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Data: 23/08/2019 16:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate di Annamaria Villafrate - La Corte d'Appello di Campobasso, nella sentenza n. 84/2019 (sotto allegata) chiarisce che costituisce violazione della privacy che da diritto al risarcimento del danno, trasmettere in TV l'immagine di una persona mentre testimonia in un processo penale. Il diritto di cronaca e di informazione devono sempre tenere conto anche della normativa prevista a tutela della persona e della sua immagine, come gli artt. 96 e 97 della legge sul diritto d'autore n. 633/1941, gli artt. 137 e 139 del Dlgs n. 196/2003, l'art. 8 del codice deontologico dei giornalisti e l'art 10 del codice civile. Per poter procedere alla trasmissione televisiva dell'immagine di un testimone, come richiede anche l'art. 147 disp att. c.p.p occorre prima il suo consenso. La vicenda processualeUn soggetto conviene in giudizio una S.P.A, chiedendo, oltre al divieto di diffondere ulteriormente le immagini che lo ritraevano, anche la condanna al risarcimento di 200.000, euro a titolo di risarcimento dei danni morali e patrimoniali causatigli dalla trasmissione "Un giorno in Pretura" poiché, nonostante avesse negato il consenso ad essere ripreso mentre rendeva testimoninanza, le immagini video che lo riguardavano erano state trasmesse. La S.P.A convenuta chiedeva il rigetto della domanda poiché "dalla trascrizione del verbale di udienza non risultava che il (...), presidente provinciale dell'associazione "(...)", avesse chiesto di non essere ripreso durante la testimonianza" inoltre nel caso di specie sussisteva un rilevante interesse pubblico alla diffusione delle immagini del processo "nel corretto esercizio del diritto di cronaca, dell'udienza dibattimentale in questione, concernente il caso dell'omicidio di una donna e della sua bambina commesso ... in provincia di Campobasso." La sentenza n. 54/2016 del Tribunale aveva accolto in parte le richieste dell'attore perché, a seguito di CTU sul DVD che riproduceva la trasmissione televisiva e sul floppy disk della fonoregistrazione dell'udienza del 15/11/2016, risultava in effetti che testimone "aveva espressamente dichiarato di non volere essere ripreso (avendo chiesto di "non andare in video")", ragion per cui doveva riconoscersi al richiedente la somma di 50.000 euro a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale per l'accertata reazione ansioso depressiva cronica derivante dalla lesione all'immagine subita. Ricorre in appello la S.P.A soccombente lamentando principalmente l'assenza di un danno risarcibile poiché il testimone è stato ripreso"per pochi secondi mentre rendeva dichiarazioni neutre "e non individuato mediante nome e cognome, ma quale "presidente provinciale dell'associazione (...)", in base alle scritte presenti nel "sottopancia" delle immagini." Riprendere senza consenso costituisce violazione del diritto all'immagineLa Corte d'Appello di Campobasso respinge l'appello ritenendo infondati entrambi i motivi del ricorso. Nel motivare la decisione la corte richiama la principale normativa e giurisprudenza di riferimento in materia di riprese audiovisive nel corso di un processo e diritto alla tutela della propria immagine. La prima norma richiamata dalla corte è l'art. 147 delle disp. Att. del c.p.p secondo cui: "1. Ai fini dell'esercizio del diritto di cronaca, il giudice con ordinanza, se le parti consentono, può autorizzare in tutto o in parte la ripresa fotografica, fonografica o audiovisiva ovvero la trasmissione radiofonica o televisiva del dibattimento, purché non ne derivi pregiudizio al sereno e regolare svolgimento dell'udienza o alla decisione. 2. L'autorizzazione può essere data anche senza il consenso delle parti quando sussiste un interesse sociale particolarmente rilevante alla conoscenza del dibattimento. 3. Anche quando autorizza la ripresa o la trasmissione a norma dei commi 1 e 2, il presidente vieta la ripresa delle immagini di parti, testimoni, periti, consulenti tecnici, interpreti e di ogni altro soggetto che deve essere presente, se i medesimi non vi consentono o la legge ne fa divieto. 4. Non possono in ogni caso essere autorizzate le riprese o le trasmissioni dei dibattimenti che si svolgono a porte chiuse a norma dell'articolo 472 commi 1, 2 e 4 del codice." Attraverso il richiamo di alcuni precedenti giurisprudenziali della Cassazione la Corte, per avvalorare il risarcimento del danno concesso dal giudice di primo grado richiama l'art. 10 c.c. Il quale dispone espressamente che: "Qualora l'immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l'esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l'autorità giudiziaria, su richiesta dell'interessato, può disporre che cessi l'abuso, salvo il risarcimento dei danni." La diffusione dell'immagine altrui non può sempre considerarsi legittima, al solo fine di garantire l'esercizio del diritto di cronaca. Occorre infatti rispettare quanto previsto dagli artt. 96 e 97 della legge sul diritto d'autore n. 633/1941, dagli artt. 137 e 139 del Dlgs n. 196/2003 e dell'art. 8 del codice deontologico dei giornalisti, poiché è necessario sempre contemperare il diritto di cronaca con il diritto a vedere tutelata la propria immagine. Alla luce di quanto esposto la Corte, richiamando un importante precedente della Cassazione, chiarisce quindi che: "In quest'ottica, la mera circostanza che l'immagine pubblicata appartenga ad un soggetto cui è riferibile una vicenda rispetto alla quale sia configurabile un interesse alla conoscenza da parte del pubblico non può considerarsi sufficiente a legittimarne la riproduzione e la diffusione, occorrendo a tal fine un quid pluris, consistente nella necessità che tale divulgazione risulti essenziale per la completezza e la correttezza dell'informazione fornita (Cass. civ. Sez. I, Ord., 9/07/2018, n. 18006)." |
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