Data: 29/09/2006 - Autore: www.laprevidenza.it
Con la sentenza n. 13731 del 14 giugno 2006, la Cassazione ritorna sul valore della quietanza a saldo sottoscritta dal lavoratore - nel caso in esame un ex dipendente dell'ENEL Distribuzione s.p.a. ? per chiarire che non basta il riferimento generico ad una serie di titoli in astratto ipotizzabili in relazione alla prestazione di lavoro subordinato e alla conclusione del relativo rapporto, effettuata nella dichiarazione di rinuncia a maggiori somme, ma occorre che il documento, per la sua formulazione letterale o sulla base di altre specifiche circostanze desumibili aliunde, sia interpretabile nel senso di dichiarazione consapevole ? da parte del lavoratore - dei diritti in esso indicati e ai quali espressamente si intende abdicare o transigere. Il caso all'attenzione della Suprema Corte In una controversia relativa alla determinazione del trattamento di fine rapporto dovuto da parte dell'ENEL Distribuzione s.p.a., ad un ex dipendente che aveva sottoscritto una dichiarazione di ?quietanza a saldo?, impugnata oltre i termini previsti dall'art. 2113 c.c. e non contenente alcuna specifica indicazione del diritto alla inclusione dello straordinario nel computo della cd. retribuzione differita, i giudici di secondo grado avevano anzitutto escluso che l'atto sottoscritto dal lavoratore potesse integrare una rinuncia, dal momento che la mera affermazione di non avere null'altro a pretendere, pur nella consapevolezza dei criteri adottati dall'ENEL per il calcolo del t.f.r. medesimo, non consentiva di configurare un intento abdicativo in relazione al diritto in contestazione. Altresì la Corte d'Appello aveva escluso ? come invece sostenuto dal datore di lavoro - che fosse maturata la prescrizione all'impugnazione dell'atto da parte del lavoratore, in quanto il diritto al t.f.r. ? secondo i giudici di secondo grado - sorge al tempo della cessazione del rapporto di lavoro e solo da quel momento decorre il termine di prescrizione. Neppure poteva ritenersi che la norma contrattuale per la quale, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, dovevano corrispondersi quattro mensilità aggiuntive, avesse qualche nesso ? come invece pretendeva l'ENEL Distribuzione s.p.a. - con l'indennità di anzianità nè con la relativa quantificazione per cui tale corresponsione ?una tantum? non poteva considerarsi migliorativa della disciplina legale. Infine i giudici di seconde cure avevano affermato che al lavoro straordinario svolto periodicamente dal dipendente ed obbligatorio per contratto, doveva riconoscersi carattere di continuità, dal momento che, come risultava dalle buste-paga prodotte in giudizio, nelle retribuzioni mensili risultava costantemente la corresponsione del compenso straordinario. A fronte di tale decisione, l'ENEL Distribuzione s.p.a. ricorreva in cassazione ritenendo prioritariamente, tra i vari motivi di doglianza (1), che fosse illogica e contradditoria la motivazione della Corte d'appello la quale aveva escluso l'efficacia della dichiarazione di rinuncia e transazione sottoscritta dal lavoratore, violando i principi di ermeneutica contrattuale applicabili anche alle dichiarazioni unilaterali di contenuto negoziale. La ricorrente in sostanza affermava che, sulla base del comportamento del lavoratore, il quale, con la sottoscrizione della quietanza a saldo, aveva agito per far valere non già un diritto a sé stante ed autonomo da quello di credito connesso al complessivo trattamento di fine rapporto, ma piuttosto una pretesa, pur sicuramente azionabile autonomamente ma comunque attinente solo all'esatta quantificazione di tale trattamento ( e cioè il problema della computabilità o meno nel t.f.r. del compenso per il lavoro straordinario di un certo tipo), sarebbe stato necessario verificare se, al momento della rinuncia, un ipotetico diritto parzialmente diverso da quello oggetto della quietanza ed in essa chiaramente menzionato, potesse essere stato oggetto di espressa o implicita rinuncia. Secondo la società ricorrente, un'indagine di tal genere, avente ad oggetto un dato oggettivo, e cioè l'importo complessivo corrisposto al lavoratore a titolo di t.f.r., calcolato sulla base delle norme della legge n. 297/1982 (2) e del c.c.n.l. per i dipendenti ENEL (3), in particolar modo dell'art. 43 relativo all'ulteriore corresponsione di mensilità aggiuntive, avrebbe dovuto far concludere che una quietanza liberatoria con valore così ampio (e cioè quella avente ad oggetto il ?trattamento di fine rapporto? del lavoratore suddetto) fosse stata rilasciata proprio al fine di rinunciare, anche con valore transattivo, ad ogni pretesa concernente il t.f.r. La Cassazione, nella pronuncia che si annota, richiamandosi alla sua più recente giurisprudenza sul tema (vedi in particolare il successivo § 3 della presente), concorda con l'interpretazione dei giudici di seconde cure sul valore della quietanza a saldo sottoscritta dal prestatore di lavoro. In particolare la S.C. ribadisce che una simile attestazione contenente una dichiarazione di rinuncia, da parte del lavoratore, a non meglio specificate maggiori somme relative ad una serie indeterminata di pretese astrattamente ipotizzabili nei confronti del datore di lavoro in relazione alla prestazione di lavoro subordinato e alla conclusione del relativo rapporto, non possa assumere il valore di rinuncia o transazione che il lavoratore ha l'onere di impugnare nel termine di cui all'art. 2113 c.c. (ovvero entro sei mesi ) eccetto il caso in cui risulti accertato, sulla base dell'interpretazione del documento o per il concorso di altre specifiche circostanze desumibili aliunde, che essa sia stata rilasciata con la consapevolezza di diritti determinati od obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di abdicarvi o di transigere sui medesimi. La Cassazione sostiene quindi, che dichiarazioni del genere di quella controversa oggetto del caso in esame, possono semmai essere assimilate a mere clausole di stile e non sono pertanto sufficienti di per sé a comprovare l'effettiva sussistenza di una volontà dispositiva dell'interessato. Sulla base dell'atto di quietanza in questione, la S.C. aggiunge come non fosse rinvenibile nella dichiarazione sottoscritta dall'ex dipendente dell'ENEL, alcun riferimento al compenso per il lavoro straordinario computabile al lavoratore ai fini dell'indennità di anzianità dovutagli. Nella medesima infatti, era contenuto solo un generico riferimento all'indennità di anzianità maturata alla data del 31 maggio 1982, dato del tutto insufficiente di per sé a radicare nel lavoratore la consapevolezza di dismettere la pretesa (poi azionata) al computo suddetto. Altresì la Cassazione rileva la mancanza di specificità nella quietanza, nonostante l'elencazione oltre all'indennità di anzianità, delle somme imputate rispettivamente a trattamento di fine rapporto ed a mensilità aggiuntive ai sensi dell'art. 43 del c.c.n.l., dal momento che si trattava semplicemente di voci aggiuntive e distinte da quella in contestazione e non già di specificazione di quest'ultima. Né si può ritenere ? conclude sul punto la S.C. ? che abbia qualche rilievo la circostanza che nella quietanza il lavoratore abbia dato atto che il t.f.r. fosse di miglior favore rispetto a quello previsto dalle norme di legge e del contratto collettivo, dal momento che si tratta semplicemente di dichiarazione di scienza in ordine al (ritenuto) carattere satisfattivo del computi effettuato dalla società e non di un atto abdicativo I tipi di ?rinunce? fatte sottoscrivere al lavoratore: in particolare il valore da attribuire alla quietanza a saldo Spesso accade che l'azienda pretenda dal lavoratore in procinto di andarsene per dimissioni o altri motivi, dichiarazioni di rinuncia o addirittura ?liberatorie?, contenenti l'affermazione che il lavoratore non ha null'altro a pretendere. In genere il lavoratore non ha piena consapevolezza di ciò che va a sottoscrivere, anche in considerazione del fatto che la dichiarazione gli viene presentata direttamente per la firma senza fornirgli alcuna spiegazione/ informazione e, soprattutto, senza consentirgli di avere alcuna assistenza sindacale. Sebbene si ritenga che tali dichiarazioni possano in realtà avere un'efficacia piuttosto limitata per le aziende, qualora venissero (come nel caso in esame) sottoposte al vaglio dei giudici, è opportuno provare a tratteggiare quelle che sono le tipologie di ?rinunce? più comuni in questo campo. Sostanzialmente possiamo distinguere fra: - le rinunce annullabili - le rinunce nulle - le liberatorie o quietanze a saldo Per quanto riguarda le rinunce annullabili, è noto che l'art. 2113 del codice civile nega la validità sia alle rinunce che alla transazione che abbiano ad oggetto diritti dei lavoratori derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi. In ogni caso l'impugnazione è consentita nel termine di sei mesi (4), decorso inutilmente il quale la rinuncia non è più contestabile (5). Invece