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Data: 09/10/2019 21:00:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - In molti ricorderanno il caso "Green Hill", l'allevamento di cani beagle in provincia di Brescia e di proprietà dell'americana "Marshall BioResources", che anni fa ha suscitato molto scalpore per quello che gli animalisti avevano definito un vero e proprio "lager". L'allevamento, infatti, destinava gli animali alla sperimentazione e ai laboratori di vivisezione, effettuava sugli animali pratiche intollerabili, costringendoli a vivere stipati in capannoni e in condizioni inadeguate sia sotto l'aspetto igienico che sanitario. Una situazione che aveva portato le associazioni animaliste italiane a insorgere contro questa "fabbrica" del dolore.
Il caso Green Hill: le recenti pronunce giurisprudenziali[Torna su] Il 28 aprile 2012, nel corso di un corteo pacifico, alcuni dimostranti riuscivano ad accedere all'allevamento e portavano in salvo diversi cani. Solo il 18 luglio dello stesso anno i beagle di Green Hill sono stati posti sotto sequestro probatorio, nominando LAV e Legambiente custodi giudiziari dei cani. Dalla vicenda, che ha determinato alla chiusura dell'allevamento, è scaturito un processo contro i responsabili. La decisione più recente è quella della Corte d'Appello di Brescia che, lo scorso luglio, ha ribaltato la sentenza di primo grado che aveva assolto tutti gli imputati, comminando diverse condanne. La decisione[Torna su] Dello stesso periodo anche la sentenza 40438/2019 (sotto allegata) con cui la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, si è pronunciata nei confronti degli attivisti che i giudici di merito avevano condannato per il furto di 67 cani di razza Beagle, sottratti allo stabile di proprietà della Green Hill. Gli Ermellini hanno annullato il provvedimento con rinvio pur affermando l'astratta configurabilità del delitto di furto avente ad oggetto cani. Tuttavia, secondo i giudici di legittimità, nella fattispecie concreta non ricorrono gli estremi del contestato reato di cui all'art. 624-bis del codice penale che punisce il furto in abitazione. Furto di animali e dolo specifico[Torna su] Una decisione a cui i giudici giungono dopo essersi soffermati sulla nozione di dolo specifico del delitto di furto e sulla nozione di profitto correlata allo stesso: per i magistrati, l'elemento soggettivo è integrato ove sia accertato che l'autore del fatto materiale abbia agito per conseguire un ampliamento del proprio patrimonio, quale fine diretto e immediato dell'azione, sia pure con l'intento di ottenere per tale via il soddisfacimento di un bisogno ulteriore anche solo di ordine spirituale. Di conseguenza, spiega la Cassazione, se l'utilità perseguita dall'autore del furto deve essere connessa alla cosa oggetto dell'impossessamento e non all'azione in sé, non è dato comprendere, dall'insieme dei passaggi motivazionale della sentenza impugnata, quale sarebbe stata quella, anche solo morale, che gli imputati si sarebbero prefigurati di conseguire dall'impossessamento dei cani sottratti a Green Hill. Non lumeggiato il fine, quanto meno affettivo, dell'impossessamento, dettato dall'intento degli imputati di liberare i cani e di tenerli con sé come animali dì affezione, la Corte ritiene di escludere, per le ragioni indicate, che il dolo specifico, che ne avrebbe animato l'agire, potesse identificarsi, tout court, nel buon esito dell'azione dimostrativa. Tanto comporta l'annullamento della sentenza impugnata perché il giudice del rinvio provveda all'accertamento del suddetto requisito di fattispecie in conformità alle direttrici ermeneutiche tracciate. |
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