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Data: 31/08/2019 14:00:00 - Autore: Giovanni De Lorenzo Avv. Giovanni De Lorenzo - Nella vicenda in commento le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (con sentenza n. 6682/2019 sotto allegata) sono state investite della questione inerente la legittimità e la validità della clausola prevista nel contratto di locazione che pone a carico del conduttore ogni tassa, imposta ed onere relativo all'immobile locato, tenendo conseguentemente manlevato il locatore. Il casoLa vicenda giudiziaria trae origine dalla domanda proposta dalla società conduttrice di accertamento e declaratoria del vantato diritto alla restituzione degli importi versati al locatore, giusto contratto di locazione ad uso ufficio, ed asseritamente non dovuti, stante la ritenuta nullità della clausola contrattuale che attribuiva al conduttore stesso il pagamento dei tributi inerenti l'immobile locato. Più precisamente, la clausola contestata (art.7.2 del contratto di locazione) è la seguente: "Nel corso dell'intera durata del… contratto: (i) il Conduttore si farà carico di ogni tassa, imposta ed onere relativo ai Beni Locati ed al presente Contratto tenendo conseguentemente manlevato il Locatore relativamente agli stessi, (ii) il Locatore sarà tenuto al pagamento delle tasse, imposte ed oneri relativi al proprio reddito". La motivazione delle Sezioni UniteNel valutare la questione, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno analizzato due precedenti sentenze, sempre delle Sezioni Unite, risalenti al 1985 (la n.5 e la n.6445) e richiamate da parte ricorrente, che giunsero a soluzioni diverse pur utilizzando gli stessi presupposti argomentativi.In proposito, nella sentenza in commento viene precisata innanzitutto la differenza fra quanto oggetto di esame nei precedenti del 1985 e la clausola contestata nel presente giudizio: in quest'ultimo caso, "oggetto della clausola in argomento sono non già le imposte dirette gravanti sulla locatrice bensì meramente quelle gravanti sull'immobile e inerenti allo stipulato contratto". Viene, poi, indicato che, a differenza di quanto previsto per legge per l'INVIM (e per altre specifiche imposte), la disciplina riguardante l'ICI e, successivamente dal 2012, l'IMU non contempla norme che prevedano la nullità di qualsiasi patto diretto a trasferire ad altri l'onere dell'imposta. Venendo, quindi, alle due sentenze del 1985, si può evidenziare che: - - con la sentenza n.5/1985 le Sezioni Unite hanno considerato in termini generali vietato e nullo (ai sensi dell'art.1418 c.c., comma 1, e per contrasto con l'art.53 Cost.) qualunque patto "con il quale un soggetto, ancorché senza effetti nei confronti dell'erario, riversi su altro soggetto, pur se diverso dal sostituto, dal responsabile d'imposta e dal cosiddetto contribuente di fatto il peso della propria imposta, sia che si tratti di imposta diretta che di imposta indiretta"; - - con la sentenza n.6445/1985, invece, le Sezioni Unite hanno affermato che il patto traslativo d'imposta "è nullo per illiceità della causa contraria all'ordine pubblico solo quando esso comporti che effettivamente l'imposta non venga corrisposta al fisco dal percettore del reddito". Ciò si verificherebbe nell'ipotesi di rivalsa facoltativa, cioè quando il sostituto non corrisponde al fisco né anticipa il tributo ed il dovere tributario non viene conseguentemente adempiuto. Diversamente, invece, il patto è valido quando l'imposta è stata regolarmente e puntualmente pagata dal contribuente al fisco e, pertanto, l'accollo non riguarda direttamente il tributo ed il relativo pagamento, ma riguarda una somma di importo pari al tributo dovuto ed ha la funzione di integrare il prezzo della prestazione negoziale. Il principio delineato nella sentenza n.6445/1985 della Corte di Cassazione, Sez. Un., è stato condiviso dalla dottrina maggioritaria ed ha ricevuto costante conferma nella giurisprudenza successiva della medesima Corte di Cassazione. E', pertanto, un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che, a parere delle Sezioni Unite nella sentenza in commento, non può essere messo in discussione dalle doglianze della ricorrente e non può essere rimeditato ma, al contrario, merita di essere ulteriormente confermato. Le Sezioni Unite, pertanto, hanno ritenuto che la clausola in questione (la n.7.2) fosse stata correttamente interpretata dalla corte di merito nella sentenza impugnata quale ulteriori voce o componente (somma corrispondente a quella degli assolti oneri tributari) costituente integrazione del canone locativo, concorrendo a determinare l'ammontare complessivo a tale titolo dovuto dalla conduttrice. Tale interpretazione è suffragata anche dall'utilizzo della parola "manlevare" che va intesa nel senso di "operare un rimborso" e dal complessivo tenore del contratto (che trae origine dalle negoziazioni intercorse fra le parti e sfociate nell'operazione di safe and lease back in cui si inserisce il rapporto di locazione). Sulla base di ulteriori richiami giurisprudenziali, le Sezioni Unite hanno affermato che è stata fatta corretta applicazione del principio delineato dalla Corte di Cassazione per cui, ai fini della ricerca della comune intenzione della parti, il senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate va verificato alla luce dell'intero contesto contrattuale. La Corte di Cassazione ha già più volte specificato che "nella ricerca della reale o effettiva volontà delle parti il criterio letterale vada invero riguardato alla stregua degli ulteriori criteri legali d'interpretazione, e in particolare dei criteri (…) dell'interpretazione funzionale ex art.1369[6] c.c. (che consente di accertare il significato dell'accordo in coerenza appunto con la relativa ragione pratica o causa concreta…) e dell'interpretazione secondo buona fede o correttezza ex art.1366[7] c.c. (che quale criterio d'interpretazione del contratto – fondato sull'esigenza definita in dottrina di "solidarietà contrattuale" – si specifica in particolare nel significato di lealtà, sostanziantesi nel non suscitare falsi affidamenti e non speculare su di essi, come pure nel non contestare ragionevoli affidamenti comunque ingenerati nella controparte…), non consentendo di dare ingresso ad interpretazioni cavillose delle espressioni letterali contenute nelle clausole contrattuali, non rispondenti alle intese raggiunte (…) e deponenti per un significato in contrasto con la ragione pratica o causa concreta dell'accordo negoziale (…)". Pertanto, nel caso di specie le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno rigettato il ricorso, ritenendo valida la clausola contrattuale.
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