevuto l'appoggio di norme imperative dello Stato ed è pertanto da intendersi superata con l'avvento della Costituzione.

La specificità militare nella tradizione

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A chiarimento della sua analisi, Bachelet adduce la circostanza secondo la quale "alla base dell'ordinamento militare vi sarebbe un gruppo di norme ispirate al "principio dell'onore militare" ereditato dalla tradizione e dalla consuetudine.

Il principio dell'onore militare, dunque, è un punto assolutamente nodale, per fare luce sulla specificità militare, perché essa è figlia proprio di questo principio.
L'onore militare consiste in quell'insieme di virtù – onestà, lealtà, rettitudine, imparzialità – il cui possesso è considerato dai militari come supremo criterio di distinzione. Tale onore è da custodire gelosamente, assegnandogli una dimensione quasi sacrale[7]. Dietro la preoccupazione degli alti comandi militari di tutelare l'immagine del Corpo ad ogni costo - anche al costo della verità, caso Cucchi docet - si cela la difesa del principio dell'onore.
Infatti, se l'ordinamento militare, in tutti questi anni, è riuscito a rimanere impermeabile ai sindacati e al principio di legalità, è proprio per questa erronea concezione dell'onore militare: se il capo è depositario dell'onore, e se è attraverso la sottoposizione a lui che l'onore si trasmette (infatti, la disciplina è stata definita da chi mi ha preceduto come "fondamentale ammaestramento e guida per tutto il personale"), spetterà esclusivamente a lui di guidare, ammaestrare e decidere discrezionalmente quali sono le infrazioni che danno luogo alle punizioni, chi trasferire, quando e dove, chi punire e chi ricompensare.
All'interno di questa "insula felix" dell'ordinamento militare i sindacati non possono e non devono entrare, a giudizio di alcuni, perché con le loro attività favorirebbero l'approdo sull'"insula" del principio di legalità, che si pone in antitesi con il principio dell'onore.
E' scontato sottolineare che l'avvento dell'uno estrometterebbe necessariamente l'altro.

Mi spiego. Se consideriamo il principio di legalità come la linea di confine che delimita lo spazio all'interno del quale un potere esercita la sua discrezionalità, possiamo affermare che nell'ordinamento militare quella linea di confine è elastica e può essere spostata, arbitrariamente, in avanti o più indietro a seconda delle circostanze da parte dell'autorità militare. In quello statuale essa è fissa e ben visibile da tutti. E' la legge.
Faccio un esempio. Nell'ordinamento statuale il principio di legalità impone che la sanzione degli arresti domiciliari sia presidiata da una serie di tutele e cautele a garanzia dei diritti del condannato. Nell'ordinamento militare, invece, le infrazioni che danno luogo alla sanzione della consegna –l'equivalente degli arresti domiciliari- non sono affatto tipizzate, nonostante l'afflittività della pena sia pressoché la stessa[8].
La norma, infatti, si limita a stabilire che la consegna punisce le violazioni dei doveri militari e le più gravi trasgressioni alle norme della disciplina e del servizio (art. 1352, co. 1, D. Lgs 66/2010) [9].

Ma non finisce qui, a proposito di elasticità della linea di confine. Non v'è un obbligo di "retribuire" con la medesima sanzione le stesse mancanze disciplinari. L'autorità militare esercita un potere discrezionale che può portare a valutazioni che non conducono, necessariamente, alla stessa sanzione se ritenuta inopportuna o sconveniente per quella circostanza o per quel manchevole[10]
Tale preminenza dell'onore militare sulla legalità emerge anche dalla lettura dei doveri dei militari consacrati negli artt. 712 e seguenti del DPR 90/2010. L'elasticità dei testi degli articoli non solo rende confusi i confini tra lecito e illecito - con buona pace dell'art. 27 della Costituzione, secondo cui le "pene", quindi anche le sanzioni disciplinari, devono tendere alla rieducazione -, ma riflette una concezione punitiva di tipo "soggettivistico", tipica delle esperienze totalitarie[11]".

