Data: 29/07/2019 17:30:00 - Autore: Antonella Trentini

Avv. Antonella Trentini - La pronuncia che si annota, resa dal TAR Lazio con sentenza n. 7713 del 14.06.2019 (sotto allegata), offre lo spunto ritornare, ancora una volta, su un tema che pare non trovar pace: l'orario di lavoro degli avvocati dipendenti e la sua rilevazione.

Il peculiare status dell'avvocato dipendente

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Fra una statuizione e il suo opposto, la giurisprudenza pare assestarsi sulle originarie posizioni, espresse con chiarezza argomentativi sin dal 2009, per le quali la rilevazione delle presenze in servizio utilizzate per tutto il personale, mal si conciliavano con la peculiarità dello status degli avvocati dipendenti, che non ne consente la piena assimilabilità al restante personale, poiché la rigidità ed indifferenziata regolazione, non tiene conto della suddetta diversità né della particolarità del servizio svolto dal personale legale, il quale si caratterizza per delicati compiti ed attività in gran parte svolti all'esterno degli uffici, compiti he sfuggono alla gestione ed alla pianificazione dell'ente datore di lavoro in quanto stabiliti dal sistema giudiziario (TAR Salerno, II, n. 443 del 15/5/2009).

La sentenza n. 7713/2019 offre inoltre lo spunto per rinnovare alcune considerazioni, anche alla luce delle innovazioni normative intervenute nel corso degli ultimi anni, sul peculiare status giuridico degli avvocati dipendenti delle amministrazioni pubbliche.

Suole dirsi che l'avvocato pubblico possiede un doppio status: pubblico dipendente da un lato e professionista dall'altro, con tutte le implicazioni scaturenti da tale duplicità, sia in termini di potestà disciplinare, dell'ente per il primo, e dell'Ordine per il secondo status, sia in termini di funzioni e ruoli fissati dalla legge forense all'art. 23, nel silenzio assordante della disciplina nazionale del pubblico impiego (TUPI).

La duplicità di status dell'avvocato pubblico si riflette inoltre sulla struttura del trattamento economico, ma non è questa la sede per la disamina di tale aspetto.

Il costante e consolidato orientamento - tanto del C.N.F. (cfr., tra gli altri, parere 25/01/2006, n. 1) quanto della Suprema Corte di Cassazione - in tema di iscrizione nell'elenco degli avvocati presso enti pubblici ribadisce che gli avvocati iscritti negli elenchi speciali debbano svolgere la loro attività presso uffici legali istituiti presso gli enti pubblici con carattere di autonomia e separatezza rispetto agli altri uffici e che il loro ius postulandi differisce da quello del professionista esterno per la sola limitazione alle cause ed agli affari propri dell'ente pubblico di cui sono dipendenti. Ciò allo scopo di garantire quell'irrinunciabile esigenza di salvaguardare l'autonomia di giudizio e d'iniziativa degli avvocati, normalmente garantita nell'esercizio della professione in forma libera (tra le altre, Cass. SS.UU. 19 agosto 2009, n. 18359; 10 novembre 2000, n. 1164; 19 giugno 2000, n. 450; 6 giugno 2000, n. 418; 18 maggio 2000, n. 363).

Al fine di realizzare le predicate condizioni di autonomia, la giurisprudenza concorda nell'evidenziare che l'istituzione di un ufficio legale nell'ambito di un ente pubblico determina l'insorgenza di una struttura che si differenzia da ogni altro centro operativo e postula una diretta connessione unicamente con il vertice decisionale dell'ente stesso, al di fuori, quindi, di ogni altra intermediazione (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 16 settembre 2004, n. 6023; T.A.R. Molise 9 gennaio 2002 n. 1). In particolare, si è affermato confliggere con i richiamati principi il regolamento che, nell'istituire un ufficio legale quale servizio autonomo, ma nell'ambito di un ufficio di settore, collochi quest'ultimo all'interno di un ufficio di coordinamento, con la possibilità di menomare seriamente, in tal caso, l'autonomia e l'indipendenza del professionista, in forza dei molteplici livelli di controllo e coordinamento cui è soggetto in forza della struttura organizzativa prescelta (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 16 settembre 2004, n. 6023, e da ultimo TAR Campania, sentenza n. 332 del 25/2/2019).

