Data: 19/02/2020 05:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate

di Annamaria Villafrate - Il C.N.F nella sentenza n. 93/2019 (sotto allegata) con cui si è pronunciata sulla violazione del divieto di accaparramento della clientela avanzata nei confronti di un avvocato e di un suo collaboratore, chiarisce che le regole deontologiche a cui sono assoggettati gli avvocati, valgono anche per i praticanti. Non rileva che gli stessi esercitino o meno il patrocinio.

Accusa d'illecito disciplinare all'avvocato e al praticante

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Un legale di Belluno denuncia al COA di Firenze l'illecito disciplinare di accaparramento della clientela nei confronti di un avvocato e di un suo praticante, responsabili di aver inviato a un suo cliente una lettera con cui lo hanno informato di prestare assistenza gratuita per i ricorsi previsti dalla legge Pinto per irragionevole durata del processo, inviando allo stesso anche una procura da firmare e un foglio da compilare.

Il C.O.A di Firenze apre quindi nei confronti del dominus e del dottore un procedimento disciplinare per violazione dei doveri sanciti dagli artt. 38 e ss. e degli artt. 12 e 19 del Codice di deontologia Forense. Il procedimento disciplinare viene sospeso perché per fatti similari i due soggetti sono imputati in un processo penale. Il giudizio penale si conclude con la condanna dei due soggetti per i reati di cui agli artt. 640, 56 e 110 c.p a quattro mesi di reclusione, a una multa di 100 euro ciascuno e al 25.000 euro in favore della parte civile a titolo di provvisionale. Riprende quindi il procedimento disciplinare, che si conclude con la pronuncia di responsabilità deontologica dei due incolpati, a cui viene comminata la sanzione della sospensione dall'attività professionale.

Avvocato e praticante sollevano eccezione di prescrizione

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I due legali decidono di ricorrere al C.N.F. avverso sentenza del C.O.A di Firenze ritenendo prescritto il procedimento disciplinare avviato, per l'intervenuta disposizione di cui all'art. 56 della legge n. 247/2012, il cui regime di favore è applicabile al loro caso, visto che dai fatti del gennaio 2009 sono trascorsi più di sei anni.

In subordine i due legali fanno istanza di sospensione a tempo indeterminato del procedimento disciplinare a causa della pendenza del processo penale davanti alla Corte d'Appello di Firenze. Il difensore, conclusi i procedimenti giudiziari, deposita prima la sentenza della Corte d'Appello che assolve i suoi assistiti e successivamente quella della Cassazione che, accolta l'eccezione di prescrizione del reato, rinvia alla Corte d'Appello per pronunciarsi sulla liquidazione del risarcimento in favore della parte civile.

Per il praticante valgono le stesse regole deontologiche degli avvocati

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Il C.N.F conclude per la responsabilità disciplinare dell'avvocato e del praticante, rideterminando la pena nella censura. Entrambi vengono infatti ritenuti responsabili di accaparramento della clientela, ma, per l'argomento che qui interessa, sancisce un importante principio.

"Per la specifica posizione dell'avv. (Ricorrente 2), il fatto che all'epoca fosse praticante non lo esime da responsabilità deontologica, considerato che destinatari delle norme deontologiche non sono solo gli avvocati ma anche i praticanti, ex art. 57 r.d. n. 37/34 (oggi art. 42 L. 247/2012 e art. 2 comma 2 c.d.f.), a nulla rilevando che i medesimi svolgano o meno il patrocinio e non siano iscritti all'albo ma nel registro speciale dei praticanti; il loro status, infatti, si presenta preliminare a quello dell'avvocato e pertanto sono anch'essi assoggettabili alle norme deontologiche e al potere disciplinare del C.d.O. (...). Quale mero praticante, peraltro, il dott. (ricorrente 2) ben avrebbe dovuto conoscere i limiti dello jus postulandi ed a maggior ragione astenersi dal sottoscrivere la missiva".

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