Data: 16/02/2020 22:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate

di Annamaria Villafrate - Nessuna attenuante e nessun diritto di critica nelle parole offensive e oltraggiose rivolte dall'imputato al giudice subito dopo la lettura del dispositivo. Dal tenore delle parole rivolte al giudice la Cassazione con la sentenza n. 5456/2020 (sotto allegata), al pari del giudice d'appello, conferma la sussistenza del reato di oltraggio al magistrato in udienza a carico dell'imputato che si sarebbe rivolto alla Corte con le seguenti espressioni: " Non vi vergognate? Quanto prendete voi per fare sentenze?" e al Presidente: "Lei è vergognoso. Lei è una persona vergognosa, si vergogni, lei che ha fatto sparire il fascicolo della causa".

Oltraggio al magistrato in udienza

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Il Tribunale condanna l'imputato per il reato di oltraggio a magistrato poiché nel corso di un'udienza civile il reo dapprima si è avvicinato al banco della Corte e poi avrebbe rivolto ai consiglieri la seguente frase:"Non vi vergognate? Quanto prendete voi le per fare queste sentenze?" Al Presidente della Corte invece avrebbe detto: "Lei è vergognoso, lei è una persona vergognosa, si vergogni, lei che ha fatto sparire il fascicolo della causa. " La corte d'appello conferma la decisione di primo grado.

Non c'è oltraggio al magistrato se si esercita il proprio diritto di critica

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I difensori dell'imputato presentano due distinti ricorsi in Cassazione articolati in undici motivi. Nell'ottavo motivo di uno dei due in particolare si lamenta la violazione di legge e i vizi di motivazione relativamente alla configurabilità della fattispecie delittuosa ipotizzata, in quanto:

  • la condotta non si è tenuta durante l'udienza, ma solo alla fine;
  • l'imputato non ha tentato alcuna aggressione fisica o verbale,
  • le frasi pronunciate non alludevano ad atti di corruzione. Esse sono state intese e percepite in tal senso solo dai magistrati.

Con il nono motivo viene invocata la scriminante del diritto di critica dell'imputato ai sensi dell'art 51 c.p. Deve inoltre tenersi conto del fatto che la condotta è stata dettata da una condizione di sofferenza psicologica poiché la pronuncia incideva sul primario diritto di abitazione dei genitori.

Con il decimo i difensori lamentano il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, dell'attenuante della provocazione e dei motivi di particolare valore sociale o morale. I giudici hanno ignorato infatti che l'imputato è fondatore di diverse associazioni promotrici della legalità e che lo stesso ha agito solo per tutelare il primario diritto di abitazione dei genitori.

Con l'undicesimo motivo infine si lamenta il mancato riconoscimento del vincolo della continuazione tra la condotta di specie e quelle oggetto di precedenti sentenze, riconducibili all'attività di denuncia dell'imputato che devono far ritenere che lo stesso sia vittima di una vera e propria persecuzione giudiziaria, solo perché la sua attività si concreta nella tutela delle libertà d' impresa, della proprietà privata, della libertà di manifestare il proprio pensiero e di associarsi e di agire e difendersi in giudizio per tutelare i propri interessi.

Reato senza attenuanti dire al magistrato se non si vergogna per le sue sentenze

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La Cassazione con sentenza n. 5456/2020 rigetta i ricorsi dei difensori per le ragioni che si vanno a illustrare relativamente ai motivi di ricorso illustrati.

Gli Ermellini rigettano l'ottavo motivo di ricorso perché: "il magistrato deve considerarsi in udienza, infatti, tutte le volte in cui, in una qualsiasi fase processuale, amministri giustizia con l'intervento delle parti" e poi perché l'imputato non si è lamentato del fatto che la sessione fosse formalmente chiusa. Irrilevante inoltre l'assenza di minacce o urla, che al limite possono integrare circostanze aggravanti del reato. La Corte rileva infine che, contrariamente a quanto sostenuto dai difensori, l'utilizzo da parte dell'imputato di termini come "vergognoso" "fascicoli spariti" e il titolo "vergognoso", fa propendere per un'accusa di condotte corruttive indirizzata ai magistrati.

Parimenti infondata la doglianza con cui il difensore vorrebbe ricondurre la condotta dell'imputato a un mero esercizio del diritto di critica in quanto le frasi pronunciate non sono rivolte a contestare il contenuto del provvedimento, bensì a offendere l'onesta e l'integrità del magistrato. Lo stato di alterazione conseguente alla sofferenza psicologica dell'imputato non esclude infine la rilevanza penale della condotta.

Sulla negazione delle circostanze attenuante la Cassazione fa presente che tale decisione è insindacabile in sede di legittimità e che in ogni caso l'obbligo di motivazione sul punto è stato adeguatamente assolto visto che la Corte territoriale, nel negare tali elementi, ha tenuto conto delle plurime condanne dell'imputato e della gravità dei fatti occorsi in udienza. Né può dirsi attenuata la condotta dell'imputato dalla provocazione, poiché la pronuncia di una sentenza legittimamente pronunciata non può integrare il fatto ingiusto altrui richiesto ai fini del riconoscimento di questa attenuante. Parimenti non configurabile l'attenuante prevista per condotte dettate da motivi di particolare valore morale o sociale, tra cui non rientra "lo scopo dell'agente di alleviare le condizioni economiche disagiate, proprie o dei propri congiunti, rappresentando questo, uno dei naturali moventi che comunemente indicono a commettere un reato."

Infondato infine il motivo sulla continuazione del reato, che la Corte ha correttamente escluso, stante il notevole lasso temporale intercorrente tra le varie condotte dell'imputato e poiché il riconoscimento della continuazione da parte di altri giudici non rileva in relazione ai fatti di questo specifico processo.

Vedi anche la nostra guida Oltraggio a pubblico ufficiale


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