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Data: 22/08/2019 05:00:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - Niente attribuzione del cognome paterno al figlio, nato fuori dal matrimonio, se questi si oppone fortemente chiedendo di rimanere con quello materno. Oltre alla contraria volontà del minore rileva la circostanza che sia in età preadolescenziale/adolescenziale, sintomatico di un potenziale inserimento in una rete di relazione sociali e della capacità di avere una marcata cognizione identitaria del sé, espressa dal cognome materno che la individuava dalla nascita. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, prima sezione civile, nella sentenza n. 21349/2019 (qui sotto allegata) respingendo la richiesta di un padre che aveva chiesto che il suo cognome venisse aggiunto a quello materno della figlia 15enne nata fuori dal matrimonio.
Attribuzione cognome al figlio nato fuori dal matrimonio[Torna su] Sul punto, gli Ermellini richiamano quanto previsto dall'art. 262 c.c. circa l'attribuzione del cognome al figlio nato fuori del matrimonio: la norma chiarisce che il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto e, qualora la filiazione nei confronti del padre sia stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte della madre, il figlio potrà assumere il cognome del padre aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello della madre. Tuttavia, al figlio viene consentito di mantenere il cognome precedentemente attribuitogli ove tale cognome sia divenuto autonomo segno della sua identità personale. In particolare, in caso di minorenni, il giudice decide circa l'assunzione del cognome del genitore, previo ascolto del figlio minore, che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento. Anche la giurisprudenza di legittimità si è espressa sull'argomento precisando, in tema di attribuzione giudiziale del cognome al figlio nato fuori dal matrimonio e riconosciuto non contestualmente dai genitori, che i criteri di individuazione del cognome del minore si pongono in funzione del suo interesse, che è quello di evitare un danno alla sua identità personale, intesa anche come proiezione della sua personalità sociale, avente copertura costituzionale assoluta. La decisione del giudice[Torna su] La scelta, anche officiosa, del giudice è ampiamente discrezionale e deve avere riguardo al modo più conveniente di individuare il minore in relazione all'ambiente in cui è cresciuto fino al momento del successivo riconoscimento, non potendo essere condizionata dall'esigenza di equiparare il risultato a quello derivante dalle diverse regole, non richiamate dall'art. 262 c.c., che presiedono all'attribuzione del cognome al figlio nato nel matrimonio (Cass. 12640/2015). Il giudice è dunque investito del potere-dovere di decidere su ognuna delle possibilità offerte dal menzionato art. 262, avendo riguardo, quale criterio di riferimento, unicamente all'interesse del minore e con esclusione di qualsiasi automaticità, che non riguarda né la prima attribuzione, essendo inconfigurabile una regola di prevalenza del criterio del "prior in tempore", né il patronimico per il quale non sussiste alcun "favor" in sé nel nostro ordinamento. Ciò perché, si legge nel provvedimento, il diritto al nome costituisce uno dei diritti fondamentali della persona e ciò che rileva non è l'esigenza di rendere la posizione del figlio nato fuori dal matrimonio quanto più simile possibile a quella del figlio di coppia coniugata, quanto piuttosto quella di garantire l'interesse del figlio a conservare il cognome originario se questo sia divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale in una determinata comunità (Cass. n. 17139/2017). Niente cognome paterno se la figlia adolescente si oppone[Torna su] Nel caso di specie, il grave deterioramento dei rapporti padre figlia e la circostanza dell'avvenuto riconoscimento arrestatosi allo stadio di diritto, senza tradursi in una affectio genitoriale e filiale nonostante i tentativi condotti anche con l'ausilio dei Servizi sociali, fanno ritenere illogica la scelta dell'attribuzione del cognome paterno operata, nella specie, dal giudice d'appello. La sentenza impugnata, dunque, non ha fatto correttamente utilizzo dei criteri volti a preservare l'interesse della minore a evitare un danno alla sua identità personale, intesa anche come proiezione della sua personalità sociale. Il giudice a quo ha trascurato sia la contraria volontà della minore ad acquisire il cognome del padre, sia il fatto storico costituito dall'età della ragazza, già in fase preadolescenziale/adolescenziale, che suggerisce un potenziale inserimento in una rete di rapporti sociali nonché la percezione della propria identità espressa attraverso il cognome materno che aveva dalla nascita.
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