Data: 23/10/2019 09:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate

di Annamaria Villafrate - Il ricorso del Cida alla Corte dei Conti del Friuli Venezia Giulia e la conseguente remissione alla Consulta della questione di incostituzionalità relativa al blocco delle rivalutazioni e alla riduzione delle pensioni medio alte solo una delle azioni intraprese dalla Confederazione dei Dirigenti e della alte professionalità contro i provvedimenti legislativi del Governo Giallo Verde. Non si tratta solo di un'azione sindacale, ma di un atto politico necessario per garantire il rispetto dei principi sanciti dalla Costituzione. Da qui la presentazione di tutta una serie di ricorsi anche ai Tribunali ordinari, per tutelare i diritti pensionistici anche dei dirigenti del settore privato. Un'azione complessa che ha ottenuto l'appoggio della Corte dei Conti, che nella corposa ordinanza di 36 pagine ha definito il taglio come una mero prelievo fiscale ingiustificato.

Il ricorso del Cida

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Il Cida, ossia la Confederazione Italiana dei Dirigenti e delle alte professionalità, ricorre alla Corte dei Conti, sezione giurisdizionale perla Regione Friuli Venezia Giulia, a tutela dei propri rappresentati su una questione di natura previdenziale. In risposta a tale ricorso la Corte solleva questione di legittimità costituzionale di quelle disposizioni legislative, contenute nella legge di bilancio per il 2019, che hanno sancito il blocco della perequazione e il prelievo straordinario applicato sulle pensioni medio-alte.

La questione di costituzionalità sollevata dalla Corte dei Conti

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Accogliendo le istanze del Cida, con l'ordinanza n. 6 del 17 ottobre 2019 la Corte dei Conti ha rimette alla Consulta la decisione, ritenendo incostituzionali l'art. 1, comma 260, della l. n. 145 del 2018, per violazione degli articoli 3, 36 e 38 della Costituzione e l'art. 1, commi da 261 a 268, della stessa legge per contrasto con gli articoli 3, 23, 36, 38 e 53 della Costituzione.

Per la Corte dei Conti del Friuli Venezia Giulia i commi n. 260-268 dell'art 1 della legge di bilancio 2019 n. 145/2018 non rispetta tre principi fondamentali in materia previdenziale, ossia ragionevolezza, adeguatezza e affidamento.

Rivalutazione delle pensioni di maggior importo

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Per la Corte dei conti, la revisione del meccanismo di rivalutazione delle pensioni previsto dall'articolo 1 comma 260 della legge n. 145/2018 è realizzato attraverso "una sequenza ininterrotta di provvedimenti che, secondo modalità diverse ma rispondenti ad una omologa ratio ispiratrice, hanno sistematicamente compresso (e talora del tutto escluso) la perequazione dei trattamenti pensionistici di maggior importo a partire dall'anno 2012. La situazione determinata con la legge di bilancio 2019, porta a considerare detta contrazione per un decennio 2012-2022".

Secondo la magistratura contabile la perequazione delle pensioni, così come disciplinata dalla legge di bilancio 2019 non solo non si fonda su esigenze specifiche di contenimento della spesa pubblica, ma fa riferimento a un periodo di tempo che non può considerarsi transitorio. Per questo si dubita della legittimità costituzionale della disposizione, contraria agli articoli 3, 36 e 38 della Costituzione.

Riduzione delle pensioni di importo elevato

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Per quanto riguarda invece l'intervento previsto per ridurre le pensioni di importo elevato, disciplinato sempre dall'articolo 1 commi 261-268 della legge n. 145/2018, l'ordinanza della Corte dei Conti, in riferimento alla durata quinquennale, precisa che determina una "decurtazione patrimoniale arbitrariamente duratura del trattamento pensionistico, con acquisizione al bilancio statale del relativo gettito. E costituisce un prelievo coattivo correlato ad uno specifico indice di capacità contributiva, che esprime l'idoneità del soggetto passivo all'obbligazione tributaria".

Le disposizioni entrano così in conflitto con gli articoli 3 e 53 della Costituzione, perché il prelievo colpisce soltanto alcune categorie di pensionati e non tutti i cittadini, introducendo così un trattamento discriminatorio, che viola i canoni dell'uguaglianza a parità di reddito e di universalità dell'imposizione fiscale.

Non solo, la magistratura contabile mette in evidenza come il prelievo di denaro messo in atto attraverso le disposizioni incriminate della legge di bilancio non è neppure giustificato da "alcuna condizione di eccezionalità e/o di specifica crisi del settore previdenziale, cui si debba far fronte con il tributo de quo", ragion per cui "il sacrifico imposto ad una ristretta cerchia di soggetti, si palesa del tutto ingiustificato e discriminatorio, impropriamente sostitutivo di un intervento di fiscalità generale nei confronti di tutti i cittadini".

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