è previsto che essa sia contestabile fin dall'inizio qualora avvenga in sede sindacale o giudiziaria ovvero con adeguata assistenza e necessarie garanzie per il lavoratore. Altro è il caso delle rinunce nulle, e cioè di quelle dichiarazioni di rinuncia aventi ad oggetto diritti che non sono ancora sorti o maturati nel momento in cui il lavoratore sottoscrive la rinuncia. Infatti in questi casi, il codice civile (art. 2113) consente l'impugnazione anche decorsi i sei mesi, dal momento che tali atti si considerano nulli, in quanto inammissibili poichè non è consentito regolamentare gli effetti del rapporto di lavoro in modo diverso da quello prescritto nelle norme di legge o nel contratto collettivo (6). Sono comunque invalide, in base alle norme di diritto comune, le rinunce o transazioni inficiate da una delle cause nullità indicate dall'art. 1418 cod. civ. o da una causa di annullabilità del contratto (incapacità, errore, violenza e dolo ai sensi degli artt. 1425 e 1427 cod. civ.). L'ultima tipologia di rinuncia ovvero le liberatorie o quietanze a saldo ( ed è il caso di cui si è occupata la Cassazione, con la pronuncia che qui si annota) consistono in generiche dichiarazioni da parte del lavoratore che rinuncia a maggiori somme riferibili ad una serie indistinta di pretese ipotizzabili in relazione alla prestazione di lavoro subordinato e alla conclusione del relativo rapporto. Questo tipo di dichiarazione può assumere il valore di rinuncia o transazione - con l'onere per il lavoratore di proporre impugnazione nel termine di sei mesi ex art. 2113 cod. civ. ? solo qualora venga accertato che questo atto era stato sottoscritto proprio con la consapevolezza di riferirsi a diritti determinati o determinabili oggettivamente e con il cosciente intento di rinunciarvi o di transigere sui medesimi. Del resto la rinuncia è una manifestazione unilaterale di volontà portata a conoscenza dell'altra parte, con cui un soggetto dismette un diritto certo, determinato e determinabile. La transazione è, invece, il risultato di un accordo, mediante il quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono termine ad un contenzioso già insorto o prevengono una lite che possa sorgere fra loro. In effetti la giurisprudenza in materia ha ribadito che, affinché si possa parlare di rinuncia, occorrono essenzialmente due presupposti: - che il lavoratore abbia la consapevolezza e rappresentazione dei diritti di sua spettanza; - che egli intenda volontariamente privarsi, in tutto o in parte, della realizzazione delle sue ragioni creditorie, purchè specificamente determinate o quantomeno oggettivamente determinabili, a vantaggio del proprio datore di lavoro. Si considerano di conseguenza ammissibili rinunce che riguardino mere aspettative piuttosto che diritti acquisiti, nonchè diritti pienamente disponibili in capo al lavoratore piuttosto che diritti inderogabili. La transazione, invece, si distingue dalla rinuncia fondamentalmente per tre aspetti peculiari, e cioè: - presuppone l'incertezza in ordine alla spettanza o meno dei diritti che ha ad oggetto (c.d. res litigiosa); - consiste in un atto bilaterale (le parti si accordano, quindi contrattano); - comporta la previsione di reciproche concessioni tra le parti. I precedenti sul tema Secondo la giurisprudenza in materia ? in particolare le più recenti pronunce della Cassazione (7), la quietanza che attesta la riscossione di somme determinate e la liberazione del datore di lavoro da ogni ulteriore adempimento degli obblighi su lui gravanti, non costituisce ? di regola ? una rinuncia in senso tecnico, ma esprime solo la manifestazione dell'opinione del lavoratore sulla congruità delle somme percepite. Così ad es. Cass., n. 15737/2005 (vedi nota 7), nega esplicitamente efficacia negoziale alla quietanza a saldo sottoscritta dal lavoratore e la considera una mera dichiarazione di scienza. Analogamente si esprime Cass., n. 10172/2004, in un caso del tutto assimilabile a quello della pronuncia n. 13731/2006 che qui si annota, la quale considera la dichiarazione del lavoratore di rinuncia a maggiori somme, riferita, in termini generici, ad una serie di titoli di pretese in astratto ipotizzabili in relazione alla prestazione di lavoro subordinato e alla conclusione del relativo rapporto, idonea ad avere valore di rinuncia o transazione e quindi ad essere impugnabile nel termine previsto dall'art. 2113 c.c., a condizione che risulti provato sulla base del documento medesimo o altrimenti dimostrabile, che