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Data: 25/10/2019 14:00:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - L'ergastolo ostativo è costituzionalmente illegittimo, o almeno in parte: nel dettaglio, anche a coloro che non collaborano con la giustizia devono potersi riconoscere i permessi premio, sempre che il condannato abbia dato piena prova di partecipazione al percorso rieducativo e vi siano elementi che escludono collegamenti con la criminalità organizzata. È questa la conclusione a cui è giunta la Corte Costituzionale nella sentenza resa il 23 ottobre 2019 una decisione che ha aperto una crepa nella disciplina di cui all'art. 4-bis dell'Ordinamento penitenziario. Le reazioni delle forze politiche, delle associazioni e degli esponenti del mondo non sono tardate ad arrivare.
Consulta: permessi premio anche ai condannati che non collaborano[Torna su] La Consulta è stata chiamata dal Tribunale di sorveglianza di Perugia a pronunciarsi sulla legittimità dell'articolo 4 bis, comma 1, dell'Ordinamento penitenziario, in particolare nella parte in cui impedisce che, per i reati in esso indicati, siano concessi permessi premio ai condannati che non collaborano con la giustizia. Nei casi di cui si è occupato il Tribunale del capoluogo umbro, e dalla cui trattazione è originato la rimessione alla Corte, si trattava di due persone condannate all'ergastolo per delitti di mafia. In attesa del deposito della sentenza, l'Ufficio stampa della Corte fa sapere, in un Comunicato Stampa (qui sotto allegato) che a conclusione della discussione le questioni sono state accolte nei seguenti termini. Per il Giudice delle leggi, dunque, i permessi premio devono essere concessi anche in assenza di collaborazione con la giustizia, se sono stati acquisiti elementi tali da escludere sia l'attualità della partecipazione all'associazione criminale sia, più in generale, il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata. Ancora, il condannato dovrà aver dato piena prova di partecipazione al percorso rieducativo. Pronunciandosi nei limiti della richiesta dei giudici rimettenti, la Consulta ha quindi sottratto la concessione del solo permesso premio alla generale applicazione del meccanismo "ostativo" (secondo cui i condannati per i reati previsti dall'articolo 4-bis che dopo la condanna non collaborano con la giustizia non possono accedere ai benefici previsti dall'Ordinamento penitenziario per la generalità dei detenuti). In virtù della pronuncia della Corte, la presunzione di "pericolosità sociale" del detenuto non collaborante non è più assoluta, ma diventa relativa e quindi può essere superata dal magistrato di sorveglianza, la cui valutazione caso per caso dovrà basarsi sulle relazioni del Carcere nonché sulle informazioni e i pareri di varie autorità, dalla Procura antimafia o antiterrorismo al competente Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica. La condanna all'Italia della Cedu[Torna su] Che la si condivida o meno, quella della Corte Costituzionale è una pronuncia di fondamentale importanza, che si innesta nel solco tracciato dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo che ha fortemente condannato la disciplina italiana che vieta tutta una serie di benefici penitenziari (tra cui permessi premio e misure alternative alla detenzione) ai detenuti internati per una serie di delitti, tra cui quelli di stampo mafioso (ma anche terrorismo, tratta di persone, violenza sessuale di gruppo, ecc.) che non collaborano con la giustizia. A meno che la predetta collaborazione non sia impossibile o inesigibile. Per i giudici della Corte EDU, l'ergastolo "ostativo" rappresenta un trattamento inumano in quanto sarebbe incompatibile con il rispetto della dignità umana privare le persone della loro libertà senza prevedere una loro riabilitazione e fornire loro la possibilità di riconquistare quella libertà in futuro. Le reazioni[Torna su] Il c.d. ergastolo ostativo rappresenta uno dei temi più dibattuti e controversi che vede scontrarsi, da un lato, i suoi sostenitori, che vi rinvengono un meccanismo necessario e creato ad hoc per contrastare con forza il fenomeno mafioso nel nostro paese, e, dall'altro, coloro che auspicano una riforma sul tema affinché la detenzione sia sempre in linea con i principi costituzionali e faciliti il reinserimento e la rieducazione dei condannati. Per approfondimenti: Ergastolo ostativo Il Ministro degli Esteri e leader del M5S, Luigi di Maio, ha dichiarato: "Qualcuno sostiene che con il carcere duro si ledono diritti umani, ma noi non siamo d'accordo. Se abbiamo leggi dure contro la mafia è perchè siamo in guerra. Rispettiamo la sentenza della Corte ma come Movimento Cinque Stelle faremo una battaglia perchè chi è in galera con il carcere duro ci rimanga". Più cauto Alfredo Bazoli, capogruppo PD in Commissione Giustizia alla Camera: "Credo che la politica debba prendere rispettosamente atto della decisione, e intervenire rapidamente con le modifiche mirate e puntuali che restituiscano alla piena legalità costituzionale, sul punto, l'ordinamento penitenziario". Matteo Salvini, ha parlato di "ossimoro" nel descrivere la decisione della Corte di aprire ai permessi premio anche "per chi è condannato all'ergastolo per mafia e terrorismo". "Vediamo se è possibile ricorrere perché è una sentenza che grida vendetta. O è una sentenza che possiamo provare a cambiare o va cambiata la Costituzione se questa è l'interpretazione" ha soggiunto il leader del Carroccio. "Benissimo la sentenza della Corte su ergastolo ostativo, ma questa è solo una prima tappa - ha affermato il Partito Radicale in una nota - il nostro obiettivo, fin dal 1981 con il referendum indetto dal Partito Radicale, è che la Corte dichiari incostituzionale la misura dell'ergastolo". Per l'associazione "Nessuno tocchi Caino", da anni impegnata, con il Partito Radicale, per l'abolizione dell'ergastolo ostativo, la decisione della Corte Costituzionale "apre una breccia nel muro di cinta del fine pena mai". "La decisione della Corte Costituzionale è un primo passo nell'affermazione del diritto alla speranza ed infrange il totem della collaborazione come unico criterio di valutazione del ravvedimento", hanno dichiarato i dirigenti di Nessuno tocchi Caino Rita Bernardini, Sergio D'Elia ed Elisabetta Zamparutti. "Una sentenza di straordinario valore" ha dichiarato Patrizio Gonnella, presidente di Antigone: "i giudici pongono un limite al potere di punire e ribadiscono un principio fondamentale della nostra carta costituzionale: sempre e comunque la pena deve tendere alla rieducazione del condannato". |
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