Data: 07/01/2020 12:00:00 - Autore: ILARIA PARLATO

Avv. Ilaria Parlato - Integra gli estremi del reato di maltrattamenti in famiglia la condotta di chi infligge abitualmente vessazioni e sofferenze, fisiche o morali, a un'altra persona, che ne rimane succube.

Di seguito una breve guida al reato con taluni casi di esclusione dello stesso:

Il reato di maltrattamenti in famiglia

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Il delitto di maltrattamenti in famiglia � configurabile allorch� vi siano condotte di reiterata violenza fisica o psicologica che si risolvono in vere e proprie sofferenze morali nella vittima.

All'interno della fattispecie delittuosa di cui si discorre sono, pertanto, da annoverare non solo le percosse e le lesioni, bens� anche le minacce, le privazioni, gli atti di disprezzo e di offesa alla dignit� della vittima che si risolvono, appunto, in vere e proprie sofferenze morali (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, sent. 29 gennaio 2015 n. 4332; Cass. Pen., Sez. VI, 19 marzo 2014 - 2 aprile 2014, n. 15147; Cass. Pen., Cass. Pen., Sez. VI, 7 giugno 1996 - 12 settembre 1996, n. 8396).

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La natura abituale

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Onde integrare gli estremi del reato di maltrattamenti in famiglia la materialit� del fatto deve consistere in una condotta abituale. Tale condotta deve, infatti, esplicarsi con pi� atti, commissivi od omissivi, che isolatamente considerati potrebbero anche non costituire reato, ma che acquistano rilevanza penale, e dunque carattere dell'antigiuridicit�, per l'effetto del loro realizzarsi in momenti successivi, rectius in virt� della loro reiterazione protrattasi in arco temporale il quale pu� essere anche limitato (Cass. Pen., Sez. VI, 25 settembre 2013 - 22 ottobre 2013, n. 43221; Cass. Pen., Sez.VI, 19 giugno 2012 - 25 giugno 2012, n. 25183; Cass. Pen., Sez. VI, 4 dicembre 2003 - 19 febbraio 2004, n. 7192; Cass. Pen., Sez. VI, 4 luglio 2018 � 19 marzo 2019, n. 12196; Cass. Pen., Sez. V, 09 gennaio 1992, n. 2130).

Caratteristiche degli atti integranti il reato

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I vari atti che danno forma alla condotta abituale in cui si sostanzia il reato di maltrattamenti in famiglia, per esser tali nonch� per integrare il delitto di cui si discorre, devono determinare sofferenze fisiche o morali nella vittima e devono, altres�, essere collegati da un nesso di abitualit� ed avvinti nel loro svolgimento da un'unica intenzione criminosa, quale quella di ledere l'integrit� fisica o morale del soggetto passivo infliggendogli abitualmente tali sofferenze (Cass. Pen., Sez. VI, 9 febbraio 2016, n.5258; si veda anche Cass. Pen., Sez. I, 12 febbraio 1996 - 24 settembre 1996, n. 8618; Cass. Pen., Sez. VI, 27 maggio 2003 - 26 settembre 2003, n. 37019; Cass. Pen., Sez. VI, 19 giugno 2012 - 25 giugno 2012, n. 25183).

Conseguenza di quanto sopra � che i vari atti - integranti la fattispecie delittuosa de quo - devono atteggiarsi come la componente di una pi� ampia ed unitaria condotta abituale, idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante, persecutorio ed insostenibile (Cass. Pen., Sez. VI, 9 febbraio 2016, n.5258; Cass. Pen., Sez. VI, 27 maggio 2003 -26 settembre 2003 n. 37019; Cass. Pen., Sez. VI, 23 gennaio 2019, n. 4935).

Elemento soggettivo e dolo generico

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Per la configurabilit� del reato di maltrattamenti in famiglia principio consolidato in giurisprudenza quello secondo cui - affinch� sussista l'elemento soggettivo - non occorre che l'agente abbia perseguito particolari finalit�, n� si richiede che l'agente sia animato da un fine di maltrattare, di infliggere alla vittima sofferenze fisiche o morali senza plausibile motivo (Cass. Pen., Sez. VI, sent. 26 giugno 2018, n.29255; Cass. Pen., Sez. VI, n. 1067 del 3 luglio 1990 n. 1067).

