Data: 09/01/2020 22:22:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - Il ricorso in appello ha dato ragione a lei, Laura Massaro, la madre alla quale i giudici del Tribunale per i Minorenni di Roma avevano deciso di togliere il figlio di 10 anni, disponendo coattivamente la sua collocazione presso il padre.

Il decreto stabiliva che il bambino avrebbe potuto vedere la madre, con la quale viveva da quando aveva appena due anni, solo una volta ogni 15 giorni e nel corso di visite vigilate. Un curatore avrebbe, invece, vigilato sulla relazione padre-figlio e, in caso di criticità, il piccolo rischiava la collocazione in una Casa famiglia.

Contro questa decisione la donna ha opposto una strenua resistenza, sia fuori che dentro le aule della giustizia, chiedendo il rispetto dei suoi diritti e ascolto da parte di giudici, assistenti sociali e consulenti. Il tema della c.d. alienazione parentale, d'altronde, è ancora oggetto di un forte dibattito a livello scientifico che vede posizioni contrapposte.

La decisione della Corte d'Appello

[Torna su]
La Corte d'Appello di Roma, con il decreto n. 2/2020, ha precisato in ventiquattro pagine le motivazioni per cui ha deciso di accogliere il ricorso proposto dall'avvocato Lorenzo Stipa e annullare il decreto che, in base alla CTU espletata in tale sede, aveva disposto l'allontanamento coatto.

L'avvocato Lorenzo Stipa, come riporta il Fatto Quotidiano, ha sottolineato i tre punti principali su cui si è soffermata la Corte: "Primo: la bigenitorialità non può essere al di sopra del supremo interesse del bambino, perché il volere del minore va assecondato e i suoi sentimenti e le sue emozioni vanno messe al centro, poiché nessun rapporto affettivo può essere costruito con la forza e la coercizione. Secondo: la sentenza d'Appello ha criticato come il decreto del tribunale dei minori non avesse previsto un avvicinamento graduale del bambino al padre e non avesse indagato adeguatamene le capacità genitoriali paterne. Terzo: il decreto aveva disposto un monitoraggio sulla relazione padre-figlio da parte di un curatore incaricato dai servizi sociali, ma questo monitoraggio in realtà è nei fatti irrealizzabile".
Antonella Veltri, presidente dell'associazione nazionale D.i.Re (Donne in rete contro la violenza), ha parlato di "una sentenza che dà fiducia e conforta le donne che si rivolgono alla giustizia. La PAS, inaccettabile e inesistente strumento utilizzato illegittimamente e di frequente nei tribunali italiani, non è stata presa in considerazione ed è stato assecondato il volere del bambino".
"D.i.Re - ha concluso Velletri - continuerà a impegnarsi affinché la Pas e le sue versioni mascherate vengano definitivamente eliminate dalle Ctu, sulle quali si appoggiano sentenze che non riconoscono la violenza contro le donne e la violenza assistita e a chiedere una adeguata formazione degli operatori di giustizia chiamati a valutare le separazioni che coinvolgono donne che hanno subito violenza. Affinché non debbano esserci più casi come quello di Laura Massaro"

Il caso Laura Massaro

Alla base della decisione di prime cure vi è una vicenda come molte altre, quella di una coppia di genitori la cui relazione sentimentale era andata progressivamente in crisi sino a giungere a una definitiva rottura. Situazione a cui aveva fatto seguito la necessità di regolamentare l'affido del piccolo.

Un percorso che si era rivelato tortuoso, complici le difficoltà relazionali riscontrate tra i genitori, tali da poter potenzialmente costituire un grave pregiudizio per il futuro e positivo sviluppo del bambino. I rapporti, infatti, si erano deteriorati sensibilmente portando a reciproche accuse e denunce estese anche ad altri soggetti del procedimento.

Per questo, il Tribunale dichiarava entrambi i genitori sospesi dalla responsabilità genitoriale nei confronti del figlio minore, decisione a cui seguiva la nomina di un tutore. Inoltre, lo stesso Tribunale per i Minorenni disponeva una CTU incaricando di valutare la situazione psicologica del bambino e la qualità dei suoi rapporti con i genitori, all'esito della quale veniva rilevata "un'alleanza tra madre e figlio, quasi una coalizione ha portato il figlio a ritenere il padre una figura dannosa, pericolosa e violenta".

La consulenza descriveva "pressioni psicologiche" sul bambino da parte della madre per rifiutare e rinnegare il padre, nonché di "una campagna denigratoria" accesa dall'astio che la madre aveva verso l'altro genitore e di altri condizionamenti psicologici della Massaro.

