Data: 27/07/2019 17:30:00 - Autore: ILARIA PARLATO

Avv. Ilaria Parlato* - La prospettazione di un male ingiusto a taluno può integrare gli estremi del reato di minaccia, previsto e punito dall'art. 612 c.p.

La prospettazione del male ingiusto

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Il reato di minaccia si sostanzia nella prospettazione del pericolo che un male ingiusto, nella persona o nel patrimonio, possa essere cagionato alla vittima (cfr. Cass. Pen., Sez. V, 28 gennaio 2014, n. 15710; Cass. Pen., Sez. V, 12 maggio 2010 - 7 giugno 2010, n. 21610).

L'avversarsi del male come dipendente dalla volontà dell'agente

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Per la sussistenza del delitto de quo occorre un quid pluris rispetto alla mera prospettazione del male ingiusto

Si necessita, infatti (e fra l'altro), che l'avverarsi del suddetto male futuro ed ingiusto dipenda dalla volontà dell'agente e che la sua prospettazione sia idonea, in considerazione delle concrete circostanze di tempo e di luogo, ad incutere turbamento e timore in chi risulta esserne destinatario (cfr. ex multis, Cass. Pen., Sez. V, 20 marzo 2019, n. 17159; Cass. Pen., Sez. I, 3 maggio 2016 - 18 ottobre 2016, n. 44128).

Sussistenza del reato anche se manca lo stato di intimidazione

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Al riguardo principio ormai consolidato in giurisprudenza è quello secondo cui - per la configurabilità del delitto de quo - sebbene la minaccia deve essere idonea a causare effetti intimidatori sul destinatario, non è - invece - necessario che uno stato di intimidazione e turbamento si verifichi in concreto.

Conseguenza ineludibile di quanto sopra è che non esclude l'integrazione del reato la circostanza che il soggetto passivo - in concreto - non si sia sentito effettivamente intimidito, essendo sufficiente - sic et simpliciter - la mera attitudine della condotta ad intimorire e dunque che la condotta posta in essere dall'agente sia potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale del soggetto passivo stesso (cfr. ex multis Cass. Pen., Sez. II, 12 febbraio 2019, n. 21684; Cass. Pen., Sez. I, 03 maggio 2016, n. 44128; Cass. Pen., Sez. V, 22 aprile 2014 - 4 novembre 2014, n. 45502).

Sussistenza del reato anche in assenza della persona offesa

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Non esclude l'integrazione del reato la circostanza che le espressioni intimidatorie siano pronunciate in assenza della persona offesa, potendo quest'ultima venirne a conoscenza anche attraverso altri, a condizione che ciò avvenga pur sempre in un contesto dal quale possa desumersi la volontà dell'agente di produrre l'effetto intimidatorio (cfr. Cass. Pen., Sez. V, 1 agosto 2017, n. 38387; Cass. Pen., Sez. VI, 3 dicembre 2010 - 7 marzo 2011, n. 8898).

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*L'avv. Ilaria Parlato, civilista e penalista, ha conseguito – con uno dei voti più alti - la Laurea Magistrale in Giurisprudenza, ciclo unico quinquennale, presso l'Università degli Studi di Napoli Parthenope. Ha conseguito, inoltre, il Master di Alta Formazione Professionale in Criminologia e Psicopatologia Forense. In costanza dei primi anni di università ha conseguito, più di una volta, borse di studio basate anche sul merito e ha concluso egregiamente il percorso universitario con la tesi di laurea in materia di Diritto Privato. È autrice di articoli attinenti al Diritto Civile e al Diritto Penale, pubblicati da riviste e quotidiani giuridici pregiati e rinomati nel mondo dell'avvocatura, quali Studio Cataldi, Salvis Juribus e Altalex. E', altresì, autrice del libro "Risarcimento del danno per violazione dei doveri coniugali in regime more uxorio" pubblicato dalla Fondazione Mario Luzi, casa editrice avente la prerogativa di premiare il merito e gli autori più meritevoli.

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