Data: 09/11/2019 17:00:00 - Autore: Sara Fabiani

di Sara Fabiani - In questa disamina, si cercher� di comprendere la differenza tra il reato di estorsione ex art. 629 c.p. e l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, previsto dall'art. 393 del codice penale.

Il reato di estorsione

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Commette questo delitto "chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a s� o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno". Questa disposizione trova il proprio fondamento, sia nella necessit� di tutelare il patrimonio individuale che in quella di preservare la libert� di autodeterminazione del singolo; si tratta, pertanto, di un reato plurioffensivo. Il nucleo fondamentale del reato in questione si basa sulla coazione (che pu� estrinsecarsi nelle forme di violenza o minaccia), per mezzo della quale una persona viene costretta a tenere una determinata condotta (positiva o negativa), la quale comporta una diminuzione del suo assetto patrimoniale, con profitto per il soggetto agente o per altri. La violenza pu� estrinsecarsi sia verso il soggetto passivo in modo diretto, sia su una terza persona (la c.d. violenza personale), e anche sulle cose (la c.d. violenza reale). La costrizione del soggetto passivo, a fare od omettere qualche cosa, � quella relativa e non quello assoluta; ci� vuol dire che la coazione deve, comunque, lasciare in chi la subisce una certa discrezionalit�, intesa come libert� di scelta. Infatti, qualora si trattasse di costringimento assoluto, non si avrebbe pi� il reato di estorsione, ma quello di rapina. Per quanto riguarda il danno, esso deve trattarsi di una "deminutio patrimonii". Meno agevole �, invece, determinare quando si abbia una "ingiustizia del profitto". Secondo alcuni Autori (F. Antolisei, Manuale di diritto penale, parte speciale), il profitto non pu� ritenersi "contra ius" quando abbia, come base, una pretesa che sia, comunque, riconosciuta e tutelata dall'ordinamento giuridico, anche in via indiretta. Si considera, altres�, ingiusto il profitto anche quando la minaccia abbia ad oggetto l'esercizio di un diritto o facolt� legittimi, se questi siano strumentalizzati per un fine diverso ed ulteriore, rispetto a quello che l'ordinamento giuridico riconosce.
Il dolo del reato, dalla maggior parte della dottrina, � considerato generico, e non specifico, poich� il procurare a s� o ad altri un ingiusto profitto, con altrui danno, non rappresenta soltanto lo scopo in virt� del quale il colpevole assume il comportamento criminoso, ma � esso stesso un elemento della fattispecie oggettiva; ossia il conseguimento del profitto con altrui danno rappresenta l'evento stesso del reato (F. Antolisei, op.cit.).

Il reato di esercizio arbitrario con violenza alle persone

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Integra gli estremi di questa fattispecie penale "chiunque, al fine indicato dall'articolo precedente (cio� di esercitare un preteso diritto), e potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da s� medesimo, usando violenza o minaccia alle persone (....)".
La possibilit� di ricorso al giudice � uno dei presupposti di tale reato e deve sussistere sia in termini di materialit� che di giuridicit�, ovvero il soggetto deve trovarsi nella possibilit� di adire l'autorit� giudiziaria in maniera effettiva e concreta; questo presupposto verrebbe, pertanto, a mancare se l'agente si trovasse, ad esempio, dinanzi alla minaccia di essere spogliato del suo possesso: "vim vi repellere licet" (F. Antolisei, op. cit.).
La dottrina � pressoch� unanime nel considerare tale incriminazione come avente lo scopo di impedire che si abbia la violenta sostituzione dell'attivit� individuale, all'attivit� degli organi giudiziari; questo al fine di evitare che i privati si facciano ragione da s� medesimi, in tal modo, compromettendo la pubblica pace (F. Antolisei, op. cit.). A questa "ratio legis", taluno ritiene che si debba aggiungere anche la necessit� di tutelare l'incolumit� del privato e soprattutto la sua incolumit� personale; pertanto, secondo questa impostazione, la natura del reato risulterebbe, in tal modo, plurioffensiva.
Ai fini dell'elemento soggettivo, secondo la dottrina maggioritaria, � sufficiente che l'autore del reato agisca nel ragionevole convincimento di difendere un proprio diritto, non importando se poi in concreto il diritto sia esistente o meno (F. Antolisei, op. cit., ritiene che non importa se la pretesa risulti poi fondata o infondata); la convinzione, per�, come si � detto, deve essere ragionevole, cio� non meramente astratta ed arbitraria. Secondo altra parte della dottrina, invece, il diritto preteso deve essere suscettibile di effettiva realizzazione giudiziale.
Per quanto riguarda l'entit� del dolo, dai pi�, sia afferma che si tratti di dolo specifico, costituito dal fine di esercitare un preteso diritto. C'� anche chi ritiene, per� (F. Antolisei, op. cit.), che il fine di esercitare questo preteso diritto, invece, non sia altro che la stessa intenzione di farsi ragione da s� medesimo e che, dunque, non sia un "quid pluris" che sta al di l� del fatto che costituisce reato, ma il fatto medesimo (azione ed evento); pertanto, secondo quest'ultima impostazione, il dolo sarebbe da considerarsi generico.