E pensare che qualcuno degli auditi che mi ha preceduto ha ipotizzato che l'autorizzazione a costituire un sindacato possa essere ritirata in caso di grave mancanza disciplinare! Ma se non sono tipizzate le infrazioni che danno luogo ai rilievi, un tale "codicillo" servirebbe a mettere i sindacati militari al guinzaglio dei generali.
Il principio dell'onore non influenza solo il momento sanzionatorio ma ogni aspetto della vita del militare; in particolare i trasferimenti, gli avanzamenti, le note premiali, eccetera. Tale circostanza produce OGM che può nuocere alla salute della democrazia -per OGM intendo, Obbedienza Geneticamente Modificata- cioè, produce una grave modificazione genetica dell'istituto dell'obbedienza militare. Per un approfondimento su questo tema si rimanda al contributo in allegato al testo consegnato a codesta onorevole Commissione[12].


Le radici storiche alla base del principio dell'onore vanno ricercate nel particolare significato che durante l'impero romano aveva il giuramento militare, chiamato sacramentum militiae. Era il mezzo mediante il quale veniva creato, con il favore degli dei, un nuovo stato personale: lo status militis[13].
Si riteneva che con il giuramento il legionario romano ricevesse dalla potenza degli dei un supplemento di purezza (oltre a forza e coraggio) che operava la trasformazione del cives in miles. È significativo il fatto che i legionari solo dopo il giuramento maturassero il diritto a fregiarsi del nome di "sacrati" (per così dire, "infusi –unti- dagli dei")[14].
La naturale conseguenza di questa atmosfera pregna di sacralità e ammantata di religiosità fu l'affermazione del principio dell'onore militare, di cui, come detto, la specificità militare è figlia.

Ora non si vuole negare il fatto che il senso dell'onore sia, ancor oggi, maggiormente sviluppato nei militari; ma certamente non si può presumere che esso costituisca una prerogativa intrinseca di quello status, e ad esso necessariamente riconducibile. Ciò in quanto una virtù per sua natura non può che essere soggettiva.
Quindi possiamo concludere che la supremazia speciale connessa alla specificità militare nasce come un "sacramento pagano", all'interno di un rito anch'esso pagano, sopravvive nel medio evo e viene tollerata dal legislatore costituente perché non c'erano i presupposti storici per un suo superamento; ma il fatto che ancora oggi venga invocata per giustificare restrizioni ai diritti fondamentali dei militari pare proprio illogico e assurdo.

Conclusioni

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Adesso la strada è in discesa. Superato l'ostacolo fondamentale della specificità militare, da non considerare come limitativa (o negatrice) dei principi e delle libertà costituzionali, non si può non rilevare la perplessità sotto il profilo della legittimità costituzionale del disegno di legge in esame[15].

Il SIM Guardia di Finanza ritiene che, in tempo di pace, ai cittadini-militari debba essere riconosciuto un sindacato almeno uguale a quello della Polizia, che è già un sindacato di serie "B" rispetto a quello degli altri lavoratori.

Non da ultimo, in un'ottica europea, la considerazione che i Paesi del nord Europa da tempo hanno riconosciuto ai loro cittadini-militari la possibilità di riunirsi in associazioni sindacali[16]. E l'efficienza delle Forze armate di questi Paesi non è stata per nulla intaccata dalla presenza dei sindacati militari. Anzi ne è risultata rafforzata.

E' fondamentale precisare che in un moderno Stato di diritto ogni potere giuridico deve portare in sé il concetto di limite, volto a frenare la tendenza agli eccessi da parte di chi ne sia titolare. La possibilità di sindacare la manifestazione del potere è diretta a contenerne l'esercizio nei limiti, interni ed esterni, che lo individuano e lo giustificano.