La giurisprudenza sull'orario di lavoro

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Sempre il TAR per la Campania, alcuni anni dopo intervenne sulla materia della rilevazione delle presenze, con le sentenze n. 547 del 24/1/2013 e n. 1045 del 17/2/2014, ribadendo l'incompatibilità logica e strutturale sussistente fra le mansioni implicate dal profilo professionale di avvocato e il sistema automatico di rilevazione fondato sul cd. "badge", ancorché previsto in astratto come alternativo alla rilevazione delle presenze mediante apposito foglio, tenuto conto che spetta comunque all'amministrazione decidere di quale modalità concreta valersi in un certo momento storico.

Il sistema di rilevazione automatica, a parere della giurisprudenza amministrativa, «si risolve, quanto meno in astratto (anche al di la' delle intenzioni di chi decide di adottarlo), in uno strumento idoneo obiettivamente a produrre una limitazione dei profili di autonomia professionale e di indipendenza che vanno invece riconosciuti a questa figura, per prassi amministrativa, dalla costante giurisprudenza e soprattutto nel rispetto della vigente legislazione.

D'altra parte, l'avvocato di un ente pubblico, al pari del collega libero professionista, per intuibili ragioni connesse alle esigenze di patrocinio, è spesso costretto ad assentarsi dal posto di lavoro per raggiungere le sedi giudiziarie dove pendono le controversie in cui è parte l'ente da lui rappresentato ed è evidente quanto siffatta necessaria mobilità, spesso plurima in una stessa mattinata, sia in contrasto con gli obblighi, ma anche con le formalità ed i tempi legati ad un (obbligatorio) utilizzo del badge ed anche, come spesso è imposto, con la preventiva comunicazione dei servizi esterni a responsabili amministrativi, «a sua volta incompatibile con la spesso non prevedibile esigenza di prestare la propria attività professionale fuori della sede di servizio interno». Principi costantemente recepiti (cfr., da tempi risalenti, in materia di sistemi di rilevazione automatica della presenza degli avvocati degli enti pubblici: TAR Campania, Napoli, Sez. II, 4 dicembre 1996 n. 560; TAR Napoli , sez. V, 13.04.2012, n. 1727).

Difatti, anche la Corte Costituzionale, sin dal 1988, ebbe a intervenire sullo status dell'avvocato pubblico riconoscendo come «secondo l'ormai costante indirizzo giurisprudenziale dei giudici amministrativi, gli avvocati e i procuratori degli enti pubblici, sono da considerarsi nello stesso tempo sia professionisti, sia impiegati, nel senso che, nello svolgimento del loro lavoro professionale hanno garantita una posizione di indipendenza e sono sottoposti al controllo dei Consigli dell'Ordine professionali». Di conseguenza, «per assicurare il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione, la disciplina dell'orario per gli stessi avvocati, in base e per effetto delle varie fonti di diverso livello, non è uniforme e rigida ma articolata e differenziata a seconda delle varie situazioni ed esigenze del personale» (Corte Cost., 8.7.1988, n. 928).

Solo negli ultimissimi anni (in specie 2017 e 2018), si è registrato un révirement della giurisprudenza, in contrasto col dato normativo, sia di ordine generale (d.lgs. 165/2001 ss.mm., d.lgs. 30/2006; d.P.R. 333/1990), che di carattere speciale (L.F. 247/2012). Si rammenta a tal fine la sentenza del Consiglio di Stato n. 5538/2018, confermativa della sentenza TAR Salerno n. 1368/2016, a mente della quale non risultano lese le prerogative di autonomia e indipendenza riconosciuti agli avvocati pubblici, da ordini di servizio riconducibili alla verifica funzionale del rispetto degli obblighi lavorativi di diligenza e correttezza nei confronti dell'ente, che obbligano anche i legali iscritti all'elenco speciale.

Secondo tale circoscritto filone di pensiero, detti ordini di servizio non costituiscono «indebita ingerenza nell'esercizio della professione forense, in quanto l'attività è sottoposta a forme di controllo doverose e coerenti con la partecipazione dell'ufficio dell'avvocato dell'ente pubblico all'organizzazione amministrativa dell'ente».

La normativa sull'orario di lavoro

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Analizzando il dato normativo ne emerge la conferma degli orientamenti giurisprudenziali maggioritari.

