|
Data: 28/11/2019 22:00:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - "Gli avvocati non sono né giocolieri da circo, né conferenzieri da salotto: la giustizia è una cosa seria", affermava Piero Calamandrei, tra i più esimi esponenti di una professione il cui onore è stato talvolta adombrato nel corso degli anni dai suoi stessi esponenti. E, senza alcun dubbio, colui che fu Presidente del Consiglio Nazionale Forense dal 1946 alla morte, sarebbe concorde con i suoi colleghi nel condannare fortemente quelle iniziative pubblicitarie degli avvocati del nostro tempo che si sono spinti al punto da emulare le più celebri "réclame" promettendo prestazioni professionali a prezzi stracciati e altre suggestioni squisitamente commerciali. Il Codice Deontologico Forense ha preso atto della lesività che tali atteggiamenti possono procurare alla professione e, per questo, ha ritenuto doveroso disciplinare puntualmente, nella sua più recente versione, l'informazione sull'esercizio dell'attività professionale (art. 17 CDF) e il dovere di corretta informazione (art. 35 CDF), oltre che stabilire il divieto di accaparramento di clientela (art. 37 CDF). Più volte il Consiglio Nazionale Forense è intervenuto per fornire un'interpretazione di tali norme e sanzionare comportamenti ritenuti scorretti, come dimostra uno tra i più recenti interventi in materia, ovvero la sentenza n. 23 del 23 aprile 2019 (sotto allegata).
Il caso[Torna su] Il Consiglio si è pronunciato sulla vicenda di un avvocato che aveva diffuso una brochure dal titolo "risarcimento danni medici" e del contenuto di un sito denominato "risarcimento danni medici" da cui risultava la promessa di prestazioni professionali "senza anticipi, senza spese, senza rischi e, soprattutto, in tempi brevissimi", nonché di definizione "entro 240 giorni invece di attendere i soliti 4-5- 6 anni!", oltre che la previsione di pagamento del compenso legato al risultato ottenuto, senza alcun corrispettivo per l'ipotesi di mancato ottenimento del risarcimento. Dal sito risultava il collegamento con lo studio legale dell'avvocato. Una situazione da cui era originato un procedimento disciplinare, tra l'altro, per aver questi omesso di rispettare il divieto di accaparramento della clientela. Il COA riteneva chiaramente offensivo della dignità e del decoro il comportamento dell'avvocato che offra la propria prestazione in via del tutto gratuita e che magnifichi la propria capacità di definire le pratiche entro 240 giorni anziché in 4/6 anni come farebbero gli altri avvocati. Tenuto conto di una precedente pronuncia di responsabilità e della pluralità delle condotte rilevanti poste in essere, veniva irrogata al professionista la sanzione della censura. Avvocati e informazioni pubblicitarie[Torna su] La decisione del COA viene confermata anche dal Consiglio Nazionale Forense che rammenta come tanto il precedente Codice Deontologico che quello attualmente vigente (prevedevano e) prevedono: da un lato che le informazioni pubblicitarie sull'attività professionale, per essere lecite e corrette, debbano essere caratterizzate da trasparenza, correttezza, non equivocità, non ingannevoli, non comparative, né suggestive od elogiative, e ciò anche per un evidente scopo di tutela di affidamento della collettività; dall'altro il divieto per l'avvocato di acquisire rapporti di clientela con modi non conformi a correttezza e decoro. E i principi in tema di pubblicità di cui alla legge 248/2006 (c.d. Decreto Bersani), che consentendo al professionista di fornire specifiche informazioni sull'attività e i servizi professionali offerti, non legittimano tuttavia una pubblicità indiscriminata avulsa dai dettami deontologici. Infatti, la peculiarità e la specificità della professione forense, in virtù della sua funzione sociale, impongono, conformemente alla normativa comunitaria e alla costante sua interpretazione da parte della Corte di Giustizia, le limitazioni connesse alla dignità ed al decoro della professione, la cui verifica è dall'Ordinamento affidata al potere – dovere dell'ordine professionale" (così CNF n. 8/2017). Sanzionato l'avvocato che pubblicizza prezzi stracciati e vertenze definite in pochi giorni[Torna su] E con tale disciplina, secondo il Consiglio, contrasta il contenuto della comunicazione presente nella brochure e nel sito oggetto del capo di incolpazione. In primis, si evidenzia che promettere la "definizione della vertenza entro 240 giorni" contrasta con i precetti di correttezza e veridicità, poiché è evidente che nessuna garanzia e/o certezza può esservi circa il fatto che una qualsiasi pratica contenziosa possa sicuramente definirsi entro il termine pubblicizzato dall'incolpato. Ancora, emerge la natura elogiativa e comparativa del messaggio informativo laddove la promessa di definizione entro 240 giorni è posta a confronto con i termini di 4-5-6 anni normalmente occorrenti (secondo il messaggio implicito, ma chiaro, contenuto nella brochure) agli altri avvocati. Il disvalore deontologico dell'offerta di prestazioni "senza rischi" discende anche dal fatto che l'art.40 CDF impone all'avvocato un esaustivo obbligo di informativa, onde l'accattivante offerta di ciò che è comunque dovuto per precisa norma codicistica e professionale non può che risultare volta a condizionare le scelte di particolari clienti privi di adeguati strumenti informativi. La gratuità della prestazione[Torna su] I giudici del CNF si soffermano anche sul rilievo della sostanziale gratuità della prestazione pubblicizzato nella comunicazione in questione, stante le inequivoche espressioni utilizzante ("senza anticipi, senza spese, senza rischi, pagamento del compenso legato al risultato ottenuto") ritenute sicuramente contrarie ai suddetti obblighi deontologici di informazione. Il CNF rammenta che costituisce illecito disciplinare l'informazione, diffusa anche attraverso siti internet, fondata sull'offerta di prestazioni professionali gratuite ovvero a prezzi simbolici o comunque contenuti e bassamente commerciali, in quanto volta a suggestionare il cliente sul piano emozionale, con un messaggio di natura meramente commerciale ed esclusivamente caratterizzato da evidenti sottolineature del dato economico" (così CNF n. 89/2013). Nel caso di specie, è indubbio che la comunicazione dell'avvocato abbia integrato un messaggio pubblicitario di natura meramente commerciale e teso a suggestionare la potenziale clientela con evidenti sottolineature esclusivamente del dato economico. Non è rispettoso della dignità e del decoro professionale, infatti, non il fatto di ricercare clientela, bensì l'indulgere ad autoreferenzialità con l'enfatizzazione dell'attività dello studio e per l'utilizzare mezzi suggestivi ed auto elogiativi volti ad attirare l'attenzione degli utenti non particolarmente avveduti. L'entità della sanzione[Torna su] Viene dunque confermata la sentenza resa dal COA e anche la sanzione irrogata (censura), che tra l'altro l'art. 35 prevede come edittale. In particolare, quella della censura si ritiene congruamente comminata, atteso lo spiccato, e quasi esclusivo, carattere commerciale (e non informativo) del messaggio pubblicitario in questione e la conseguente evidenza della discordanza e della distanza del suo contenuto rispetto ai dettami della normativa deontologica. |
|