Proprio con riferimento alle Forze armate, in tempo di pace, acquista notevole importanza la qualificazione di democraticità, abbinata a imparzialità, posto che la stessa forma di Stato risulterebbe gravemente compromessa se si ammettessero comportamenti "parziali" da parte dell'organizzazione che detiene il monopolio della forza, il comparto Difesa; oppure, cosa peggiore, se si ammettessero comportamenti "parziali" da parte delle forze di polizia ad ordinamento militare che hanno la possibilità di accedere a dati sensibili e detengono enormi poteri investigativi, anche d'iniziativa, in forza dei quali possono imprimere direzione e verso alle indagini giudiziarie.

Il sindacato nelle Forze armate è necessario anche per garantire quella imparzialità che un ordinamento militare, separato dallo Stato di diritto e posto al di fuori della sua logica, non sempre sarebbe in grado di garantire.

La tutela della coesione interna delle Forze armate e di polizia ad ordinamento militare deve avvenire all'interno dei principi costituzionali e non al di fuori di questi, altrimenti si finisce per garantire i privilegi di "pochi", tramite le restrizioni di "molti"[17], e si corre anche il rischio che le Forze armate e di polizia siano subordinate non tanto alla difesa dei valori costituzionali, quanto piuttosto alle esigenze perseguite, attraverso l'apparato esecutivo, dai gruppi egemoni nella realtà civile e sociale del Paese.

Attenzione cari onorevoli. Negare i diritti sindacali alla polizia giudiziaria ad ordinamento militare per tutelare coesione interna e unicità di comando, equivale a depotenziare l'art. 109 della Costituzione, rispetto a quelle indagini che la politica ha interesse a conoscere e controllare. In questi casi diventa più difficile per la magistratura "disporre direttamente" del militare che, privo di tutele sindacali, deve obbedire anche ad una catena gerarchica il cui ultimo anello si aggancia –o comunque, è assai contiguo- all'autorità politica. Caso Consip docet.

Molti dei tentativi di limitare i diritti costituzionali dei militari già in tempo di pace, in nome della tutela della compagine interna, dell'efficienza e dell'apoliticità delle Forze armate e di polizia, sono poco sinceri e, a volte, ispirati a secondi fini.

In conclusione: la specificità militare, che ha fatto dell'organizzazione militare una specie di micro-stato annidato in seno allo stato democratico, è uno strumento talmente pericoloso da richiedere indifferibili, urgentissimi interventi correttivi.

Noi del SIM Guardia di Finanza riponiamo in questa Commissione Difesa e nel Parlamento sovrano tutte le nostre speranze di cambiamento.

Mi piace concludere con le parole dell'onorevole Aldo Moro in assemblea costituente: "non è pensabile che la gerarchia militare soffochi la dignità della persona umana, come troppe volte è accaduto, attraverso i regolamenti di disciplina"[18].

Il Segretario Generale

Cleto Iafrate

Vai al video dell'audizione del Sim Guardia di finanza in commissione difesa alla Camera

Scarica pdf Iafrate C., Obbedienza, ordine illegittimo e ordinamento militare, in D&Q, vol. 16/2016-2

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Note:

[1] Previsto dall'art. 1475 co. 2 del d.lgs. n. 66/2010, perché in contrasto con l'art. 117, co. 1, della Costituzione con riferimento agli artt. 11 e 14 della CEDU e in relazione all'art. 5 della Carta Sociale Europea.

[2] L'organizzazione sindacale, infatti, è inquadrabile in quelle formazioni sociali di cui parla l'art. 2 della Costituzione, all'interno delle quali la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, che la Costituzione riconosce a tutti, considerandoli inerenti alla semplice condizione umana.

[3] Corte costituzionale, sentenza n. 414 del 6 novembre 1991.