Invero, a norma del d.lgs. n. 165/2001 (art. 40, comma 2, ultima parte), «per le figure professionali che, in posizione di elevata responsabilità svolgono compiti di direzione o che comportano iscrizione ad albi oppure tecnico scientifici e di ricerca, sono stabilite discipline distinte nell'ambito dei contratti collettivi di comparto». Mentre il successivo art. 69, comma 11, stabilisce che «in attesa di un'organica normativa della materia, restano ferme le norme che disciplinano, per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, l'esercizio delle professioni per le quali sono richieste l' abilitazione o l'iscrizione ad ordini o agli albi professionali». Se a tali norme si aggiunge l'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 30/2006, secondo cui «l'esercizio dell'attività professionale in forma di lavoro dipendente si svolge secondo specifiche disposizioni normative che assicurino l'autonomia del professionista», e l'art. 33 del d.p.r. n. 333/1990, che, disciplinando l'ordinamento professionale, distingue genericamente fra "area amministrativa, contabile e tecnica", senza occuparsi in modo preciso dell'assetto organizzativo degli uffici legali, lasciando, quindi, alla discrezionalità del vertice politico di ciascun ente l'effettuazione delle scelte ritenute in concreto più opportune, anche connesse specificamente alla professione forense.

Tuttavia, a parere della giurisprudenza maggioritaria, fattori quali la peculiarità dello status, l'unicità della professione forense esercitata sia alle dipendenze che in forma libero professionale e delle incombenze processuali e di cancelleria, la lettura combinata delle norme succitate, costituiscono sufficienti indicatori per ritenere «censurabile un sistema di rilevazione automatica delle presenze in ufficio che, non contemplando le doverose ed indispensabili deroghe nei confronti degli avvocati dell'ente, appare idoneo ad incidere negativamente sull'articolata attività svolta da tali professionisti, tanto nelle aule di giustizia quanto nelle altre sedi ove è indispensabile esercitare efficacemente la funzione defensionale nell'interesse esclusivo dell'amministrazione di appartenenza».

D'altra parte non può essere trascurato il significato di orario di lavoro e di orario di servizio per il lavoro alle dipendenze della P.A., né quale sia il fine eziologico di tali entità.

La materia dell'orario di servizio e dell'orario di lavoro dei dipendenti delle Amministrazioni pubbliche assume particolare rilevanza nel processo di modernizzazione delle Amministrazioni pubbliche, di apertura degli uffici al pubblico e di armonizzazione delle modalità di erogazione dei servizi pubblici con le realtà prevalenti nei Paesi dell'Unione Europea. L'obiettivo della normativa che fissa tali caratteri è rendere le attività delle Amministrazioni pubbliche, specialmente di quelle che erogano servizi, funzionali alle esigenze dei cittadini.

L'organizzazione delle strutture va dunque informata alle esigenze degli utenti dei servizi e le prestazioni lavorative dei dipendenti pubblici sono a loro volta funzionali alla erogazione dei servizi ai cittadini.

Si spiega così che, nell'organizzazione delle strutture, per l'espletamento delle proprie funzioni istituzionali, si debbano modellare l'orario degli uffici pubblici e, nel rispetto dell'orario contrattuale, l'orario di lavoro dei dipendenti delle Amministrazioni pubbliche sulle esigenze dell'utenza, di cui le strutture pubbliche, e, nel loro ambito, i dirigenti responsabili, devono sapersi fare interpreti.

Senonché, le funzioni istituzionali cui sono preposti gli avvocati dipendenti, sono quelle di difesa dell'ente, difesa che si svolge in orari e luoghi diversi dalla sede dell'Amministrazione, sottratti al potere sartoriale di indirizzo dell'attività e non influisce sui servizi erogati ai cittadini.

Dunque il problema del controllo sull'orario di servizio è un problema di lana caprina, poiché l'Ente dovrebbe essere preoccupato di reperire concorsulamentj i migliori professionisti, che vincano le cause nei tempi e con le scadenze stabilite dai codici processuali e dalla magistratura.

Lo stesso Giudice del lavoro ha recentemente ribadito come l'attività dell'avvocato dipendente non è strettamente correlata alla presenza fisica presso la sede di lavoro. Infatti, «l'attività professionale, ivi compresa quella di studio e di redazione degli atti, ben può essere svolta fuori dall'ufficio e, in particolare, nella propria abitazione, trattandosi di attività che non richiede necessariamente la presenza in ufficio». In particolare, ha ricordato come la giurisprudenza amministrativa ha più volte affermato il seguente condivisibile orientamento: «L' attività degli avvocati, anche se pubblici dipendenti, è soggetta a scadenze e ritmi di lavoro che sfugge alla potestà organizzativa delle Amministrazioni, dipendendo dalle esigenze dei processi in corso nei quali essi sono impegnati, l'esercizio dell'attività di avvocato pubblico comportando, infatti, operazioni materiali (precipuamente procuratorie) ed intellettuali (esemplificatamente studio della controversia e predisposizione delle difese) necessitate dai tempi delle scadenze processuali e proiettate all'esterno, direttamente ascrivibili alla responsabilità del professionista che le svolge. Ne deriva che il principio da tenere fermo è che gli Avvocati dipendenti da Enti Pubblici, nell'esercizio delle funzioni di rappresentanza e difesa giudiziale e stragiudiziale dell'Amministrazione, in attuazione del mandato in tal senso ricevuto, sono dei professionisti i quali non possono essere costretti ad un'osservanza rigida e rigorosa dell'orario di lavoro alla stessa stregua degli altri dipendenti, senza tenere conto della peculiarità dell'attività da loro svolta»(Tribunale del Lavoro di Chieti, sentenza n. 96 del 13/4/2017).