sia stata rilasciata con la consapevolezza, da parte del prestatore di lavoro, di diritti determinato o comunque determinabili obiettivamente e con il cosciente intento di abdicarvi o transigere sui medesimi. Pertanto se il prestatore di lavoro sottoscrive una semplice quietanza a saldo, non è tenuto ad impugnarla nei termini di decadenza di sei mesi prescritti dall'art. 2113 cod. civ., ma ha facoltà di promuovere un'azione giudiziaria volta a soddisfare i crediti che ritiene non essere estinti o a rivendicare altri diritti entro il consueto termine prescrizionale. E' chiaro che il ragionamento di cui sopra non è applicabile qualora il lavoratore, nel rilasciare la quietanza a saldo, abbia invece, manifestato la consapevolezza dell'ammontare dei suoi diritti e la volontà espressa di dismetterli. In ogni caso la volontà del lavoratore di rinunciare o transigere ad un proprio diritto deve risultare espressamente da una dichiarazione o dal suo comportamento concludente, per cui tale volontà non può essere in alcun modo desunta dal mero silenzio o dall'inerzia del lavoratore. L'affermazione, da parte del prestatore di lavoro, di fatti a sé sfavorevoli, non costituendo un atto dispositivo di un diritto, non è soggetta alla disciplina delle rinunce e delle transazioni. (Nota di Pierangela Dagna - Si ringrazia Altalex). Note: (1) In considerazione della priorità del secondo motivo addotto dalla ricorrente (in quanto pregiudiziale per la decisione della controversia), e cioè quello relativo alla presunta erronea e falsa applicazione degli artt. 2113 e 1362 ss. c.c. ovvero in ordine all'efficacia della dichiarazione di rinuncia e transazione sottoscritta dal lavoratore e ai termini di impugnazione della medesima, in questa sede si dà conto solo in estrema sintesi degli ulteriori motivi di doglianza proposti dalla società ENEL Distribuzione s.p.a. In sostanza la ricorrente denunciava inoltre: 1) violazione e falsa applicazione dell'art. 2120 c.c. e degli artt. 115 ? 116 c.p.c., nonché dell'art. 2697 c.c. per aver qualificato come continuativo il lavoro straordinario svolto dal dipendente sulla sola base dei prospetti mensili delle buste-paga; 2) violazione e falsa applicazione dell'art. 2120 c.c.; della legge 29/5/1982 n. 297, art. 4; degli artt. 1362 ss. c.c., per aver considerato che le quattro mensilità aggiuntive di retribuzione corrisposte al lavoratore non integrassero un trattamento più favorevole di quello che costui avrebbe potuto ottenere conteggiando il compenso straordinario con i parametri in vigore ante il 31 maggio 1982; 3) violazione e falsa applicazione dell'art. 2948 c.c., n. 5 e dell'art. 2934 ss. c.c., in relazione alla legge n. 297/1982, art. 2, per non avere il giudice a quo considerato che a fronte della precedente comunicazione rese al lavoratore in ordine agli accantonamenti effettuati dall'azienda ai fini della liquidazione del futuro t.f.r., fin dal momento di questa comunicazione, costui doveva ritenersi consapevole che il compenso da lavoro straordinario fosse da escludersi dal computo delle altre indennità indicate nella comunicazione e da quel momento decorresse il termine decennale di prescrizione per proporre azione di accertamento dei suoi diritti. (2) Si tratta della legge 29 maggio 1982, n. 297 recante ?Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica?. (3) L'art. 43 del c.c.n.l. per i dipendenti dell'ENEL, che sostanzialmente riproduce il precedente testo del 1979, prevede la corresponsione di indennità supplementari al lavoratore nel caso di dimissioni al raggiungimento del 35° anno di attività lavorativa. (4) Il termine di decadenza decorre: dalla data della rinuncia o transazione, se questa è intervenuta dopo la cessazione del rapporto di lavoro; dalla data di cessazione del rapporto di lavoro, se la rinuncia o transazione è stata posta in essere durante lo svolgimento del rapporto. (5) Occorre però tenere presente che l'inoppugnabilità in oggetto non è rilevabile d'ufficio dal giudice, ma potrà essere dichiarata solo qualora il datore di lavoro chiamato in giudizio, sollevi la relativa eccezione. (6) Cfr. Cass., sez. lavoro, sent. n. 12561 del 26 maggio 2006. (7) Cfr. Cass., sent. n. 12561 del 26 maggio 2006, cit.; sent. n. 20449 del 21 ottobre 2005; sent. n. 15737 del 27 luglio 2005; sent. n. 3474 del 21 febbraio 2005; sent. n. 10172 del 26 maggio 2004; sent. n. 9047 dell'11 luglio 2001. Cassazione, Sez. lavoro, sentenza 14.6.2006 n° 13731 - Pierangela Dagna
Tutte le notizie