Il rapporto tra le due fattispecie nella giurisprudenza

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La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha, con la sentenza 46288/2016, delineato i confini delle due fattispecie, qui oggetto di esame, stabilendo che "Il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone e quello di estorsione, pur se caratterizzati da una materialit� non esattamente sovrapponibile, si distinguono in relazione all'elemento psicologico del reato in quanto, nel primo, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione non meramente astratta ed arbitraria, ma ragionevole, anche se infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria; nel secondo, invece, l'agente persegue il conseguimento di un profitto, nella consapevolezza della sua ingiustizia. (in motivazione, la Corte ha precisato che l'elevata intensit� o gravit� della violenza o della minaccia, di per s�, non legittima la qualificazione del fatto ex art. 629 del cod. pen., potendo l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni essere aggravata, come l'estorsione, dall'uso di armi; pu�, per�, costituire indice sintomatico del dolo di estorsione).
Ancora la Corte: "In tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ai fini della configurabilit� del reato occorre che l'autore agisca nella ragionevole opinione della legittimit� della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale, anche se detto diritto non sia realmente esistente; tale pretesa, inoltre deve corrispondere perfettamente all'oggetto della tutela apprestata in concreto dall'ordinamento giuridico, e non mirare ad ottenere un qualsiasi "quid pluris", atteso che ci� che caratterizza il reato in questione, � la sostituzione, operata dall'agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato".
Pertanto, ci� che distingue le due fattispecie � proprio l'elemento psicologico (si veda in tal senso anche la dottrina dominante, tra gli altri, F. Antolisei, op.cit.) che, nell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, si fonda sulla convinzione del soggetto agente di soddisfare una propria pretesa, che potrebbe formare oggetto di tutela giudiziaria (ci� � stato, poi, confermato dalla sentenza Cassazione penale 1901/2017:" Il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona e quello di estorsione si distinguono non per la materialit� del fatto che pu� essere identica, ma per l'elemento intenzionale che, qualunque sia stata la gravit� della violenza o della minaccia, integra la fattispecie estorsiva soltanto quando abbia di mira l'attuazione di una pretesa non tutelabile davanti all'autorit� giudiziaria"), ma la Cassazione � perentoria nell'asserire che tale convincimento non debba essere astratto ed arbitrario, bens� conforme al criterio della ragionevolezza, anche se il diritto poi, nel concreto, dovesse risultare inesistente. Nel caso dell'estorsione, invece, la Corte ravvisa la consapevolezza nel soggetto agente di perseguire un profitto "contra ius". Di notevole importanza, � ci� che si legge in motivazione della sentenza 46288/2016, e cio� che l'elevata intensit� o gravit� della violenza o della minaccia, di per s�, non legittima la qualificazione del fatto ex art. 629 del cod. pen.
Infatti, l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni pu� essere aggravato, come l'estorsione, dall'uso di armi; questa situazione pu� costituire soltanto un indice sintomatico del dolo di estorsione, ma non � detto che questo possa riscontrarvisi.