[4] A tal proposito è significativo il pensiero del Modugno il quale, in relazione all'art. 52, terzo comma, della Costituzione, osserva come questo, prevedendo che "l'ordinamento delle Forze armate" va informato "allo spirito democratico della Repubblica", pone in rilievo due elementi:

"1. Ciò che si deve informare allo spirito democratico non è già informato allo stesso spirito;

2. che il presunto ordinamento delle Forze armate deve informarsi allo spirito di un altro ordinamento, cessando per ciò stesso di essere un ordinamento" nel senso pieno del termine, cioè produttivo di limiti e condizionamenti per i suoi appartenenti (Modugno F., L'ordinamento militare è in estinzione, in Studi in onore di V. Bachelet, pag. 457).

[5] Da ciò, secondo Bachelet, la conseguenza che "l'ordinamento militare si è potuto estendere anche al di là di quello statale, in quanto si fonda su principi preesistenti a questo. Non può porsi, però, in contrasto con le norme di legge ordinarie o intaccare le disposizioni sovraordinate che tutelano la dignità della persona umana". Bachelet V., Disciplina militare ed ordinamento giuridico statale, Milano, Giuffrè, 1962, (ora in Scritti giuridici, II, Milano, Giuffrè, 1981, 137-403).

[6] La limitazione dei diritti e di alcune libertà fondamentali, afferma Bachelet, non può certamente fondarsi sulla circostanza che il militare volontario aderisce di sua spontanea iniziativa ad un sistema limitativo delle sue libertà; se così fosse, sarebbe come riconoscere al singolo individuo la possibilità e la facoltà di privare se stesso dei diritti fondamentali, i quali per il nostro ordinamento sono inalienabili ed indisponibili in qualunque modo anche da parte del loro titolare.

Non va trascurato, inoltre, che la prima scrittura del comma in questione faceva riferimento al verbo "riflettere", sostituito poi con "informarsi". Quest'ultimo dà più l'idea dell'"internità" delle Forze armate all'ordinamento statale: esse non sono semplicemente deputate a riflettere il secondo dall'esterno, restando autonome, bensì devono, a rigore, informarsi ad esso dall'interno. Pertanto l'ordinamento militare non è un "mondo" a parte e separato da quello statuale. In tal senso va letto l'uso del presente "progressivo" "si informa", anziché del presente indicativo, come il costituente ha fatto con riferimento ad altri argomenti. Il presente progressivo dà la sensazione della dinamicità del divenire dell'ordinamento militare che, come in una sorta di metamorfosi, segue quello statuale. In altre parole, la norma in esame non rappresenta un traguardo, ma un punto di partenza, dal quale ha preso le mosse il lento processo di assorbimento dell'ordinamento militare da parte di quello statuale, al quale la Corte costituzionale, con la sentenza 120/2018, ha dato una ulteriore spinta verso il definitivo compimento.

[7] Come se quelle virtù, attraverso una sorta di magico processo iniziatico, emanassero dal capo infondendosi alla truppa.

«Il capo viene dipinto da un autore che andava per la maggiore prima dell'ultima guerra, A. Tallarigo, come una sorta di superuomo, un semidio vivente in una sua torre d'avorio [...] Si parla della vocazione del capo di razza che si sente e si crede investito di una missione: dirigere gli altri, sentimento che si traduce nella solennità dei gesti, nel tono grave e deciso della sua voce, nel portamento della testa [...] nella serena fiducia in sé che mette ai suoi piedi quelli che ei vuol guidare» (Intelisano A., Il nuovo ordinamento disciplinare delle Forze Armate, Padova, 1987, p 16).

[8] La sanzione della consegna, infatti, consiste nel privare il militare della libera uscita fino a un periodo massimo di sette giorni consecutivi (art. 1358, co. 4, del D. Lgs 66/2010). I militari di truppa coniugati, i graduati, i sottufficiali e gli ufficiali che usufruiscono di alloggio privato sono autorizzati a scontare presso tale alloggio la punizione della consegna (art. 1361, co. 4).

[9]Non c'è dubbio che la scelta di una tale locuzione si presta, a causa della sua indeterminatezza, alle più disparate elusioni dei fondamentali diritti del militare, il quale non è posto nella condizione di conoscere preventivamente i comportamenti punibili con la sanzione della consegna. La sanzione della consegna, pertanto, costituisce una chiara elusione del principio cardine del diritto penale del "nullum crimen sine lege".

