|
Data: 06/02/2020 15:00:00 - Autore: Cleto Iafrate di Cleto Iafrate - In un precedente articolo, contenente l'intervento dello scrivente in Commissione Difesa nell'ambito dell'esame delle proposte di legge in materia di diritti sindacali del personale militare, si è fatto cenno alla mancata tipizzazione delle infrazioni che danno luogo alla sanzione militare della consegna e alla non obbligatorietà dell'azione disciplinare. L'autorità militare, infatti, esercita un potere discrezionale che, per la stessa violazione, può portare a valutazioni che non conducono, necessariamente, alla stessa sanzione (leggi: Quella malintesa specificità militare). La sentenza del Tar Firenze n. 108/2020 (sotto allegata) offre lo spunto per meglio chiarire i due concetti. Eva – nome di fantasia che rievoca il peccato originale – è un giovane carabiniere nubile che dopo quattro anni di servizio[1] viene cacciata dall'Arma, in quanto considerata "non meritevole" al passaggio al servizio permanente. È servito un contenzioso amministrativo per annullare tale gravoso provvedimento, nonché una difesa tecnica "appassionata", sino al punto da proferire espressioni ritenute sconvenienti.
L'indeterminatezza dei limiti della disciplina militare[Torna su] Affrontiamo la questione nel dettaglio, partendo dalla fine, ovvero da quando l'Amministrazione Militare ha considerato che dal profilo di Eva emergessero "carenza comportamentali e scarsa consapevolezza del proprio stato; scadente affidabilità sul piano attitudinale; rendimento in servizio progressivamente in flessione nel tempo e non soddisfacente nell'ultimo periodo; - minor senso della disciplina militare, palesando, pertanto, il non possesso con costanza nell'intero periodo da valutare ai fini dell'ammissione in servizio permanente del requisito della meritevolezza per carenti qualità morali, buona condotta, attitudini e rendimento prescritto dalla normativa di riferimento per poter continuare a permanere in servizio ..."[2]. Inoltre, nella sentenza in analisi si legge che Eva è stata destinataria di una "sanzione disciplinare della consegna di due giorni nell'ambito della quale si era accertato che la ricorrente "Carabiniere in ferma volontaria addetto a stazione distaccata, sebbene nubile e assegnatario di posto letto, pernottava regolarmente all'esterno della caserma e intratteneva contestualmente relazione sentimentale con altro militare dell'arma coniugato, cagionando disagio al servizio istituzionale, in violazione degli artt. 717-732 comma 1 e 5 e 744, comma 3 del TUROM[3]". A questo punto della trattazione, si ritiene doveroso richiamare le disposizioni normative ritenute violate: art. 717 TUROM, rubricato "senso di responsabilità"[4]; art. 732 TUROM, "contegno del militare"[5]. Vien da chiedersi, parafrasando un noto ex-magistrato: "Ma che c'azzecca, il senso di responsabilità e il contegno con i rapporti sentimentali?" Premesso quanto sopra, è di cristallina evidenza non solo l'"invasività" della disciplina militare, che può spingersi sino alla sfera più intima, ma anche l'"elasticità" delle suddette norme disciplinari, che rendono anche estremamente complesso per il singolo militare distinguere, nelle proprie scelte comportamentali, ciò che è consentito, da ciò che è rilevante per l'Amministrazione Militare. Inoltre, si consideri che più la norma è indeterminata, più la sanzione che consegue alla sua trasgressione si allontana dal fine rieducativo della pena ex art. 27 c. 3 Cost., poiché come si può muovere un rimprovero per non aver rispettato una norma se la stessa norma si presta ad "iperestensioni" nell'interpretazione? Iperestensioni tali, da includere addirittura i peccati tra le infrazioni punibili. Il sistema è ulteriormente complicato dal fatto che certe sanzioni disciplinari militari -la consegna e la consegna di rigore-, nonostante siano considerate "un modo di esplicazione del servizio", consistono in una vera e propria restrizione della libertà personale[6]. La discrezionalità dell'azione disciplinare militare (di corpo)[Torna su] Come se tutto ciò non bastasse, un'ulteriore complicazione dell'ordinamento militare, riguarda la non obbligatorietà dell'azione disciplinare (quantomeno nell'ambito della disciplina di corpo). E, la sentenza in commento è l'occasione per iniziare ad affrontare questa spinosa questione. Nel provvedimento in questione infatti, il Collegio afferma che "sia rimasta incontestata la circostanza relativa al fatto che solo ed esclusivamente la ricorrente sia risultata destinataria della sanzione disciplinare (e non quindi anche il commilitone)[7]". Nonostante sia consolidato in giurisprudenza l'orientamento secondo cui "anche fatti meramente personali e di minore gravità che possono essere ritenuti irrilevanti