Con la sentenza n. 33712/2017, per�, la Corte di Cassazione ritorna sul punto statuendo che "Integra il delitto di estorsione e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la condotta minacciosa che si estrinsechi in forme di tale forza intimidatoria da andare al di l� di ogni ragionevole intento di far valere un preteso diritto, con la conseguenza che la coartazione dell'altrui volont� assuma, di per s�, i caratteri dell'ingiustizia" (fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che assumesse le indicate caratteristiche, l'avvenuto invio alla persona offesa di una lettera minatoria, di un arma e dei proiettili, trattandosi di una metodologia tipica di azioni poste in essere da aderenti a consorterie di tipo mafioso). Anche parte della dottrina ritiene che per giudicare sull'ingiustizia del profitto, bisogna considerare il rapporto esistente fra il mezzo coattivo usato ed il vantaggio patrimoniale avuto di mira. "Se il mezzo � di per s� antigiuridico - lesioni, percosse, limitazioni della libert� personale, ecc. - il profitto si considerer� sempre ingiusto e sussister� il delitto di estorsione" (F. Antolisei, op.cit.). Il punto di divergenza tra le due decisioni �, dunque, quello di determinare quando il profitto sia da considerarsi ingiusto, se solo quando risulti, di per s�, contrario all'ordinamento giuridico, oppure deve essere considerato "contra ius" anche quando il mezzo usato per il raggiungimento di tale profitto, sia tale da estrinsecarsi in una coartazione dell'altrui volont�, per cui l'ingiustizia sia in "re ipsa", nei mezzi di costringimento usati.
Sempre nell'anno 2016, la Corte di Cassazione ha emesso un'altra sentenza per delineare i contorni tra l'estorsione e la "ragion fattasi" con violenza alle persone, la n. 11453/2016, con la quale si � ritenuto che "� configurabile il delitto di estorsione e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone, in presenza di una delle seguenti condizioni relative alla condotta di esazione violenta o minacciosa di un credito: a) la sussistenza di una finalit� costrittiva dell'agente, volta non gi� a persuadere ma a costringere la vittima, annullandole le capacit� volitive; b) l'estraneit� al rapporto contrattuale di chi esige il credito, il quale agisca anche solo al fine di confermare ad accrescere il proprio prestigio criminale attraverso l'esazione con violenza e minaccia del credito altrui; c) la condotta minacciosa e violenta finalizzata al recupero del credito sia diretta nei confronti non soltanto del debitore, ma anche di persone estranee al sinallagma contrattuale. Al punto a) ritroviamo la coscienza e volont� del soggetto agente volta al costringimento della vittima, coartandone fino ad annullarle le capacit� volitive (anche se in questo caso, la dottrina ritiene che se la vittima non abbia libert� di scelta, ci si trovi di fronte al reato di rapina). Al punto b) si riscontra l'ipotesi di chi esiga con violenza o minaccia l'esazione del credito, essendo estraneo al rapporto contrattuale. Al punto c) si ha il caso della persona che subisca la violenza o minaccia, pur se estranea al vincolo contrattuale. Mentre nel punto a) si ha una riflessione sull'elemento soggettivo, con l'intenzione del soggetto agente diretta, non gi� a persuadere, ma a costringere la vittima, nei punti b) e c) la Corte di Cassazione rivolge l'attenzione ad alcune circostanze, le quali, allorch� si verifichino, si avrebbero gli elementi per cui si potrebbe parlare, "ipso facto", della fattispecie penale incriminatrice di cui all'art. 629 c.p. Ci� probabilmente, perch� nei punti b) e c) la condotta minacciosa o violenta si estrinseca in maniera tale da rendere, di per s�, ingiusto il profitto, in quanto l'ingiustizia si trova "in re ipsa", per la metodologia usata nella coartazione dell'altrui volont�, con ci� ritornando a quanto gi� detto circa la contrariet� al diritto dei mezzi usati ed al contrasto giurisprudenziale che ne � scaturito tra le sentenze sopra esaminate.
Per approfondire vai alle nostre guide:
- Il reato di estorsione
- L'esercizio arbitrario delle proprie ragioni

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