Data: 22/12/2019 21:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate

di Annamaria Villafrate - Il Consiglio Nazionale Forense, con la sentenza n. 52/2019 (sotto allegata) rigetta il ricorso di un avvocato, raggiunto dalla sanzione disciplinare dell'avvertimento per aver rivolto in un fax diretto al difensore avversario e aver utilizzato anche nell'esposto presentato al COA frasi offensive e volgari dirette a ledere la dignità della persona. Come precisa il CNF un comportamento di questo tipo, del quale non si può porre in dubbio la volontarietà, non solo è contrario ai doveri di lealtà e correttezza e al divieto di usare espressioni sconvenienti e offensive, ma viola soprattutto la sacralità del rapporto di colleganza.

L'esposto dell'avvocato al COA

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Nel luglio 2009 un avvocato presenta un esposto al Consiglio di Pordenone lamentandosi del contenuto di una comunicazione fax inviatagli da un collega del seguente tenore: "ritengo che tale vostro comportamento arrechi danno al Sig. (…) e gravi gli uffici giudiziari di questioni bagatellari."

L'avvocato raggiunto dall'esposto presenta esposto a sua volta affermando: "ritengo …. che il patrocinio del Sig. (…) abbia agito …. contro l'interesse del proprio assistito facendogli intraprendere azioni giudiziarie … infondate che danneggiano economicamente il proprio cliente. È del tutto evidente che far presentare una querela per falsa testimonianza ed una opposizione a precetto destituite di ogni fondamento non possa essere frutto della sola volontà del cliente"."

La decisione del Consiglio dell'Ordine

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Il COA decide di archiviare l'esposto dell'avvocato responsabile dell'invio di missive offensive al collega e apre nei suoi confronti un procedimento disciplinare per aver violato l'art 6 (dovere di lealtà e correttezza), dell'art. 20 (divieto di uso di espressioni sconvenienti e offensive) e dell'art. 22 (rapporto di colleganza) del Codice Deontologico. All'esito del procedimento il COA irroga all'avvocato la sanzione disciplinare dell'avvertimento evidenziano nella motivazione l'utilizzo di frasi sconvenienti, offensive e gratuite "prive di relazione con l'esercizio del diritto di difesa".

Il ricorso dell'avvocato sanzionato

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Avverso la decisione l'avvocato ricorre al CNF a mezzo difensore, che chiede l'accoglimento del ricorso, evidenziando:

  • come le frasi utilizzate consistono in "mere esternazioni volte a stigmatizzare le altrui iniziative giudiziali, che nel caso concreto si sono concretizzate nella proposizione di opposizione a precetto su sentenza per la differenza di circa 100,00 Euro";
  • che il termine "bagatellare" è stato utilizzato non in tono offensivo, trattandosi di un termine che rientra nel linguaggio comune degli avvocati;
  • e che le espressioni impiegate sono prive di qualsiasi carica volgare o finalizzata a offendere.

Il difensore rileva infine come il COA non abbia effettuato un'indagine approfondita sulla volontarietà della condotta del suo assistito, tanto che chiede l'annullamento del provvedimento sanzionatorio e in via istruttoria l'ammissione di prove testimoniale che il Consiglio non ha voluto ammettere.

Viola il rapporto di colleganza rivolgere attacchi personali

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Il Consiglio Nazionale Forense adito dall'Avvocato sanzionato respinge il ricorso precisando che tra avvocati devono essere evitate frasi o espressioni sconvenienti, stante la "sacralità" del rapporto di colleganza. Il CNF ammette che nello svolgimento dell'attività di difesa sia previsto l'utilizzo di un tono fermo e a volte acceso. Questo non significa però far scadere di livello l'operato di un collega, attraverso il ricorso a un frasario, come quello utilizzato dal ricorrente, offensivo e lesivo "sindacando e censurando le scelte di costui, finendo per attribuirgli una condotta foriera di danni per l'assistito." Risultano insomma evidentemente violati i doveri di lealtà, probità e decoro richiesti dal rapporto di colleganza.

Per quanto riguarda poi l'aspetto della volontà della condotta, il CNF dopo aver affermato la sufficienza della suitas, ovvero la volontà consapevole dell'atto posto in essere, richiama una SU della Cassazione la quale precisa che: "in materia di illeciti disciplinari la coscienza e volontà delle azioni o omissioni di cui all'art. 4 del nuovo Codice deontologico consistono nel dominio anche solo potenziale dell'azione o omissione, che possa essere impedita con uno sforzo del volere e sia quindi attribuibile alla volontà del soggetto."

Da respingere infine la critica relativa alla mancata ammissione delle prove orali per istruire la vicenda, trattandosi di un caso in cui è stato sufficiente esaminare gli scritti dell'incolpato per giungere a una decisione.


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