Ai fini dell'integrazione del reato di maltrattamenti in famiglia l'elemento soggettivo non richiede neppure la programmazione di una pluralit� di atti (Cass. Pen., Sez. VI, 4 luglio 2018 � 19 marzo 2019, n. 12196), giacch� non occorre che sia presente fin dall'inizio una rappresentazione della serie degli episodi (Cass. Pen., Sez. VI, 17 ottobre 1994 - 19 novembre 1994, n. 3965), essendo - invece - sufficiente il dolo generico, cio� la coscienza e volont� di sottoporre la vittima ad una serie di sofferenze, fisiche e morali, in modo abituale e continuo, persistendo dunque in un'attivit� vessatoria, gi� attuata in precedenza, nonch� instaurando cos� un sistema di sopraffazioni e di vessazioni che ne avviliscono la personalit� (Cass. Pen., Sez. VI, sent. 26 giugno 2018, n.29255; Cass. Pen., Sez. VI, 18 marzo 2008 - 3 luglio 2008, n. 27048; Cass. Pen., Sez. VI, 27 ottobre 1997 - 15 dicembre 1997, n. 11476; Cass. Pen., Sez. VI, 19 marzo 2014 - 2 aprile 2014, n. 15146).

Il dolo unitario

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All'interno della fattispecie delittuosa di cui all'art. 572 c.p. vi � il c.d. dolo unitario e programmatico, il quale non pu� confondersi con la coscienza e volont� di ogni singolo atto (Cass. Pen., 8 febbraio 1995 - 16 marzo 1995, n. 2800).

Il dolo unitario va inteso, infatti, come elemento unificatore dei singoli episodi lesivi della personalit� della vittima (Cass. Pen., Sez. VI, 11 dicembre 2003 - 17 febbraio 2004, n. 6541; Cass. Pen., Sez. VI, 6 novembre 1991 - 20 gennaio 1992, n. 468) e si concretizza "nell'inclinazione della volont� ad una condotta oppressiva e prevaricatrice che, nella reiterazione dei maltrattamenti, si va via via realizzando e confermando, in modo che il colpevole accetta di compiere le singole sopraffazioni con la consapevolezza di persistere in una attivit� illecita, posta in essere gi� altre volte" (Cass. Pen., Sez. VI, sent. 26 giugno 2018, n.29255; Cass. Pen., Sez. VI, 11 dicembre 2003 - 17 febbraio 2004, n. 6541; Cass. Pen., Sez. VI, 6 novembre 1991 - 20 gennaio 1992, n. 468); "esso �, perci� costituito da una condotta abituale che si estrinseca con pi� atti, delittuosi o no, che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi ma collegati da un nesso di abitualit� ed avvinti nel loro svolgimento dall'unica intenzione criminosa di ledere l'integrit� fisica o il patrimonio morale del soggetto passivo, cio�, in sintesi, di infliggere abitualmente tali sofferenze" (Cass. Pen., Sez. VI, sent. 26 giugno 2018, n.29255).

Nessun reato se la condotta di vessazione non costituisce fonte di un disagio continuo ed incompatibile con le normali condizioni di vita.

Ai fini della configurabilit� del delitto di maltrattamenti in famiglia la condotta di "vessazione" deve connotarsi come continuativa atteso che, pur potendo essere inframmezzata da periodi di "calma", deve costituire fonte di un disagio continuo ed incompatibile con le normali condizioni di vita (Tribunale Cagliari, 22 febbraio 2019, n.585; Cass. Pen., Sez. VI, 19 aprile 2017 � 30 maggio 2017, n. 27088).

Conseguenza ineludibile di ci� � che in mancanza, pertanto, deve escludersi l'abitualit� del comportamento implicita nella struttura normativa della fattispecie, e per facta concludentia deve escludersi lo stesso reato di maltrattamenti in famiglia (Cass. Pen., Sez. VI, 19 aprile 2017 � 30 maggio 2017, n. 27088; si veda anche Tribunale Cagliari, 22 febbraio 2019, n.585).

Nessun reato se manca la posizione di abituale e prevaricante supremazia

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Ampia giurisprudenza avalla il principio giuridico secondo cui la fattispecie criminosa di cui si discorre per essere integrata richiede, oltre che la sussistenza della situazione di vessazione della vittima, anche l'attribuibilit� al suo autore di una posizione di abituale e prevaricante supremazia alla quale la vittima soggiace (Cass. Pen., Sez. VI, 19 aprile 2017 � 30 maggio 2017, n. 27088; Cass. Pen., Sez. VI, 9 febbraio 2016, n.5258).

