Data: 26/12/2019 09:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate

di Annamaria Villafrate - L'ordinanza n. 33720/2019 della Cassazione (sotto allegata) dichiara inammissibile il ricorso perché privo dei requisiti minimi richiesti dalla legge. La Corte infatti non ha potuto comprendere la vicenda processuale, gli errori denunciati e la soluzione prospettata e ritenuta corretta dal ricorrente. Proporre un ricorso privo dei requisiti minimi per la sua ammissibilità e richiesti dalla legge con termini inequivoci, conduce alla condanna ai sensi dell'art 96 c.p.c perché o il ricorrente ignora le norme e ha quindi agisce con colpa grave, trattandosi di ignoranza inescusabile; o le conosce, e allora agisce con mala fede, non rispettando volutamente i precetti stabiliti a pena d'inammissibilità.

Tecnica scrittoria oscura? Viola il dovere di lealtà

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Soccombente in appello dopo l'impugnazione della sentenza emessa in primo grado, un soggetto avanza ricorso in Cassazione sollevando tre motivi. Resiste con con controricorso il condominio, parte avversa nella causa. Questa la vicenda per sommi capi.

La Corte di Cassazione con ordinanza n. 33720/2019 dichiara il ricorso avanzato inammissibile:

  • ai sensi dell'art 366 n. 3 c.p.c per mancanza dell'esposizione sommaria dei fatti in quanto è assente una chiara ed ordinata esposizione dei fatti di causa, richiesta a pena d'inammissibilità. Esso inoltre non indica e non è comunque possibile desumere chi ha avviato la causa, che domanda ha presentato, qual'è la decisione di primo grado sulla stessa, che rapporto intercorre tra la querela di falso a cui si fa riferimento nel ricorso e la procedura esecutiva;
  • ai sensi dell'art 366 n. 4 e 6 c.p.c che richiedono a pena d'inammissibilità "i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l'indicazione delle norme di diritto su cui si fondano e la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda."

La Corte rileva infatti come un ricorso per Cassazione è un atto che chiede al ricorrente di articolare un ragionamento scandito dalla indicazione della decisione di merito, da quella che sarebbe dovuta essere secondo la sua prospettazione e quale regola o principio sono stati violati e hanno condotto alla pronuncia emanata invece di quella attesa.

Nel ricorso il ricorrente "dà per presupposti fatti che era suo onere indicare" come le domande proposte, le decisioni del giudice di merito e gli errori di diritto commessi, limitandosi a sostenere doglianze generiche e incomprensibili, se non esaminando la sentenza impugnata e i fascicoli dei giudici di merito. Egli non espone inoltre chiaramente l'errore commesso e la regola che doveva essere applicata, risultando in questo modo assolutamente aspecifico.

La Corte può conoscere solo degli errori correttamente censurati, ma non può rilevarli d'ufficio, né chi avanza il ricorso può pretendersi che si essa adoperi per intuire le censure se queste sono state esposte con tecnica scrittoria oscura, condotta che viola il dovere di lealtà sancito dall'art. 88 c.p.c.

Condanna ex art. 96 c.p.c. se il ricorso è privo dei requisiti minimi

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Per la Cassazione il ricorrente ha quindi agito perlomeno con colpa grave, perché avrebbe azionato la causa nella consapevolezza della infondatezza della domanda avanzata oppure senza aver fatto ricorso all'ordinaria diligenza per divenire consapevole dell'inammissibilità dell'atto presentato. Per questo gli Ermellini ritengono che il ricorrente debba essere condannato ai sensi dell'art 96 comma 3 c.p.c a pagare alla controparte costituita le spese di lite e una somma a titolo di risarcimento da determinarsi in via equitativa.

Colpa grave o malafede

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Poiché infatti il ricorrente ha proposto un ricorso totalmente privo dei requisiti minimi per la sua ammissibilità, richiesti dalla legge con termini inequivoci, deve concludersi che: "o il ricorrente (…) ignorava le suddette norme, ed allora ha agito con colpa grave, trattandosi di ignoranza inescusabile; oppure le conosceva, ed allora ha agito addirittura con mala fede, volutamente disattendendo precetti richiesti a pena di inammissibilità."

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