Data: 22/10/2019 14:00:00 - Autore: Adriana Scamarcio
Avv. Adriana Scamarcio - Con l'ordinanza n. 4493/2018, la Corte di Cassazione ha esaminato una vicenda giudiziaria riguardante un minore la cui madre, durante la gravidanza, aveva abbandonato la Comunità per donne in difficoltà, mettendo a rischio la salute del nascituro.

Il caso

Portata a termine la gravidanza, il minore veniva sottoposto a tutela presso la Comunità. La madre, dapprima si mostrava presente, per un breve periodo, cominciando poi a ridurre le visite fino ad assentarsi in modo prolungato, per poi ripresentarsi saltuariamente.
La sentenza in esame, quindi, si trova, ancora una volta, ad affrontare la delicata questione della comparazione, tutta incentrata sul benessere del minore, tra l'interesse appunto di quest'ultimo, a mantenere un legame con la propria madre naturale, ed il diverso esito di conquistare una nuova famiglia, attraverso l'adozione, che porta alla rescissione totale e definitiva di ogni legame con la prima.

Il diritto del minore ad una famiglia

Come si evince dall'art. 1 della L. 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto del minore ad una famiglia, lo stesso ha il diritto di crescere ed essere educato nell'ambito del proprio nucleo familiare.
L'art. 8, inoltre, precisa che, nel caso in cui sussista una condizione di abbandono e di mancata assistenza morale e materiale da parte dei genitori, interviene la dichiarazione di adottabilità.
L'abbandono si configura nell'art. 30 della Costituzione come una grave ed irreversibile violazione, da parte del genitore, al rispetto degli obblighi volti alla educazione ed istruzione dei figli.
Gli artt. 147 e 315 bis c.c., inoltre, individuano i doveri dei genitori verso i figli. Il matrimonio, infatti, impone ad entrambi i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire, educare ed assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità e delle loro inclinazioni naturali e spirituali.

Adozione quale extrema ratio

Nel caso in esame, la sentenza della Corte di Appello, revocava lo stato di adottabilità del minore, in quanto la prerogativa delle istituzioni deve essere quella di tutelare la genitorialità applicando, solo in estrema ratio, la soluzione dell'adozione, precisando, pertanto, che una mera espressione di volontà dei genitori al recupero delle capacità genitoriali non è idonea al superamento dell'abbandono, ma va valutata con la condizione di irreversibilità della violazione agli obblighi genitoriali, "solo fino a quando ciò non comporti un'incidenza grave ed irreparabile sul piano dello sviluppo psicofisico del minore", art. 1, L. 184/1983.
Tale irreversibilità, dunque, deve essere correlata alle esigenze di sviluppo del minore e alla concreta possibilità di pregiudizio, ad esso arrecato, dovuto alla incertezza o alla durata del percorso del recupero genitoriale (Cass. nn. 1837/2011 e 9609/2011).

Legame "ambivalente"

Tale richiamata valutazione sulla tempistica, infine, ipotizza anche una superabilità del "legame ambivalente" esistente tra madre e figlio, questo, infatti, deve valutarsi come circostanza che premia l'importanza dell'interesse del minore ad ottenere, nell'ambiente più idoneo, un sano sviluppo psico-fisico, interesse che trascende e nei casi estremi comporta la rescissione dei legami biologici, nonché il superamento delle relazioni affettive non compatibili con un armonioso sviluppo psico-fisico del minore stesso, come affermato dalle ultime sentenze di Cassazione in merito (Cass. Civ. n. 10721 dell'8/5/2013 e n. 1837 del 26/1/2011).

Conclusioni

Le considerazioni innanzi esposte, confermate in via definitiva dalla Cassazione, fanno, quindi, apparire di immediata evidenza come, una mera espressione di volontà dei genitori, cioè una speranza di recupero delle capacità genitoriali, non sia idonea al superamento dell'abbandono ma va valutata, volta per volta, la concreta possibilità di pregiudizio del minore e la irreversibilità dell'abbandono da parte del genitore naturale.

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