Data: 01/10/2019 09:00:00 - Autore: Valeria Zeppilli

di Valeria Zeppilli – Prima che il precedente Governo entrasse in crisi, la riforma del processo civile e dell'ordinamento giudiziario promossa dal Ministro della giustizia Bonafede stava facendo passi da gigante verso la definitiva approvazione, ma, ora che si è insediato il nuovo esecutivo, sembra che il disegno di legge, così come presentato, non completerà il suo percorso.

Ciò però non vuol dire che le intenzioni riformatrici siano state accantonate: è di questi giorni la notizia che entro la fine del 2019 una riforma della giustizia arriverà.

Il vecchio ddl, tra le altre cose, prestava grande attenzione alla modifica dell'ordinamento giudiziario e, in particolare, del CSM. In attesa di sapere se e quanto verrà ripreso del testo sul quale era stato raggiunto un accordo di massima a inizio estate, vediamo, quindi, come si presenterà il Consiglio Superiore della Magistratura se questa parte del disegno di legge dovesse essere "salvata".

Ci soffermeremo, poi, su alcuni altri significativi problemi che affliggono la magistratura e che sono oggetto di numerose istanze di riforma:

Più membri nel CSM

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Innanzitutto, con una netta inversione di marcia rispetto all'ultima riforma del 2002, il disegno di legge prevedeva un aumento del numero dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura.

In particolare, i componenti togati del CSM sarebbero passati da sedici a venti, mentre quelli laici eletti dal Parlamento non sarebbero stati più otto ma dieci.

In conseguenza di ciò, per la validità delle delibere, nel progetto di riforma, erano richiesti quattordici membri togati e sette membri laici.

Una nuova sezione disciplinare

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L'aumento dei membri del CSM era strettamente connesso con un'altra scelta: quella di delineare una nuova sezione disciplinare, i cui componenti non partecipassero alle attività delle varie commissioni referenti incaricate dell'istruzione delle delibere inerenti all'amministrazione della giurisdizione.

La nuova sezione disciplinare si caratterizzava anche per il nuovo numero di membri dei collegi deliberanti, fissato in tre, di cui uno eletto dal Parlamento, con ruolo di presidente, e due eletti dai magistrati.

Nomina dei membri togati

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Altra novità di rilievo della riforma del CSM ideata dall'ex Ministro Bonafede, forse la più significativa, riguardava l'elezione dei componenti togati.

Questa si componeva di due fasi necessarie e una eventuale: la prima, in cui i candidati erano eletti; la seconda, in cui tra gli eletti veniva effettuato un sorteggio; la terza, in cui i risultati del sorteggio venivano corretti e alla quale si ricorreva solo se l'estrazione non aveva garantito la rappresentanza sia di giudici di legittimità, che di giudici di merito, che di pubblici ministeri.

La fase elettorale

Scendendo più nel dettaglio, la fase elettorale era svolta suddividendo il territorio nazionale in venti collegi, uno dei quali riservati agli uffici della Corte di cassazione o quelli con essi collegati e un altro riservato ai magistrati fuori ruolo e alla Corte d'appello di Roma.

Tutti i magistrati che erano dotati dell'elettorato passivo potevano candidarsi, presentando la firma di dieci colleghi, nel collegio in cui esercitavano le proprie funzioni o nel collegio nel quale le avevano esercitate nel decennio precedente.

In sede di elezione, ogni magistrato poteva esprimere un solo voto. All'esito, erano eletti i primi cinque candidati che avevano ottenuto il maggior numero di voti in ogni collegio e almeno il 5% dei voti validi. In caso di parità, contavano l'età e l'anzianità di ruolo.

La fase del sorteggio

Successivamente, si svolgeva la fase del sorteggio con la quale erano individuati, in ciascun collegio, i componenti che avrebbero fatto effettivamente parte del CSM.

La fase di correzione dei risultati

Se non erano rappresentate tutte e tre le categorie sopra indicate (giudici di legittimità, giudici di merito e pubblici ministeri), si provvedeva alla terza fase eventuale, cd. di correzione dei risultati.

