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Data: 16/09/2019 06:00:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - L'intervenuta remissione di querela non consente di dichiarare il non doversi procedere nei confronti del padre che ha omesso di corrispondere l'assegno di mantenimento, disposto in sede di separazione, nei confronti dei figli minorenni. Il reato previsto dall'art. 3 della L. n. 54/2006), infatti, è reato perseguibile d'ufficio e ha natura permanente. Lo ha rammentato la Corte di Cassazione, sesta sezione penale, nella sentenza n. 37090/2019 (qui sotto allegata) pronunciandosi sul ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte d'appello. Il casoOggetto dell'impugnazione è il provvedimento con cui il G.I.P. del Tribunale aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti di un uomo. Quest'ultimo era imputato del reato di cui all'art. 3 della L. n. 54/2006, in relazione all'art. 12 sexies della L. n. 898/1970, per essersi sottratto all'obbligo di corrispondere l'assegno di mantenimento, disposto in sede di separazione, ai tre figli minori (di 14, 12 e 9 anni) e per diversi mesi. Tuttavia, secondo il giudice a quo il reato doveva considerarsi estinto a seguito dell'intervenuta remissione di querela. Una conclusione con cui non concorda il Procuratore ricorrente che, invece, ritiene che il reato per il quale di procede sia procedibile d'ufficio laddove, come nel caso di specie, sia commesso in danno di figli minori degli anni 18. La remissione di querela non salva il padre che non mantiene i figliIl ricorso viene accolto dalla Corte di Cassazione che rammenta come la giurisprudenza di legittimità sia costantemente orientata nell'affermare che, in tema di reati contro la famiglia, la fattispecie di cui all'art. 12-sexies della legge n. 898/1970, richiamata dalla previsione di cui all'art. 3 ella legge n. 54/2006, che punisce il mero inadempimento dell'obbligo di corresponsione dell'assegno di mantenimento stabilito dal giudice a favore dei figli (senza limitazione di età) economicamente non autonomi, è reato perseguibile d'ufficio a natura permanente. La consumazione di tale reato, dunque, termina con l'adempimento integrale dell'obbligo ovvero con la data di deliberazione della sentenza di primo grado quando dal giudizio emerga espressamente che l'omissione si è protratta anche dopo l'emissione del decreto di citazione a giudizio (cfr. Cass. n. 23794 del 2017) Secondo gli Ermellini, inoltre, non sussistono dubbi che, quanto ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore del d.lgs n. 21/2018, vi è continuità normativa tra la fattispecie prevista dall'art. 570-bis c.p. e quella prevista dall'art. 3 della legge n. 54/2006. In conclusione, la sentenza impugnata va annullata con rinvio al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale affinché proceda a nuovo giudizio facendo applicazione dei richiamati principi di diritto.
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