Data: 10/11/2019 15:00:00 - Autore: Francesco Pandolfi
Avv. Francesco Pandolfi - In tema di sanzioni disciplinari nel settore del pubblico impiego, vige un principio di fondo in forza del quale la valutazione in ordine alla gravit� dei fatti addebitati in relazione all'applicazione di una sanzione e, dunque, riguardanti il rapporto tra infrazione e fatto, costituisce espressione di vasta discrezionalit� amministrativa, di norma non sindacabile dal giudice della legittimit�.

Eccesso di potere

I casi dove questa lata discrezionalit� si presenta invece criticabile sono quelli nei quali emerge l'eccesso di potere, nelle sue forme patologiche quali:
1) il travisamento dei fatti,
2) l'evidente sproporzionalit�,
3) la manifesta illogicit�,
4) la manifesta irragionevolezza.

La sentenza penale

Si tratta di un tema che spesso viene riproposto nelle aule di giustizia; ultimamente � tornato ad occuparsene indirettamente la Terza Sezione del Tar Milano, con la sentenza n. 1313 del 10.06.2019, in occasione di un processo abbastanza complesso e delicato.
Di regola, in presenza di una sentenza penale di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, l'Amministrazione pu� procedere all'instaurazione di un procedimento disciplinare, irrogando la sanzione, dopo aver valutato i fatti che hanno determinato il procedimento penale sottostante.
Nel caso in cui il giudizio penale si concluda senza un giudicato di condanna, l'amministrazione pu� utilizzare a fini istruttori gli accertamenti effettuati in sede penale, senza ripeterli.

La posizione del dipendente

Ovviamente, fa da contrappeso a questo criterio la regola in virt� della quale l'amministrazione � obbligata a valutare autonomamente i fatti addebitati all'incolpato.
Inoltre, in generale, a tutela del dipendente va anche ribadito che questa discrezionalit� nella valutazione dei fatti non pu� condurre a travisarli, o peggio diventare espressione di una chiara irragionevolezza.
Cos� come l'amministrazione non pu�, in generale, esprimere la sua potest� eccedendo nel potere che la Legge ripone nelle sue mani: sono proprio questi i casi dove il ricorso al giudice si impone.
Il Consiglio di Stato ha fissato questi principi (cfr. sentenza n. 4237/2014).

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