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Data: 06/04/2020 10:30:00 - Autore: Valeria Zeppilli di Valeria Zeppilli - Il pensiero politico può essere liberamente manifestato, ma entro certi limiti: va rispettata la dignità umana e non è possibile porre in essere una qualsivoglia forma di discriminazione. Non ha nessun dubbio in proposito il Tribunale di Roma che, con la sentenza del 24 febbraio 2020 qui sotto allegata, ha escluso che dietro la tutela della libera manifestazione del pensiero possa nascondersi la possibilità di lasciarsi andare, nel caso di specie tramite Facebook, a discorsi ostili e discriminatori. A dirlo, del resto, sono numerose fonti normative nazionali e sovranazionali, approfonditamente analizzate dalla pronuncia in commento.
La diffusione di incitamenti all'odio va arginata[Torna su]
La diffusione di messaggi che incitano all'odio e alla discriminazione attraverso i social network determina un impatto significativo sui diritti umani che non può essere giustificato. Il rischio di una propagazione virale e massiva è infatti elevato e inaccettabile. Di conseguenza, Facebook e colleghi sono legittimati a effettuare un controllo sui messaggi veicolati per il loro tramite e a rimuovere i profili degli amministratori delle pagine "incriminate". Dovere dei social network di rimuovere i contenuti ostili[Torna su]
Anzi: la loro non è solo una possibilità ma un vero e proprio obbligo giuridico che, se non esercitato, rischia di farli incorrere in responsabilità di varia natura, anche in ragione del codice di condotta sottoscritto con la Commissione Europea. A tale obbligo, nel caso di specie, si affiancava oltretutto la possibilità per Facebook di risolvere il contratto grazie alle clausole contrattuali accettate dagli utenti nel momento della sua conclusione. Espressioni discriminatorie: danno per chi non è sul web[Torna su]
Del resto, non bisogna dimenticare che anche il Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla promozione e la protezione del diritto alla libertà di opinione e di espressione, nel rapporto del 9 ottobre 2019, ha rilevato che, se un'espressione discriminatoria e piena di odio non viene controllata, essa può determinare un clima e un ambiente che interferiscono negativamente sul dibattito pubblico e che possono andare a discapito di coloro che non sono iscritti al social network. Le associazioni politiche non possono lanciare messaggi d'odio[Torna su]
La sentenza, nel caso di specie, riguardava un'associazione riconducibile a un partito politico. Nonostante i toni spesso aspri che caratterizzano il dibattito in tale mondo, quindi, occorre comunque non oltrepassare il limite: la libera manifestazione del pensiero non può mai negare i diritti fondamentali altrui riconosciuti dal nostro ordinamento, tantomeno tramite i social. |
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