nella valutazione di dipendenti civili, ma che assumono rilievo nei confronti del militare e possono risultare oggettivamente incompatibili con la divisa. In tale ottica, l'apprezzamento di quegli stessi fatti, nell'ambito dell'ordinamento militare, è modulato secondo un canone di esigibilità diversificato a seconda della posizione e del ruolo del militare (vedi, tra tante, TAR Umbria, n. 331/2013; TAR Lazio, Sez. I bis, n. 7702/2014; Cons. St., sez. IV n. 1816/2011; cfr. Cass. Penale, Sez. I, n. 24414 del 16.6.2008 nel senso che l'intrattenere una relazione extraconiugale da parte del Carabiniere sposato possa essere qualificato come comportamento "non esemplare" e quindi suscettibile di essere punito con sanzione di corpo..."[8]. Ciò posto, secondo il parere di chi scrive, la sanzione disciplinare comminata ad Eva potrebbe essere censurabile per "eccesso di potere", nella figura sintomatica della disparità di trattamento, data "l'assoluta identità di situazione di fatto e di diritto", in quanto appartenenti alla stessa Amministrazione, entrambi soggetti alla disciplina militare, e la relazione sentimentale, da come si legge, è stata contratta consensualmente, anche alla luce del fatto che secondo l'art. 735 del TUROM "Tutti i militari hanno pari dignità" e pari opportunità[9]. Inoltre, dalla lettura del caso di Eva si apprende che si è dovuto provvedere alla "cancellazione di alcune frasi offensive contenute nell'ultima memoria della ricorrente. In detta memoria il legale della ricorrente ha affermato che il difensore dell'Avvocatura distrettuale avrebbe formulato "un vero e proprio giudizio morale dai toni sessisti non richiesto e comunque espresso solo limitatamente alla ricorrente che peraltro non risulta che abbia né prole né essere coniugata"[10]. Le ragioni dell'accoglimento del ricorso[Torna su] Quindi, considerato quanto sopra esposto, il Collegio ha ritenuto che "la valutazione finale di non ammissione al servizio permanente risulti contraddittoria e irragionevole in relazione agli atti ad esso presupposti, finendo per essere fondata sulla sola sanzione disciplinare della consegna di due giorni e sulla relazione sentimentale della ricorrente, fattispecie che fanno riferimento a episodi circoscritti, che attengono solo parzialmente all'attività professionale e che, comunque, non esauriscono quella valutazione complessiva sul rendimento che è stata ritenuta sufficiente, in tutte le schede di valutazione sopra citate. Si consideri, da ultimo, che il giudizio di non ammissione, proprio perché concerne una valutazione di un periodo di tempo prolungato, obbliga l'Amministrazione ad operare un bilanciamento di contrapposti interessi e, ciò, mediante l'applicazione di principi di ragionevolezza e proporzionalità e di un giudizio ponderato e coerente con la vita professionale del militare. Un tale giudizio, proprio perché ha l'effetto di incidere sul diritto al lavoro e, quindi, su un diritto essenziale e fondamentale del nostro ordinamento, non può limitarsi ad attribuire rilievo ad un determinato comportamento, senza che sussista una complessiva coerenza della motivazione e proporzionalità della decisione assunta"[11]. Bene, dunque, ha fatto il TAR Toscana ad annullare il provvedimento e condannare l'amministrazione al pagamento delle spese di lite, pari a euro tre mila; peccato però che tali spese siano pagate dagli ignari contribuenti. Conclusioni[Torna su] Si augura ad Eva di non restare "Nella Media solenne". Contemporaneamente, si augura "buon lavoro" ai neonati Sindacati Militari, perché, come abbiamo visto, c'è tanto da fare per garantire l'effettività della legalità amministrativa negli ambienti militari. Infatti, si ritiene che la presenza di sindacati militari attenti e posti nelle concrete condizioni di poter tutelare i propri iscritti avrebbe potuto evitare la punizione del (solo) peccato di Eva e la sua "cacciata" dall'Eden. Si fa per dire. Infine, stante l'importanza degli interessi in gioco, si auspica che i sindacati inizino seriamente ad occuparsi della non obbligatorietà dell'azione disciplinare. Poiché, il combinato disposto dell'ampia discrezionalità amministrativa -ai limiti dell'indeterminatezza-, la non obbligatorietà dell'azione disciplinare e i trasferimenti "d'autorità" -che, rientrando tra il "genus" degli ordini, non sono presidiati dalle garanzie previste dalla L. 241/90- provoca una mutazione genetica dell'obbedienza della polizia giudiziaria ad ordinamento militare: da "leale e consapevole" ad "acritica, adesiva, cieca e assoluta". Cui prodest? Si lascia al lettore la risposta a questa domanda[12]. Leggi gli altri contributi dello stesso autore su Studiocataldi.it e su Ficiesse.it [1] Il primo quadriennio di servizio nell'Arma è un periodo