L'elettorato passivo

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Si è detto che potevano candidarsi a far parte del Consiglio Superiore della Magistratura tutti i magistrati dotati di elettorato passivo.

Il vecchio progetto di riforma dell'ordinamento giudiziario interveniva anche su questo, introducendo delle notevoli restrizioni.

In particolare, l'elettorato passivo era escluso:

  • per i magistrati che non avevano conseguito la terza valutazione di professionalità
  • per i componenti del comitato direttivo della scuola superiore della magistratura in carica o che erano stati in servizio nei quattro anni antecedenti le elezioni
  • per i membri del Parlamento, del Governo e degli enti locali territoriali, anche se ne avevano fatto parte nei cinque anni precedenti.

I componenti laici del nuovo CSM

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Il ddl si occupava anche di riformare la componente laica del CSM, della quale non potevano far parte tutti coloro che svolgevano o che avevano svolto nei cinque anni precedenti un qualsiasi ruolo politico o amministrativo elettivo.

Critiche

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Va comunque detto che le critiche alla riforma in cantiere non erano tardate ad arrivare.

Tra le tante, quella sulla scelta di portare a tre, di cui uno togato, i componenti dei collegi della sezione disciplinare, che impediva la presenza di tutte e tre le categorie di giudici di legittimità, giudici di merito e pubblici ministeri, in contrasto con la sentenza della Consulta numero 12/1971.

Le critiche hanno interessato anche la scelta di inserire, nella nomina dei membri del Consiglio, una fase di sorteggio, accusata di non rispettare adeguatamente il principio di rappresentanza.

Politica e magistratura

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Al di là delle sorti che avrà la bozza di riforma del CSM e delle singole scelte regolative che la hanno caratterizzata, innegabili sono le ragioni che hanno sollecitato l'intervento legislativo e che, in un certo senso, ne hanno orientato i contenuti.

Prima tra tutti la commistione tra politica e magistratura che, lungi dall'interessare tutta la categoria dei magistrati ma essendo limitata solo ad alcuni casi, sebbene significativi, sta compromettendo sia l'immagine che l'operato di giudici e procuratori italiani.

Sicuramente, porre dei confini più netti tra i due mondi, separandoli e arginandoli, è un passo da compiere per un maggiore e più equo esercizio della giustizia.

La separazione delle carriere

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Sebbene la bozza di riforma non ne parli, un altro nodo "spinoso" della magistratura riguarda l'eterno dibattito circa la separazione delle carriere, che vede contrapposti coloro che sono convinti che la magistratura giudicante e la magistratura requirente svolgano funzioni troppo distanti tra loro per poter essere accomunate e che ritengono che la compresenza di PM e giudice nel medesimo orientamento mini l'efficienza e la giustizia del processo e coloro che ritengono invece che, separando le carriere, l'unica effettiva conseguenza sarebbe quella di minare l'indipendenza del pubblico ministero dall'esecutivo, a scapito degli interessi della collettività.

Per approfondimenti sulla separazione delle carriere leggi: "Separazione delle carriere: opinioni a confronto"

Obbligatorietà dell'azione penale

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Infine, un cenno merita l'annosa questione dell'obbligatorietà dell'azione penale, nata con la finalità di garantire l'indipendenza del PM dagli altri poteri dello Stato e l'eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, ma che, nei fatti, non è mai riuscita a essere pienamente operativa a causa dell'eccessivo carico di lavoro delle Procure, che ha determinato una selezione delle procedure alle quali dare priorità, con conseguente prescrizione dei procedimenti "rimandati" già nella fase delle indagini preliminari.

Da altri, poi, il principio è accusato di rappresentare, nei fatti, uno scudo per chi vuole fare azioni temerarie e di non trovare un effettivo riscontro nella realtà, a causa dell'intasamento delle procure.

Da più fronti quindi arriva la richiesta di superamento dell'obbligatorietà dell'azione penale, anche di pari passo con la separazione delle carriere, o, comunque, di una riforma profonda che renda il principio effettivo.


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