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Data: 12/07/2019 09:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate di Annamaria Villafrate - La Consulta dichiara incostituzionale la norma che subordina la presentazione della domanda di equa riparazione prevista dalla legge Pinto per eccessiva durata del procedimento all'istanza di accelerazione del processo penale. Di fatto questo rimedio non ha alcun potere d'influenzare la durata del processo, che comunque può protrarsi oltre il termine ragionevole, senza che alcuna responsabilità possa essere addebitata al ricorrente. La vicenda processualeLa Corte di Cassazione solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, co. 2 - quinquies, lettera e), della legge n. 89/2001, nota come, "legge Pinto", nella parte in cui, relativamente ai giudizi penali in cui il termine di ragionevole durata di cui all'art. 2-bis della legge n. 89 del 2001 sia superato in epoca successiva alla sua entrata in vigore, subordina, per la loro intera durata, la proponibilità della correlativa domanda di equa riparazione alla presentazione dell'istanza di accelerazione. Per la Cassazione l'art. 2, co. 2-quinquies, lettera e), della "legge Pinto" –con il disporre che non è riconosciuto alcun indennizzo nel caso in cui l'imputato non provveda al depositato dell'istanza di accelerazione nel processo penale nei trenta giorni successivi al superamento dei termini di durata ragionevole – contrasterebbe con l'art. 117, co. 1, della Costituzione e con gli artt. 6, paragrafo 1, 13 e 46, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). Per gli Ermellini infatti subordinare la concessione dell'indennizzo all'"istanza di accelerazione di per sé inidonea ad assicurare una sollecita definizione del processo e in non altro risolventesi che nell'imporre una "prenotazione" degli effetti della riparazione per l'irragionevole durata del processo - comporterebbe che all'interessato non sia consentito né di impedire che si verifichi o protragga la violazione del termine di ragionevole durata del processo né di ottenere riparazione per la subita violazione di quel termine." L'istanza di accelerazione non può condizionare la proposizione della domanda di indennizzoCome precisa la Consulta in un passaggio della sentenza, per costante giurisprudenza della CEDU, "i rimedi preventivi, volti ad evitare che la durata del procedimento diventi eccessivamente lunga, sono ammissibili, o addirittura preferibili, eventualmente in combinazione con quelli indennitari, ma solo se "effettivi" e, cioè, solo se e nella misura in cui velocizzino la decisione da parte del giudice competente." In questo caso però, come rileva la Consulta, tale istanza si rivela inutile, tanto è vero che nei fatti non ha in effetti alcun effetto acceleratorio sul processo, "atteso che questo (ovvero il processo), pur a fronte di una siffatta istanza, può comunque proseguire e protrarsi oltre il termine di sua ragionevole durata, senza che la violazione di detto termine possa addebitarsi ad esclusiva responsabilità del ricorrente." Per la Consulta "La mancata presentazione dell'istanza di accelerazione nel processo presupposto può eventualmente assumere rilievo (come indice di sopravvenuta carenza o non serietà dell'interesse al processo del richiedente) ai fini della determinazione del quantum dell'indennizzo ex lege n. 89 del 2001, ma non può condizionare la stessa proponibilità della correlativa domanda (...)". Deve quindi concludersi per la dichiarazione di l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma 2-quinquies, lettera e), della legge 24 marzo 2001, n. 89 per contrasto con l'art 117 Costituzione, co. 1. Leggi anche: - Legge Pinto: cosa prevede e come si presenta il ricorso - Legge Pinto, a rischio indennizzo 550mila cause |
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