Data: 26/07/2019 14:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate

di Annamaria Villafrate - Nella sentenza n. 33495/2019 (sotto allegata) la Cassazione conferma la condanna dell'imputato per il reato di diffamazione, per aver rivolto per mezzo di un post pubblicato sul social network Facebook espressioni offensive e gratuite alla moglie del nipote. Non rileva che i fatti oggetto di diffamazione siano veri o meno. Il soggetto non può invocare la provocazione, perché non direttamente interessato alla vicenda. Gli Ermellini insomma sono piuttosto chiari nel ribadire l'opportunità che parenti e conoscenti tengano una condotta estranea alla vita di coppia altrui.

La vicenda processuale

La Corte d'Appello conferma la sentenza emessa dal giudice di primo grado nei confronti dell'imputato P.A, colpevole del reato di cui all'art. 595 cod. pen., per avere diffamato sul social network Facebook una donna.

Condannato a venti giorni di reclusione, col beneficio della sospensione condizionale subordinata al risarcimento del danno, quantificato in 7000 euro e comprensivo del danno patrimoniale e morale, in favore della parte civile, l'imputato impugna la sentenza d'appello davanti alla corte di legittimità.

Motivi del ricorso dell'imputato

  • Mancato riconoscimento della causa di esclusione della responsabilità di cui all'art. 51 c.p consistente nel legittimo esercizio del diritto di critica. Il giudice non ha appurato la veridicità dei fatti e neppure se potevano interessare gli utenti con accesso al profilo dell'imputato e se è stato rispettato il criterio della continenza.
  • La Corte ha errato nell'attribuire gli epiteti riportati dai testi all'imputato, in quanto provenienti in realtà da soggetti appartenenti alla cerchia di amicizie dello stesso. A parere dell'imputato inoltre a verità dei fatti, l'interesse dei frequentatori del profilo e la continenza sono stati rispettati nel caso di specie, visto che le offese rivolte alla donna sono scaturite dalla revoca del provvedimento di allontanamento dal nucleo familiare emesso nei confronti del nipote del P.A, in procinto di separazione, fatto che ha dato vita alla creazione del post oggetto del giudizio. La Corte invece si è limitata a mettere in evidenza l'aspetto aggressivo e maschilista delle espressioni rivolte alla sfera sessuale della perdona offesa, mentre il post faceva riferimento all'assegnazione della casa coniugale, vero motivo del disappunto e delle critiche sollevate dai membri del social.
  • Erronea applicazione dell'art 599 c.p. comma 2 sulla provocazione, per avere escluso che l'ingiustizia della condotta altrui che esclude la diffamazione possa essere integrata anche dall' inosservanza di norme sociali o di costume che regolano la convivenza civile.
  • Erronea applicazione dell'art. 53 e segg. della legge n. 689/1981 per aver applicato la pena più severa della detenzione, invece di quella pecuniaria, decisamente più adeguata al caso di specie.
  • Infine vizio argomentativo in relazione al risarcimento riconosciuto alla persona offesa visto che il danno non è stato provato dal danneggiato.

E' reato offendere gratuitamente su Facebook la moglie del nipote

La Cassazione accoglie il motivo con cui l'imputato ha contestato la sanzione applicata, rigettando tutti gli altri perché inammissibili.

"La Corte territoriale aveva, infatti, in relazione al dedotto diritto di critica, congruamente motivato l'insussistenza dei requisiti che consentono di ritenere scriminata la condotta ascritta all'imputato in virtù dell'esercizio del detto diritto, sottolineando la totale gratuità delle espressioni adoperate, e ciò al di là della veridicità o meno di alcuni aspetti della vicenda da cui esse trassero spunto. Ha spiegato la Corte - condividendo e rinviando alla dettagliata ricostruzione del primo giudice fatta propria con motivazione non meramente confermativa ma criticamente rivalutativa - che in alcun modo potessero ritenersi assistite dal requisito della continenza - rispetto al contesto di tipo economico in cui si inseriscono - le frasi pubblicate, risolventesi, piuttosto, esse, per le modalità espressive, oltre che per i contenuti, in una gratuita aggressione della dignità della persona."

Sulla valutazione delle testimonianze invece la Cassazione evidenzia come non si possa, in sede di legittimità, procedere alla rilettura degli elementi di fatto, già valutati dal giudice di secondo grado.Per quanto riguarda la causa di non punibilità in presenza della provocazione, per la Cassazione la corte d'appello ha "giustamente osservato che non vi è spazio nel caso in scrutinio per la provocazione, pure invocata dal ricorrente, tenuto conto che questi non è peraltro nemmeno il soggetto direttamente interessato, trattandosi solo dello zio dell'ex coniuge della persona offesa, circostanza che rende ancor più gratuito e in alcun modo giustificabile il suo attacco alla persona offesa, che era peraltro – solo ricorsa al giudice civile per far valere suoi presunti diritti (la cui infondatezza non era certo attaccabile con aggressioni alla sfera personale né tanto meno alla sfera sessuale della medesima che esula del tutto dalle questioni in gioco)."

Inammissibile infine il motivo del ricorso con cui si contesta la mancata prova del danno riportato dalla persona offesa, visto che la valutazione equitativa compiuta dal giudice è sindacabile in sede di legittimità solo se ingiustificata o scollegata dai dati di comune esperienza o contraddittoria. Vizi che gli Ermellini non hanno rilevato nel percorso argomentativo della corte d'appello.

Leggi anche:

- Facebook: reato di diffamazione aggravata anche per chi commenta

- Diffamazione aggravata per l'utilizzo della "bacheca" Facebook

- Facebook: post offensivi integrano il reato di diffamazione?


Tutte le notizie