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Data: 26/12/2019 21:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate di Annamaria Villafrate - La Cassazione con la sentenza n. 51147/2019 (sotto allegata) respinge il ricorso di un'imputata, condannata in sede penale alla pensa sospesa di due anni di reclusione e al risarcimento dei danni alla parte civile da liquidarsi in separata sede, per aver investito un pedone. Gli Ermellini in una articolata motivazione, per quanto riguarda il principio dell'affidamento precisa che, nella circolazione stradale esso subisce un temperamento perché l'utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui se questo rientra nel limite della prevedibilità. Ora nel caso di specie, da come si sono svolti i fatti è emerso che la condotta dell'automobilista è risultata connotata da imprudenza, visto che le condotte imprevedibile dei pedoni rappresentano un rischio tipico di cui, chi è alla guida di un'auto, deve tenere conto.
Reato ex art. 589 2 comma c.p.[Torna su]
La Corte di Appello conferma la sentenza con cui il Tribunale ha condannato l'imputata, all'esito di giudizio abbreviato a 2 anni di reclusione, con pena sospesa e non menzione, con condanna al risarcimento del danno della parte civile, per il reato di cui all'art. 589, 2° comma c.p. perché ha cagionato la morte di un uomo, per colpa consistita in imperizia, imprudenza, negligenza e inosservanza delle norme sulla circolazione stradale. Alla guida della sua Lancia Y infatti la donna ha omesso di prestare attenzione e moderare la velocità nei pressi di un attraversamento pedonale e mettere in atto le manovre necessarie per evitare l'investimento del pedone di cui non si accorgeva nemmeno e che attraversava la strada da destra verso sinistra sulle strisce o nelle loro immediate prossimità. Il ricorso in Cassazione[Torna su]
L'imputata ricorre in Cassazione illustrando le ragione nei seguenti motivi di ricorso.
Da condannare il conducente che investe il pedone che attraversa fuori dalle strisce[Torna su]
La Cassazione ritiene infondati i motivi sollevati nel ricorso dall'imputata e con la sentenza n. 51147/2019 lo rigetta. Questi i passaggi più significativi della sentenza dai quali emerge la responsabilità dell'imputata nell'investimento del pedone. Per quanto riguarda la mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello per assumere prove sopravvenute non vietate né superflue o irrilevanti la corte precisa che "può essere sindacata, in sede di legittimità, ex art. 603, comma 3, cod. proc. pen., soltanto qualora sussistano, nell'apparato motivazionale posto a base della conclusiva decisione impugnata, lacune, manifeste illogicità o contraddizioni, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza. E non è il caso che ci occupa." Infondato anche il secondo perché finalizzato a ottenere una nuova pronuncia nel merito, vietata in sede di legittimità. Da rigettare anche il terzo motivo perché la corte d'Appello ha correttamente argomentato la decisione affermando che dalle prove è emerso che: "l'imputata, guidava l'autovettura in maniera distratta, ad. una velocità che, pur volendo prestar fede alla ricostruzione cinematica effettuata dal consulente tecnico della difesa, era prossima al limite massimo imposto dalla segnaletica verticale presente sul posto. E tale velocità si è rivelata inadeguata rispetto alla obiettiva situazione di pericolo visivamente segnalata anche dalle strisce orizzontali di attraversamento pedonale e- razionalmente desumibile dalla presenza dei marciapiedi costeggianti la sede viaria (…) l'imputata violava apertamente l'obbligo di ispezionare costantemente la strada, di mantenere sempre il controllo del veicolo e di prevedere tutte le situazioni di pericolo che la comune esperienza comprende. A carico del conducente, infatti, e posto un particolare obbligo di attenzione nell'avvistamento del pedone - obbligo di prudenza da calibrare in base alla situazione concreta - in guisa da poter porre in essere efficacemente tutti i necessari accorgimenti atti a prevenire il rischio di un investimento, anche in presenza di comportamenti irregolari da parte dello stesso pedone il dovere di attenzione del conducente teso all'avvistamento del pedone trova il suo parametro di riferimento (oltre che nelle regole di comune e generale prudenza) nei richiamato principio generale di cautela che informa la circolazione stradale e si sostanzia, essenzialmente, nel dover prospettarsi le condotte irregolari altrui." Gli Ermellini ricordano come più volte la corte di legittimità ha affermato che: "il conducente che noti sul percorso la presenza di pedoni che tardano a scansarsi, deve rallentare la velocità e, occorrendo, anche fermarsi; e ciò allo scopo di prevenire inavvertenze e indecisioni pericolose dei pedoni stessi che si presentino ragionevolmente prevedibili e probabili, in quanto la circostanza che i pedoni attraversino la strada improvvisamente o si attardino nell'attraversare costituisce un rischio tipico e quindi prevedibile della circolazione stradale." Ha ragione la Corte d'Appello quando afferma che: "la possibilità di fare affidamento sull'altrui diligenza viene meno quando l'agente è gravato da un obbligo di controllo o sorveglianza nei confronti di terzi; o, quando, in relazione a particolari contingenze concrete, sia possibile prevedere - ed è il caso che ci occupa- che altri non si atterrà alle regole cautelari che disciplinano la sua attività." Infondato infine anche l'ultimo motivo del ricorso sulla pena applicata stante la gravità dell'imprudenza che ha caratterizzato la condotta dell'imputata. Leggi anche: - Incidenti stradali e pedoni: il vademecum della Cassazione - Cassazione: investire il pedone fuori dalle strisce è reato |
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