Data: 30/09/2019 07:00:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - La prova del pagamento di un lavoro di falegnameria, stante il rapporto di parentela (zio e nipote) tra artigiano e committente, può essere fornita anche ricorrendo a un testimone, in deroga ai limiti previsti dall'art. 2721 del codice civile. Stante rapporto tra i due, infatti, è da ritenersi plausibile i versamento delle somme senza la richiesta del rilascio di quietanza scritta.

Lo afferma la Corte d'Appello di Napoli nella sentenza n. 4272 del 2 settembre 2019 (sotto allegata) pronunciandosi sulla vicenda di un falegname che aveva richiesto il pagamento per dei lavori svolti presso l'abitazione dei committenti.

Il caso

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In prime cure, la domanda dell'artigiano veniva accolta parzialmente e i convenuti venivano condannati al pagamento di appena 2mila euro (a fronte dei quasi 8mila chiesti dal falegname). In sede d'appello, il creditore contesta tra l'altro il fatto che il primo giudice avesse fondato la propria decisione su una testimonianza assunta in violazione delle norme del codice civile.

Nel dettaglio, il testimone aveva riferito di aver assistito a versamenti di somme tra il committente e l'artigiano per complessivi tre milioni di lire. L'art. 2721 del codice civile, tuttavia, afferma che la prova per testimoni dei contratti non è ammessa quando il valore dell'oggetto eccede euro 2,58.

Pertanto, la decisione sarebbe dovuta essere riformata avendo il Tribunale posto alla base della stessa la prova di un pagamento in contanti fornita a mezzo testimone in aperta violazione della norma suddetta. In ogni caso, il testimone aveva parlato di soli tre milioni di lire, dunque residuava comunque un credito superiore a quello riconosciuto dal Tribunale.

Prova testimoniale: ammissibilità e limiti di valore

I magistrati precisano che le limitazioni poste dagli artt. 2721 e seguenti c.c. all'ammissibilità della prova testimoniale non attengono a ragioni di ordine pubblico, ma sono dettate a tutela di interessi di natura privatistica.

Pertanto, se è vero che la loro violazione non solo non può essere rilevata d'ufficio dal giudice, ma neppure è rilevabile dalle parti ove non sia stata dedotta in sede di ammissione della prova, ovvero nella prima istanza o difesa successiva o, quanto meno, in sede di espletamento della stessa, è anche vero che è ammessa la deroga a tale divieto pur se la stessa è subordinata ad una concreta valutazione delle ragioni in base alle quali, nonostante l'esigenza di prudenza e di cautela che normalmente richiedono gli impegni relativi a notevoli esborsi di denaro, la parte non abbia curato di predisporre una documentazione scritta.

Pagamenti tra parenti: la deroga al codice civile

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La stessa norma, infatti, prevede che l'autorità giudiziaria possa consentire la prova oltre il limite anzidetto, tenuto conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza. E nel caso in esame, il Collegio ritiene ricorrano i presupposti che giustificano la deroga al divieto suddetto, stante il rapporto tra il falegname e una dei committenti (rispettivamente zio e nipote).

Sussistendo rapporti di parentela, spiega la Corte territoriale, deve ritenersi plausibile anche il versamento di acconti in moneta contante senza la richiesta del rilascio immediato di una quietanza scritta.

Per cui appare ammissibile la testimonianza assunta in prime cure con cui il teste ha affermato di aver assistito, nell'arco dei due mesi durante i quali aveva tinteggiato le pareti presso l'abitazione dei convenuti, "al pagamento in due soluzioni di tre milioni in contanti" al falegname.

Appare fondata la doglianza dell'appellante, invece, relativa all'interpretazione del Tribunale in ordine all'importo che il testimone dichiara di aver visto versare in contanti: non vi è dubbio, scrivono i giudici, che l'importo versato (complessivamente) sia di 3 milioni di lire (pari ad € 1.549,37) sia pure versato in due soluzioni e non che siano stati, invece, effettuati due versamenti (ciascuno) di 3 milioni di lire.

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