In conclusione, la giurisprudenza, intervallata solo dall'arresto menzionato, ha ritenuto per lo più che la scelta del legislatore sia stata orientata «nel senso di non considerare assimilabili le due categorie di dipendenti pubblici e di valutare come prevalente la legge che disciplina l'attività dei professionisti legali rispetto alla disciplina del pubblico impiego, (…) diversamente incidendo sulla libertà di azione e di movimento, inscindibilmente connesse all'esercizio dello ius postulandi, destinata a compromettere proprio l'autonomia e l'indipendenza degli avvocati, da sempre poste alla base dello svolgimento della specifica attività professionale e, dunque, costitutive della differenziazione sussistente con gli altri dipendenti pubblici».

Ciò non toglie che lo status di dipendente receda sino a scomparire. Tutt'altro. E' pertanto corretta la necessità del datore di lavoro pubblico di essere a conoscenza della presenza in servizio del proprio avvocato, ma la verifica delle presenze «assume il crisma della legittimità laddove si esplichi attraverso speciali modalità di accertamento dell'orario di lavoro, in ragione della peculiarità della prestazione del servizio» (Consiglio di Stato, sez. VI, 17.3.1994, n. 346).

La decisione del TAR per il Lazio

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Con ricorso proposto al TAR per il Lazio, un gruppo di dipendenti pubblici, tutti avvocati, impugnavano un provvedimento della propria Amministrazione con il quale erano stati unilateralmente apportate modifiche, fra gli altri motivi che qui non rilevano, anche agli obblighi di servizio, come l'orario di presenza in ufficio.

A tale specifico fine i ricorrenti lamentavano la violazione dei principi stabiliti in materia di pubblico impiego dal d.lgs. n. 165/2001, in quanto «gli avvocati dipendenti da Enti Pubblici non potrebbero essere costretti ad un'osservanza rigida dell'orario di lavoro alla stessa stregua degli altri dipendenti».

Primariamente il giudice amministrativo ha dichiarato la propria giurisdizione, e non quella del giudice del lavoro, in quanto l'atto amministrativo contestato era stato impugnato in via principale e non incidentale.

Nel merito della questione il TAR per il Lazio, obliterato il modesto arresto sopra menzionato, si è riposizionato sul l'orientamento maggioritario, concorde nel riconoscere il delicato status professionale prevalente su quello unicamente dipendente.

Il giudice ha infatti ritenuto che, in tema di obblighi di orario in capo agli avvocati degli enti pubblici, «l'attività degli avvocati, anche se pubblici dipendenti, è soggetta a scadenze e ritmi di lavoro che sfugge alla potestà organizzativa delle Amministrazioni, dipendendo dalle esigenze dei processi in corso nei quali essi sono impegnati, l'esercizio dell'attività di avvocato pubblico comportando, infatti, operazioni materiali (precipuamente procuratorie) ed intellettuali (esemplificante studio della controversia e predisposizione delle difese) necessitate dai tempi delle scadenze processuali e proiettate all'esterno, direttamente ascrivibili alla responsabilità del professionista che le svolge».

Ne deriva quale necessario corollario che il principio da tenere fermo è che gli Avvocati dipendenti da Enti Pubblici, nell'esercizio delle funzioni di rappresentanza e difesa giudiziale e stragiudiziale dell'Ente, in attuazione del mandato in tal senso ricevuto dal vertice dell'Ente, «sono dei professionisti i quali non possono essere costretti ad un'osservanza rigida e rigorosa dell'orario di lavoro alla stessa stregua degli altri dipendenti, senza tener conto della peculiarità dell'attività da loro svolta».

