Data: 12/04/2020 10:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate

di Annamaria Villafrate - La Cassazione n. 9742/2020 (sotto allegata) chiarisce che nel momento in cui la sentenza penale di condanna in materia edilizia diventa irrevocabile, l'ordine di demolizione non può essere sospeso se il condono tarda ad arrivare. La sospensione dell'ordine di demolizione, che è un provvedimento autonomo rispetto alla decisione penale può essere disposta solo se in breve tempo un altro provvedimento amministrativo o giurisdizionale disponga il contrario. Non si può infatti invocare un diritto assoluto a vivere in un immobile, anche se costruito in violazione della legge, solo perché destinato ad abitazione familiare. Inutile anche lamentarsi del ritardo del provvedimento di abbattimento. Esso non è soggetto a prescrizione, perché non ha natura punitiva come le sanzioni amministrative previste dalla legge n. 689/1981.

Sospensione demolizione dell'immobile abusivo

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Il giudice dell'esecuzione rigetta la richiesta di sospensione di demolizione dell'immobile stabilita con sentenza di condanna in materia edilizia divenuta ormai irrevocabile.

Occorre bilanciare interesse privato e generale

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Ricorrono in Cassazione i due condannati alla demolizione, contestando il difetto di motivazione in ordine ad alcuni articoli della CEDU. In particolare i ricorrenti fanno presente che:

  • contrariamente a quanto sostenuto dalla sentenza, le pratiche di condono sono state integrate tempestivamente, come risulta da una nota del Comune di fine settembre 2019, che attesta l'astratta condonabilità delle opere, che il giudice però non ha considerato;
  • sulla condonabilità, così come riconosciuto dai tecnici comunali, non hanno inciso le opere compiute successivamente rispetto alla domanda di condono perché non hanno mutato l'identità dell'opera da condonare;
  • il giudice ha violato il principio espresso dalla CEDU nella sentenza del 21 aprile 2016 la quale ha chiarito che in sede giurisdizionale occorre bilanciare l'interesse individuale con quello generale al fine di non ledere il diritto al rispetto della casa;
  • l'ordine tardivo di demolizione, stante la sua natura penale, risulta lesivo del legittimo affidamento ingenerato nella parte esecutata.

Non esiste un diritto assoluto a vivere nella casa familiare abusiva

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La Cassazione con sentenza n. 9742/2020 dichiara il ricorso inammissibile per diverse ragioni.

Prima di tutto la Corte rileva la non rilevanza della questione relativa all'integrazione delle pratiche di condono, perché secondaria rispetto al tema centrale della decisione.

Il Giudice, nel disporre l'ordine di demolizione, ha tenuto conto del fatto che la pratica di condono non era per nulla imminente, con conseguente inutile allungamento dei tempi derivante dall'applicazione della nota comunale del 2019, che prevedeva ulteriori attività per rendere regolare l'immobile. Risulta infatti che per poter condonare l'opera sarebbe stato prima necessario demolire alcune opere e renderne conforme altre. Il giudice quindi ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui: "l'ordine di demolizione delle opere abusive, emesso con la sentenza passata in giudicato, può essere sospeso solo qualora sia ragionevolmente prevedibile, sulla base di elementi concreti, che in un breve lasso di tempo sia adottato dall'autorità amministrativa o giurisdizionale un provvedimento che si ponga in insanabile contrasto con detto ordine di demolizione."

Sul mancato bilanciamento degli interessi individuali e collettivi in ambito giurisdizionale, sanciti dalla Corte di Strasburgo e invocati dai ricorrenti la Cassazione chiarisce prima di tutto che l'ordine di demolizione di un immobile ha come unico scopo quello di ristabilire lo stato di diritto, dopodiché, analizzata la sentenza invocata dai ricorrenti precisa che "deve essere il giudice a dover stabilire, tenuto conto delle circostanze del caso concreto dedotte dalle parti, se il provvedimento limitativo della libertà reale sia proporzionato rispetto allo scopo, riconosciuto peraltro legittimo dalla Corte, che la normativa edilizia intende perseguire." In ogni caso, per la Cassazione, il rilievo sollevato dai ricorrenti appare generico perché non risultano allegate le ragioni concrete da cui il giudice avrebbe potuto desumere la violazione del principio di proporzionalità tra interesse individuale e generale. Non esiste un diritto assoluto ad abitare un immobile, anche se abusivo, solo perché destinato ad abitazione familiare. L'ordine di demolizione non deve essere letto infatti come lesivo di un diritto, ma come diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o di un interesse tutelato dalla Costituzione al fine di ripristinare l'equilibrio urbanistico violato.

Sulla natura penale dell'ordine di demolizione, che non può essere ritardato eccessivamente, la Corte rileva la correttezza della motivazione del giudice sull'insussistenza di un legittimo affidamento in capo ai ricorrenti, consapevoli di aver realizzato un'opera abusiva. La Corte ha modo di chiarire in merito che tale provvedimento è stato concepito dal legislatore come "avente finalità ripristinatorie dell'originario assetto del territorio imposta all'autorità amministrativa, che deve provvedervi direttamente nei casi previsti dall'art. 27 comma e del TUE o attraverso la procedura d'ingiunzione."

Ordine demolizione: sanzione amministrativa autonoma

L'ordine di demolizione è quindi una sanzione amministrativa, autonoma rispetto alle statuizioni del giudice penale, che non tiene conto del danno o dell'elemento psicologico di chi realizza l'opera abusiva, tanto che esso è applicato anche in presenza di violazioni incolpevoli e nei confronti di persone giuridiche. Si tratta infatti di un atto dovuto del giudice penale ed esplica un potere autonomo, non alternativo a quello dell'autorità amministrativa con cui si può coordinare in fase esecutiva. L'ordine di demolizione quindi è una sanzione amministrativa che svolge la funzione autonoma di ripristinare il bene giuridico leso.

Esso può essere quindi revocato dallo stesso giudice che lo ha emesso solo se è incompatibile con un provvedimento dell'autorità amministrativa, indipendentemente dal passaggio in giudicato della sentenza. Ne consegue, alla luce di queste e di altre considerazioni, che l'ordine di demolizione non è soggetto alla prescrizione quinquennale stabilita per le sanzioni amministrative di cui all'art. 28 della legge n. 689/1981. La stessa Corte EDU ha chiarito che "per le sue caratteristiche la demolizione non può ritenersi una pena nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU e non è soggetta alla prescrizione stabilita dall'art. 173 cod. pen." Da qui l'infondatezza di ogni doglianza che si concentra sul tempo dell'esecuzione dell'ordine di demolizione.

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