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Data: 24/08/2019 23:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate di Annamaria Villafrate - Integra il reato di vilipendio ai danni dello Stato pubblicare sul proprio profilo Facebook la foto di una nave di guerra accompagnata da una frase offensiva per l'Italia. Queste le conclusioni della sentenza n. 35988/2019 (sotto allegata) della Cassazione, che respinge il ricorso di un militare, condannato a un anno e quattro mesi di reclusione in sede di merito. La vicenda processualeLa Corte militare di appello di Roma conferma la sentenza del Tribunale militare di Napoli che ha dichiarato C.P.C colpevole del reato di vilipendio della Repubblica, aggravato ai sensi degli artt. 81 e 47, primo comma n. 2, cod. pen. mil. pace, condannandolo alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione militare. Per i giudici di merito, l'imputato, tenente di vascello pilota della Marina Militare Italiana, in data 27.12.2015, per aver pubblicato sul proprio profilo Facebook, la foto di una nave da guerra e la scritta "Fincantieri: collaborazione con l'India per sette fregate Stealth Imola Oggi", commetteva reato di vilipendio alla repubblica scrivendo sulla pagina una frase offensiva per l'Italia, indicata come "uno Stato di merda." Ricorrevano quindi in Cassazione i difensori dell'imputato lamentando:
Reato di vilipendio insultare lo Stato su FacebookLa Corte di Cassazione, con sentenza n. 35988/2019 dichiara il ricorso inammissibile, ritenendo infondati i motivi sollevati in difesa dell'imputato. Gli Ermellini prima di tutto ricordano che: "Il reato di vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle forze armate consiste nel disprezzare, tenere a vile, ricusare qualsiasi valore etico, sociale o politico alle istituzioni predette, considerate nella loro entità astratta ovvero concreta, ossia nella loro essenza ideale oppure quali enti concretamente operanti. L'elemento soggettivo del delitto di vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle forze armate consiste nel dolo generico, con conseguente irrilevanza dei motivi particolari che possano aver indotto l'autore a commettere consapevolmente il fatto vilipendioso addebitato. È stato chiarito, inoltre, che il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero (art. 21 Cost.) e, correlativamente, quello di associarsi liberamente in partiti politici (art. 49 Cost.) per manifestare determinate ideologie, al fine di concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale, trovano un limite non superabile nella esigenza di tutela del decoro e del prestigio delle istituzioni, per cui l'uso di espressioni di offesa, disprezzo, contumelia costituisce vilipendio punibile ex art 290 cod. pen. Il diritto di critica e libera manifestazione del pensiero supera il suo limite giuridico costituito dal rispetto del prestigio delle istituzioni repubblicane e decampa, quindi, nell'abuso del diritto, cioè nel fatto reato costituente il delitto di vilipendio, allorché la critica trascenda nel gratuito oltraggio, fine a se stesso. In riferimento al requisito di pubblicità del messaggio, la giurisprudenza della Corte di legittimità è ormai costante nel ritenere che la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l'uso di una bacheca Facebook integra un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595, comma terzo, cod. pen., poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone." Il fatto poi che l'imputato abbia utilizzato nello specifico il termine "Stato" rende la condotta non riconducibile al reato di cui all'art. 82 del cod. pen. mil. sul vilipendio della Nazione Italiana. Il commento riguarda infatti un "articolo sui rapporti commerciali tra l'Italia e l'India, quindi non può essere riferito alla Nazione, ossia alla comunità di individui, ma allo Stato, cioè al soggetto inquadrabile e riconoscibile proprio in quegli organi indicati dalla lettera dell'art. 81 cod. pen. mil. pace, quali, ad esempio, il Governo e le Assemblee legislative." |
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