[10] Ciò in quanto la finalità "retributiva" delle sanzioni, è solo tendenziale, cioè "un'idea guida per l'autorità titolare della potestà".

[11] In senso sostanzialmente conforme, Tullio Padovani, Diritto Penale, XI edizione, 2017, Giuffrè editore p. 100: "non conta … che il fatto leda o ponga in pericolo un interesse; conta invece che il singolo abbia comunque espresso una volontà difforme dall'obbligo di fedeltà. Una tale concezione mira essenzialmente a dilatare incontrollabilmente la sfera del penalmente rilevante, svincolandola dal limite dell'offesa ad un interesse dato, ed a stravolgere il senso del giudizio di colpevolezza che, dal fatto, viene riferito all'intera condotta di vita del soggetto. Si consideri infatti che le norme disciplinari sono teologicamente contigue a quelle penali. A tal fine, si veda l'art. 260 cpmp: "i reati per i quali la legge stabilisce la pena non superiore nel massimo a sei mesi di reclusione militare, sono puniti a richiesta del comandante di corpo o di altro ente superiore da cui dipende il militare colpevole".

[12] Iafrate C., Obbedienza, ordine illegittimo e ordinamento militare, in Diritto & Questioni pubbliche, vol. 16/2016-2.

[13] Il primo giuramento militare di cui si ha memoria è raccontato da Tito Livio in un suo scritto, si tratta di un antico giuramento sannita, che risale addirittura al 293 avanti Cristo. Il giuramento all'epoca aveva una funzione propriamente teologale, ad esso partecipavano tre soggetti: una figura divina attiva che, invocata, garantiva il buon esito dell'atto "sacro"; un soggetto terreno attivo che chiamava in causa la potenza degli dei e infine uno passivo, il legionario.

[14] Plutarco racconta che solo dopo il giuramento i "sacrati" maturavano il diritto di uccidere o percuotere un nemico.

[15] In particolare è inaccettabile:

- che la costituzione dei sindacati militari sia assoggettata ad autorizzazione ministeriale e finanche eventualmente a revoca;

- il lungo elenco di materie escluse dalla competenza delle organizzazioni sindacali;

- la previsione di una percentuale di rappresentatività calcolata non sulla forza sindacale del Corpo, ma sulla forza effettiva; il limite di mandato; la competenza del giudice amministrativo per le condotte antisindacali; l'esclusione della negoziazione decentrata; il divieto di finanziamento pubblico.

[16] In Svezia il primo sindacato di militari è stato costituito addirittura nel 1908; in Austria dopo la fine della prima guerra mondiale; in Germania nel 1956; in Belgio i sindacati esistono dal 1961 e in Olanda dal 1966.

[17]Si pensi alle restrizioni ai diritti individuali e associativi dei militari, ed in particolare la loro incidenza socio-economica nelle Forze Armate tra il personale "non dirigente". Cfr. con Tar Lombardia, Milano, sezione III, sentenza n. 310/2018, ove viene constatato che le Forze Armate sono caratterizzate da "fisiologiche conflittualità tra subordinati e superiori gerarchici, particolarmente esasperati in un ambiente, quale quello militare, in cui il principio della superiorità gerarchica permea profondamente la disciplina del rapporto di servizio".

[18] Pronunciate dallo statista pugliese durante la seduta del 15 novembre 1946, dopo aver illustrato le sue motivazioni del testo attuale dell'art. 52, terzo comma della Costituzione, da lui proposto e approvato all'unanimità, meno un astenuto. Durante la discussione erano state sollevate molte perplessità circa l'opportunità della disposizione; fu decisiva, ai fini dell'approvazione, la posizione del deputato Umberto Merlin, il quale motivò la sua fermezza con la necessità di trasferire la novità della democrazia anche nel consorzio militare, imponendo espressamente un superamento del passato.



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