di lavoro per certi versi assimilabile all' "apprendistato" nei rapporti di lavoro subordinato di tipo privato. [3] Tar Toscana, ult.cit. [4] Secondo cui "Il senso di responsabilità consiste nella convinzione della necessità di adempiere integralmente ai doveri che derivano dalla condizione di militare per la realizzazione dei fini istituzionali delle Forze armate" [5] In particolare, nel caso in trattazione è stata ravvisata la violazione dei commi 1 e 5, a tenore dei quali "Il militare deve in ogni circostanza tenere condotta esemplare a salvaguardia del prestigio delle Forze armate. … Il personale dell'Arma dei carabinieri deve improntare il proprio contegno, oltre che alle norme previste dai precedenti commi, ai seguenti ulteriori doveri: a) mantenere, anche nella vita privata, una condotta seria e decorosa; b) osservare i doveri del suo stato, anche nel contrarre relazioni o amicizie; c) salvaguardare nell'ambito del reparto la serenità e la buona armonia, anche nell'interesse del servizio; d) mantenere un perfetto e costante buon accordo con gli altri militari; e) usare modi cortesi con qualsiasi cittadino." Inoltre ad Eva è stata contestata anche la violazione del commi 3 dell'art. 744 TUROM, "alloggiamenti e pernottamenti", il quale prevede che "Per il personale dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, in relazione agli specifici compiti istituzionali, si applicano le particolari disposizioni emanate in materia." [6] La sanzione della consegna, infatti, consiste nel privare il militare della libera uscita fino a un periodo massimo di sette giorni consecutivi (art. 1358, co. 4, del D. Lgs 66/2010). I militari di truppa coniugati, i graduati, i sottufficiali e gli ufficiali che usufruiscono di alloggio privato sono autorizzati a scontare presso tale alloggio la punizione della consegna (art. 1361, co. 4). [7] Tar Toscana, cit. [8] Tar Lazio-Roma, sezione I bis, sentenza n. 2218/2016. [9] Ai sensi dell'art. 1467 COM "1. Nell'ordinamento delle Forze armate deve essere assicurata la realizzazione del principio delle pari opportunità uomo-donna, nel reclutamento del personale militare, nell'accesso ai diversi gradi, qualifiche, specializzazioni e incarichi del personale delle Forze armate e del Corpo della Guardia di finanza.". [10] Tar Toscana, cit. Il giudice di prime cure di Firenze evidenza inoltre che "E' evidente che detta ultima espressione è palesemente offensiva dell'Avvocatura distrettuale ora costituita, in quanto è diretta ad attribuire al difensore un modo di pensare discriminatorio, che presuppone una disparità di trattamento in relazione al genere (se uomo o donna), circostanza quest'ultima che si traduce inevitabilmente in un'offesa e in una denigrazione della persona e, ciò, in modo del tutto gratuito e comunque eccessivo rispetto ad una pur legittima formulazione delle argomentazioni a sostegno delle rispettive tesi.". [11] Tar Toscana, cit. E' interessante notare come nel testo della sentenza si legge altresì che "la ricorrente ha ricevuto un riconoscimento, in occasione di tre specifiche operazioni a cui la stessa aveva partecipato, circostanze queste ultime che avrebbero dovute essere adeguatamente considerate dall'Amministrazione nella valutazione complessiva. E' indiscusso che la nozione di "meritevolezza" non può che fare riferimento ad un giudizio di "normale rendimento" e, quindi, di sufficienza o comunque di "rendimento nella media", valutazioni che sono contenute nelle schede e nei rapporti informativi sopracitati.". Sull'incidenza delle note caratteristiche nella vita del militare, sia consentito il rinvio a C. Iafrate, Il mobbing militare, in www.studiocataldi.it; Id., Il titolo di studio all'interno delle forze di polizia ad ordinamento militare non vale un "cippo", in www.ficiesse.it. In tale ultimo contributo in particolare, si è messo in evidenza come la qualifica di "Nelle Media" rallenti in maniera considerevole la carriera di un militare, nonostante determinate evidenti qualità: "Non è raro incontrare militari istruiti che, piuttosto che essere premiati, spesso sono considerati "poco adeguati" e quindi valutati "nella media" … no, in particolare, l'ho conosciuto molto da vicino: finanziere, laureato senza crediti in Economia dopo l'arruolamento, per dieci anni non ha potuto partecipare ai concorsi interni che richiedevano tra i requisiti il triennio di valutazione di almeno "superiore alla media". Ma anche qualora avesse avuto la possibilità di parteciparvi, avrebbe avuto pochissime chance di vincerli, in carenza dei punteggi incrementali derivanti dai premi e dalle valutazioni.". [12] Per eventuali suggerimenti, si rinvia a C. Iafrate, Il martirio di Longino nel dibattito sui sindacati militari in www.studiocataldi.it |
|