Per tali ragioni, un ulteriore decreto allo scopo di "ripristinare" il diritto relazionale del bambino con il padre, aveva deciso l'immediato allontanamento del minore dalla madre e il suo collocamento presso il padre o, in caso di difficoltà, il temporaneo inserimento in una casa famiglia per il tempo necessario al recupero del rapporto padre-figlio.

Il trauma dell'allontanamento

I giudici del gravame rimarcano che, relativamente alla disciplina dell'affido, il benessere del bambino riveste un rilievo assolutamente preminente. Nel decreto reclamato non si rintraccia una valutazione comparativa degli effetti sul bambino del trauma dell'allontanamento dalla casa familiare rispetto al beneficio atteso.
"Il dolore vivo della forzata separazione, con drastica limitazione anche dei contatti telefonici, rimane sullo sfondo, recessivo rispetto alla ritenuta prevalenza dell'interesse alla attuazione coattiva del sempre richiamato diritto alla bigenitorialità".
Il superiore interesse del minore che ispira il provvedimento impugnato, si legge in sentenza, non appare sorretto da un adeguato bilanciamento, in mancanza del quale esso rischia di risolversi in una formula precostituita, che non tiene conto delle situazioni concrete che giungono all'attenzione del giudice nel caso specifico, accogliendo soluzioni apparentemente definitive, ma di fatto inapplicabili e fonti di eccessiva sofferenza per il minore.
La bigenitorialità, evidenzia la Corte, non è un principio astratto e normativo, ma è un valore posto nell'interesse del minore, che deve essere adeguato ai tempi e al benessere del minore stesso. Pertanto, imporre l'allontanamento del piccolo dalla sua casa e dai suoi affetti comporterebbe "la duplice sofferenza di un drastico quanto per lui incomprensibile sradicamento dal proprio ambiente e dai propri affetti, e di una esposizione forzosa ad una situazione per lui fonte di ansia e paura e comunque estranea".

Difetto di gradualità

La seconda ragione per cui la Corte reputa di non confermare il provvedimento di allontanamento e di collocamento del minore presso il padre attiene al rilevato difetto di gradualità della misura disposta. Nel caso specifico, tanto più alla luce del tormentato percorso processuale e della sostanziale inefficacia dei precedenti provvedimenti, "appare velleitario ritenere che sia possibile ricostruire un legame parentale recidendo l'altro".
Non vi sono scorciatoie né automatismi, dunque, e l'approccio "rigido" fin qui adottato ha già dato plurime prove negative. Pertanto, anziché reiterare in una escalation provvedimentale il contenuto del precetto ineseguito, occorre allora pazientemente continuare a tentare altre strade.
In sostanza, piuttosto che allontanare il bambino dal suo mondo e inserirlo, artificialmente, in quello del padre, secondo i giudici occorre che sia il padre a essere messo in condizione, e in grado di, partecipare alla vita del figlio così come si è strutturata, una vita che ha diritto e necessità di giovarsi anche dell'apporto della presenza e del sostegno paterno, anche in vista di una auspicabile crescita ed autonomizzazione dalla assorbente figura materna.
Infine, i magistrati si soffermano sulla mancanza di una preventiva verifica di fattibilità/sostenibilità dell'ordine impartito dal giudice, che ne condiziona l'efficacia.

Revocato l'allontanamento coatto del bambino dalla madre

La previsione dell'allontanamento coatto del piccolo dalla casa materna e il suo collocamento in luogo diverso non appare, secondo i giudici, rispondere al migliore interesse del minore e viene dunque revocata.
I magistrati dispongono che venga immediatamente attivato un percorso di sostegno psicoterapeutico per il piccolo e che il suo Tutore predisponga celermente un progetto operativo finalizzato alla ripresa dei rapporti diretti tra il minore e il padre, in modo che le fasi e le condizioni indicate dallo psicoterapeuta si raccordino con risorse effettive dei servizi sociali presenti sul territorio.
Tale progetto, precisa la Corte, dovrà prevedere e favorire la assunzione di un ruolo attivo di accudimento del padre del minore nei confronti del figlio. Nell'attuazione del progetto coinvolto anche il servizio sociale che, oltre a vigilare sul rispetto dei tempi per la frequentazione del bambino con il padre, monitorerà costantemente l'andamento delle relazioni intrafamiliari e supporterà con l'offerta di adeguato sostegno psicologico individuale e/o parentale i genitori del minore.

Rimane sospensione responsabilità genitoriale

Tuttavia, giova evidenziarsi come nulla il giudice del gravame abbia statuito sulla sospensione della responsabilità genitoriale. In pratica, nell'interesse del minore, nonostante il suo collocamento presso la casa materna, rimane comunque ferma la sospensione della responsabilità genitoriale sia della Massaro che del padre del bambino, e la nomina del tutore.

Tutte le notizie