Data: 01/05/2020 09:00:00 - Autore: Maurizio Castellani

Chi risponde del danno commesso a mezzo stampa

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Ci sono situazioni in cui anche chi � soggetto alla cosiddetta esposizione mediatica (per propria scelta di vita professionale o suo malgrado) pu� ritenere violato il proprio diritto all'onore e alla reputazione da un servizio giornalistico. Si rivolger� pertanto al proprio legale il quale, qualora col proprio assistito scelga di procedere civilmente nei confronti dei responsabili, dovr� tenere conto della particolare situazione soggettiva del danneggiato.

Va innanzitutto tenuto presente che la Legge 8 febbraio 1948 n. 47 (e successive modifiche), stabilisce che in presenza dei reati commessi a mezzo stampa, ai fini del risarcimento del danno, rispondono, solidalmente con gli autori del reato (ovverosia i giornalisti che hanno scritto il pezzo), anche il proprietario e l'editore della pubblicazione.

Il risarcimento richiesto si riferisce ovviamente al danno non patrimoniale derivato dall'illegittimo esercizio del diritto di cronaca e di critica, dal quale sia derivata la lesione della reputazione (e/o immagine).

La rilevanza del diritto di cronaca e del diritto di critica

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Si � fatto cenno al diritto di cronaca e di critica in quanto, il loro legittimo esercizio agisce da scriminante rispetto a comportamenti effettivamente lesivi dell'onore del personaggio noto.

In effetti il diritto sancito dall'art. 21 della Costituzione nel caso preso in esame viene in contrapposizione col diritto costituzionale alla tutela della personalit� umana, in tutte le sue componenti ed articolazioni, in particolare sotto il profilo della tutela dell'onore e della reputazione, sancito dall'art. 2 Cost.

L'interesse comune della collettivit� al controllo sociale effettuato dalla stampa, consente, nella contrapposizione dei diritti costituzionali sopra descritti, in particolari condizioni, a che il diritto di cronaca prevalga, o "indebolisca", il diritto alla tutela della propria onorabilit�. Naturalmente ci� � consentito solo entro limiti ben precisi e solo in presenza di condizioni ormai ben delineate dalla giurisprudenza.

Diffamazione a mezzo stampa: quando non c'� risarcimento

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Il compito del legale sar�, pertanto, quello di valutare se vi siano le condizioni perch� si possa dire compiuto il bilanciamento tra tali diritti (tutti di rango costituzionale) considerando la presenza o meno di tali condizioni, orientandosi nell'analisi circa l'esistenza di ben determinate caratteristiche: 1. utilit� sociale dell'informazione divulgata; 2. verit� oggettiva o putativa; 3. forma civile dell'esposizione dei fatti e della loro valutazione.

Il punto di riferimento unanimemente riconosciuto, che ha dettato un vero e proprio "decalogo del giornalista", � la Sentenza del 18 ottobre 1984 n. 5259 della Suprema Corte di Cassazione, la quale ha sancito: "Perch� la divulgazione a mezzo stampa di notizie lesive dell'onore possa considerarsi lecita espressione del diritto di cronaca e non comporti responsabilit� civile per violazione del diritto all'onore, devono ricorrere tre condizioni 1) utilit� sociale dell'informazione; 2) verit� oggettiva, o anche soltanto putativa purch� frutto di diligente lavoro di ricerca; 3) forma civile dell'esposizione dei fatti e della loro valutazione, che non ecceda lo scopo informativo da conseguire e sia improntata a leale chiarezza, evitando forme di offesa indiretta".

Utilit� sociale dell'informazione

L'utilit� sociale � ovviamente presente nei casi di esercizio del controllo sociale effettuato dalla stampa nei confronti del "potere" nelle varie accezioni che questo termine pu� assumere. Tuttavia il diritto di cronaca connesso ai fatti che in senso lato potrebbero suscitare l'interesse dei lettori, andrebbe analizzato in maniera pi� compiuta non consentita dalla necessaria brevit� di un articolo. Si proceder� pertanto all'analisi degli altri due elementi rinviando la trattazione di questo punto ai prossimi aggiornamenti del blog.

La verit� dei fatti

Il giornalista ha il preciso dovere di attenersi alla verit� dei fatti, che non � rispettata quando, pur essendo vere le singole circostanze riferite, siano, dolosamente o colposamente, taciuti altri fatti strettamente ricollegabili alle prime, tanto da mutarne completamente il significato: "la verit� non � pi� tale se � mezza verit� (o comunque, verit� incompleta)". I Supremi Giudici si spingono ad affermare che la "mezza verit�" � pi� pericolosa della dell'esposizione di fatti falsi, questi ultimi infatti consentono una pi� facile possibilit� di difesa di chi � oggetto di determinate accuse, il quale sente riferito a s� un preciso fatto falso, piuttosto che un fatto vero ma incompleto: "la verit� incompleta deve essere � in tutto equiparata alla notizia falsa".

La civilt� dell'esposizione

Con riferimento, infine, alla civilt� dell'esposizione, va rilevato che la forma dell'esposizione non � civile se eccede rispetto allo scopo informativo da conseguire o difetta di serenit� e di obiettivit� o se viene meno, nel complesso dell'esposizione, il rispetto di quel minimo di dignit� cui ogni persona ha sempre diritto. Si rileva l'incivilt� dell'esposizione anche se la stessa non � improntata alla leale chiarezza di ci� che viene riportato. L'uso della chiarezza consentirebbe infatti, nel danneggiato, la possibilit� di difendersi mediante adeguate e concise (perci� efficaci) smentite. Il difetto intenzionale di leale chiarezza � pi� pericoloso di una notizia completamente falsa o di un commento triviale.

La giurisprudenza ha elencato anche una serie di espedienti (subdoli come gli stessi giudici le definiscono), che potrebbero essere utilizzati dai giornalisti per aggirare, tentando di rimanere senza sanzione, l'obbligo di chiarezza:

  • il sottinteso sapiente: cio� l'uso di determinate espressioni nella consapevolezza che il pubblico dei lettori le intender� o in maniera diversa o addirittura contraria al loro significato letterale, in senso pi� sfavorevole
  • gli accostamenti suggestionanti: che si ottengono mettendo in sequenza la descrizione dei fatti riguardanti il danneggiato con la descrizione di fatti attribuiti a terzi ovvero con giudizi negativi anche se apparentemente espressi in forma generale ed astratta, di per s� ineccepibili, ma che i lettori sono inevitabilmente spinti a riferire alla persona che si vuol mettere in cattiva luce a causa del contesto in cui tali descrizioni o giudizi sono inseriti;
  • il tono sproporzionatamente scandalizzato e sdegnato specie nei titoli, consistente nella artificiosa e sistematica drammatizzazione con cui si riferiscono notizie neutre o di per s� insignificanti. Le insinuazioni anche se pi� o meno velate, usando formule del tipo: "non si pu� escludere che �".

I tre parametri appena descritti, necessari affinch� gli autori del servizio giornalistico possano essere sollevati da responsabilit� di tipo civilistico, sono ripresi anche dalla giurisprudenza posteriore alla gi� citata Cassazione n. 5259/1984, per tutte baster� citare la Sentenza della Corte di Cassazione del 27 gennaio 2009 n. 1976.


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