In virt� del suddetto principio, onde configurare il reato, occorre - pertanto - accertare la sussistenza dello stato di soggezione e di inferiorit� psicologica della vittima (Corte di Cassazione, sentenza n. 25138 del 2.07.2010; Corte di Cassazione, sentenza n. 30903/2015), giacch� se tale atteggiamento mentale manca il reato non pu� dirsi integrato (Cass. Pen., Sez. VI, 9 febbraio 2016, n.5258).

Esclusione del reato allorch� la vittima reagisce

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Atteso che integra gli estremi del reato la condotta di chi infligge abitualmente vessazioni e sofferenze - fisiche o morali - a un'altra persona, che ne rimane succube, non � configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia allorquando sussistendo accesa e persistente conflittualit� tra il presunto autore del reato e la presunta vittima quest'ultima reagisce alle intemperanze dell'altro, cos� facendo venir meno l'atteggiamento di passiva soggezione (Cass. Pen., Sez. VI, 9 febbraio 2016, n.5258).

Ai fini dell'integrazione di tale fattispecie delittuosa, infatti, non � sufficiente una mera situazione di conflittualit� fra l'autore del reato e la persona offesa, sfociata in litigi caratterizzati per lo pi� da insulti, ingiurie e offese reciproche (Tribunale Cagliari, 22/02/2019, n.585).

Non a caso se le violenze, le offese e le umiliazioni sono reciproche non pu� dirsi neppure che ci sia un soggetto che maltratta ed uno che � maltrattato; in tali casi, pertanto, il reato non � sussistente (Cass. Pen., Sez. VI, 23 gennaio 2019, n.4935; Cass. Pen., Sez. VI, 20 gennaio 2009, n.9531).

Niente reato per singoli e sporadici episodi di percosse o lesioni

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Sebbene per integrare il reato non sia richiesto un comportamento vessatorio continuo ed ininterrotto (Cass. Pen., Sez. VI, sent. 26 giugno 2018, n.29255) ai fini dell'integrazione del reato di maltrattamenti in famiglia le condotte non devono essere sporadiche (Cass. Pen., Sez. VI, 4 luglio 2018 � 19 marzo 2019, n. 12196; Cass. Pen., Sez. VI, del 21 giugno 1984, n. 8953; Cass. Pen., Sez. VI, 08 ottobre 1970, n. 1084).

Per la configurabilit� del delitto, dunque, non � sufficiente la sussistenza di singoli e sporadici episodi di percosse o lesioni, poich� � necessario che tali fatti siano la componente di una pi� ampia ed unitaria condotta abituale, idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante ed insostenibile (Cass. Pen., Sez. VI, 9 febbraio 2016, n.5258; Cass. Pen., Sez. I, 12 febbraio 1996 - 24 settembre 1996, n. 8618).

La prova della reiterazione di atti di vessazione

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Per la configurabilit� del reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi � necessario che vi sia la prova di una serie continua e ininterrotta nel tempo di atti lesivi dell'integrit� fisica e morale della persona offesa.

Deve essere provata, cio�, la reiterazione di atti di vessazione tali da cagionare alla vittima sofferenze, privazioni, umiliazioni, che costituiscano fonte di uno stato di disagio continuo e incompatibile con normali condizioni di esistenza (Tribunale Cagliari, 22 febbraio 2019, n.585).

Circa l'attendibilit� della persona offesa per la quale � necessario un riscontro pi� rigoroso se � portatrice di interessi, nel reato di maltrattamenti in famiglia, � necessario valorizzare elementi idonei a confortare la credibilit� del narrato (Tribunale Torre Annunziata, 18 dicembre 2018, n.2803).


L'Avv. Ilaria Parlato, civilista e penalista, ha conseguito � con uno dei voti pi� alti - la Laurea Magistrale in Giurisprudenza, ciclo unico quinquennale, presso l'Universit� degli Studi di Napoli Parthenope.
Ha conseguito, inoltre, con profitto il Master di Alta Formazione Professionale in Criminologia e Psicopatologia Forense.
In costanza dei primi anni di universit� ha conseguito, pi� di una volta, borse di studio basate anche sul merito e ha concluso egregiamente il percorso universitario con la tesi di laurea in materia di Diritto Privato.
� autrice di articoli attinenti al Diritto Civile e al Diritto Penale, pubblicati da riviste pregiate e rinomate nel mondo dell'avvocatura quali le riviste Salvis Juribus, StudioCataldi.it, Altalex e Diritto.it.
L'Avv. Ilaria Parlato �, altres�, autrice di libro giuridico pubblicato dalla Fondazione Mario Luzi, casa editrice avente la prerogativa di premiare il merito e gli autori pi� meritevoli.

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