Ogni lavoratore dipendente è tenuto ad osservare un orario di lavoro, che corrisponde all'articolazione temporale della prestazione lavorativa che ciascun dipendente è tenuto a rendere nell'ambito del proprio rapporto lavorativo, e corollario della fissazione di un orario di lavoro e di servizio, è l'adozione di sistemi di rilevazione delle presenze, attraverso la rilevazione manuale (fogli di presenza), o automatizzata (badge), entrambe destinate ad attestare, da parte del pubblico dipendente, la circostanza materiale che afferisce al rapporto di lavoro tra questi e la pubblica amministrazione (soggetto a disciplina privatistica), non essendo revocabile in dubbio la funzione attestativa ed autocertificativa che la sottoscrizione del "foglio di presenza" o lo "striscio" del badge assume agli effetti del rispetto dell'orario di lavoro e dell'espletamento in concreto delle proprie mansioni, essendo, appunto, volta a dimostrare (la presenza sul luogo di lavoro).

Né l'avvocato può sottrarsi a tale funzione attestati ed autocertificativa.

Tuttavia, la giurisprudenza maggioritaria ha ben sintetizzato che non tutti i dipendenti pubblici sono uguali, poiché le differenti funzioni che sono chiamati a svolgere necessitano di strumenti ad esse adeguati. L'adeguatezza dello strumento di verifica della presenza in servizio mal si concilia con regolamentazioni massive attesa l'incompatibilità logica e strutturale fra questi e le mansioni implicate dal profilo professionale degli avvocati dipendenti, come riconosciute alla figura dell'avvocato, per prassi amministrativa, dalla costante giurisprudenza e soprattutto nel rispetto della vigente legislazione.

Gli Avvocati di Ente Pubblico sono lavoratori dipendenti e professionisti, che hanno come unico ed esclusivo cliente l'Ente di appartenenza, in favore del quale espletano, ben oltre gli orari del restante personale dell'Ente, l'attività di rappresentanza e difesa in giudizio: attività che si esplica prevalentemente al di fuori dell'Ufficio Avvocatura: per queste ragioni «tale attività mal si presta ad essere monitorata con il cartellino marcatempo e/o badge, anzi l'obbligo del cartellino marcatempo e/o della preventiva richiesta di autorizzazione al proprio Avvocato Dirigente ogni qualvolta risulta necessario l'espletamento di un'attività professionale all'esterno dell'Ufficio costituisce un defatigante adempimento, ostativo di un efficace ed ottimale svolgimento dell'attività professionale. Ma, poiché gli Avvocati degli Enti Pubblici, oltre che professionisti iscritti al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati, sono anche dipendenti dell'Ente Pubblico di appartenenza, in favore del quale svolgono anche l'attività di consulenza, risulta necessario che venga garantita una loro presenza giornaliera e/o quotidiana negli Uffici del Comune. Infatti, da tale doppio status ed anche dal principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione di cui all'art. 97, comma 1, Cost., consegue un aumento della responsabilità e del dovere di leale collaborazione degli Avvocati di Enti Pubblici verso il loro datore di lavoro per tutti gli aspetti e/o le modalità in cui viene espletata sia l'attività di rappresentanza e difesa in giudizio, sia l'attività di consulenza legale. Da ciò discende che gli Avvocati del Comune possono tranquillamente e discrezionalmente (cioè senza essere sindacati) svolgere la propria attività all'esterno dell'Ufficio, senza dover chiedere alcuna autorizzazione, e/o tutt'al più dovrebbero utilizzare il cartellino marcatempo soltanto una o due volte al giorno cioè in entrata e/o in uscita, senza vincoli di orario. Dunque, per rendere legittimo l'impugnato art. 1, comma 7, del Regolamento dell'Avvocatura comunale, le parole "ordinaria presenza in servizio" andrebbero sostituite con le parole "ogni giorno la presenza in servizio, senza vincoli di orario"».

La querelle legata all'orario di lavoro per gli avvocati dipendenti non è certo risolta dalla pronuncia del TAR per il Lazio dei giorni scorsi, mentre sarebbe potuta essere risolta ex lege, qualora il legislatore della riforma forense, nel primo passaggio fra Senato e Camera, non avesse immotivatamente espunto, al comma 1, terzo periodo, dopo le parole "è garantita l'autonomia", la locuzione: "anche dell'organizzazione dei relativi tempi".

Poche parole quelle eliminate, ma che avrebbero risparmiato tanto contenzioso alle pubbliche amministrazioni ed agli avvocati, che dovrebbero occuparsi di difendere gli enti, non di far loro causa.


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