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Data: 27/08/2019 21:00:00 - Autore: Redazione di Redazione - Se il figlio maggiorenne e vaccinato ha un lavoro, seppur temporaneo e mal retribuito, e poi lo perde, il genitore è obbligato a continuare a mantenerlo? A fare chiarezza in materia è una recente ordinanza della Cassazione, la n. 19696/2019 (sotto allegata). La vicenda[Torna su]
Nella vicenda trattata dalla Corte, il tribunale di Avellino pronunciando la separazione personale dei coniugi revocava l'obbligo di mantenimento a favore dei figli gravante sul padre, rilevando che entrambi ormai maggiorenni avevano iniziato a lavorare e avevano dimostrato la capacità di produrre reddito. L'ex moglie non ci stava e proponeva appello lamentando che il percepimento di reddito per un certo periodo da parte del figlio minore non giustificava la revoca dell'assegno di mantenimento dato che negli anni successivi egli aveva percepito guadagni molto inferiori o praticamente inesistenti. Quanto al figlio maggiore, la donna sosteneva che lo stesso non aveva ancora completato la sua formazione professionale e che lo svolgimento di attività lavorativa occasionale non poteva considerarsi circostanza idonea al raggiungimento di una situazione di autosufficienza economica. Le doglianze della donna venivano accolte in appello e il padre adiva dunque la Cassazione. Per la sesta sezione civile, il ricordo dell'uomo è fondato. L'obbligo del mantenimento[Torna su]
La sentenza della Corte di appello fa consistere l'obbligo di mantenimento nei confronti dei figli maggiorenni nel sostegno economico cui sono tenuti i genitori sino al raggiungimento e al mantenimento della loro indipendenza economica. Inoltre pone sostanzialmente a carico del genitore la prova della effettiva e stabile autosufficienza o della responsabilità del figlio per la mancata acquisizione di una occupazione che lo renda indipendente. Tale linea interpretativa, per la S.C. "non è coerente con la giurisprudenza di legittimità e non è condivisa da questo Collegio". L'obbligo del mantenimento dei genitori consiste infatti, ricordano dal Palazzaccio, "nel dovere di assicurare ai figli, anche oltre il raggiungimento della maggiore età, e in proporzione alle risorse economiche del soggetto obbligato, la possibilità di completare il percorso formativo prescelto e di acquisire la capacità lavorativa necessaria a rendersi autosufficiente". L'onere della prova[Torna su]
La prova del raggiungimento di un sufficiente grado di capacità lavorativa è ricavabile anche in via presuntiva dalla formazione acquisita e dalla esistenza di un mercato del lavoro in cui essa sia spendibile. La prova contraria non può che gravare sul figlio maggiorenne che pur avendo completato il proprio percorso formativo non riesca ad ottenere, per fattori estranei alla sua responsabilità, una sufficiente remunerazione della propria capacità lavorativa. Tuttavia anche in questa ipotesi vanno valutati, sottolineano i giudici, "una serie di fattori quali la distanza temporale dal completamento della formazione, l'età raggiunta, ovvero gli altri fattori e circostanze che incidano comunque sul tenore di vita del figlio maggiorenne e che di fatto lo rendano non più dipendente dal contributo proveniente dai genitori. Inoltre l'ingresso effettivo nel mondo del lavoro con la percezione di una retribuzione sia pure modesta ma che prelude a una successiva spendita dalla capacità lavorativa a rendimenti crescenti segna la fine dell'obbligo di contribuzione da parte del genitore e la successiva l'eventuale perdita dell'occupazione o il negativo andamento della stessa non comporta la reviviscenza dell'obbligo del genitore al mantenimento" (cfr. tra le altre Cass. n. 6509/2017). La decisione[Torna su]
Nel caso di specie, il giudice di merito non ha correttamente valutato "la conclusione da parte del figlio del percorso formativo i cui frutti egli utilizza in una attività a carattere professionale, e che secondo una valutazione presuntiva ben potrebbe costituire una fonte di reddito idonea a garantire l'autosufficienza economica a chi la presta". Quanto al secondo figlio, invece, la corte d'appello non ha valutato "la circostanza dell'acquisizione di una capacità lavorativa tale da assicurargli una retribuzione stabile nell'arco di due anni". Da qui l'accoglimento del ricorso e la cassazione della decisione impugnata. La parola passa al giudice del rinvio che dovrà decidere applicando la giurisprudenza di legittimità richiamata.
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