Data: 05/04/2020 22:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate

di Annamaria Villafrate - Confermata la condanna per stalking per chi strumentalizza il suo bisogno di fare il padre, per perseguitare la sua ex. Questo quanto sancito dalla sentenza della Cassazione n. 10904/2020 (sotto allegata) che, dopo aver giudicato correttamente il ragionamento logico giuridico dei giudici di merito che hanno fondato la loro decisione sulle dichiarazioni della persona offesa, ha ritenuto priva di rilievo la doglianza sollevata dall'imputato in cui ha dichiarato di aver messo in atto le condotte vessatorie in danno della ex solo per esercitare il suo diritto di fare il padre.

Il reato di atti persecutori art 612-bis c.p.

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Il giudice dell'impugnazione conferma la sentenza di primo grado che ha condannato l'imputato per il reato di atti persecutori ai danni della sua ex. Il reato, previsto e disciplinato dall'art. 612 bis c.p è integrato dalle quelle condotte reiterate, con cui chiunque minaccia o molesta la persona offesa in modo da cagionare a quest'ultima un perdurante e grave stato di ansia o di paura o tale da ingenerare nella stessa un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona legata alla stessa da una relazione affettiva o tale da costringere questa ad alterare le sue abitudini di vita.

Ricorso in Cassazione: diritto di mantenere rapporti col figlio

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Il difensore dell'imputato ricorre in sede di legittimità, sollevando ben otto motivi di ricorso, tra i quali interessa riportare il terzo, con cui il ricorrente ripropone tutte le questioni già sollevate nel giudizio di merito, che sono state trascurate. L'imputato ritiene impossibile che la sua condotta possa integrare il reato di atti persecutori e rileva l'inattendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa e da alcuni testimoni.

Con questo motivo, che riporta quanto già illustrato in sede d'appello il ricorrente ripropone le seguenti questioni, doglianze e richieste.

  • Le condotte vessatorie di cui è stato accusato devono considerarsi in realtà come l'estrinsecazione del suo diritto di mantenere un rapporto con il figlio.
  • Deve quindi essergli riconosciuta la scriminante dell'esercizio di un diritto ricollegabile al suo ruolo di genitore.
  • Dovrebbero essergli riconosciute altresì le attenuanti previste dall'art. 62, n. 1, 2 e 5 c.p. e la continuazione.
  • Il giudizio di primo grado avrebbe richiesto un maggiore approfondimento istruttorio.
  • Il giudice avrebbe dovuto condannare la querelante al risarcimento del danno e alla rifusione delle spese processuali ai sensi degli artt. 427 e 542 c.p.

No a persecuzione dell'ex per esercitare il proprio ruolo di padre

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La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10904/2020 annulla il provvedimento impugnato limitatamente alla continuazione, rinviando per un nuovo esame sul punto alla Corte di Appello territorialmente competente.

Per quanto riguarda il terzo motivo del ricorso, in particolare, la Cassazione ribadisce prima di tutto che non è consentito in sede di legittimità procedere a una rilettura dei fatti, poiché tale valutazione è riservata ai giudici di merito. Per questo tale motivo deve ritenersi inammissibile nella parte in cui chiedere alla corte di valutare nuovamente i fatti al fine di ottenere una pronuncia contraria a quella emessa.

Gli Ermellini precisano comunque che le dichiarazioni della persona offesa, che in questo procedimento non si è neppure costituita parte civile e alla quale non fa capo alcun interesse economico, possono costituire l'unica base decisionale per affermare la responsabilità penale dell'imputato, poiché la sua attendibilità e credibilità sono valutate con rigore superiore a quello previsto per i testimoni.

La Corte, in applicazione dei principi che regolano la formazione del convincimento del giudice ritiene pertanto privi di rilievo gli argomenti sollevati dal ricorrente relativi al diritto di mantenere il rapporto con il figlio. Le condotte vessatorie poste in essere, contestate e provate sono state infatti dirette esclusivamente nei confronti della ex convivente, madre del bambino. Questi comportamenti non hanno nessun collegamento con la condizione di genitore dell'imputato. I pedinamenti, le minacce e le offese rivolte alla persona offesa non avevano infatti la finalità d'incontrare o avere informazioni sul bambino.

Dal racconto della persona offesa, ritenuta attendibile dai giudici di merito è emerso che l'imputato si sia reso responsabile di vere e propri incursioni in casa, danni alla vettura della vittima e ai suoi genitori, innumerevoli chiamate telefoniche a tutte le ore del giorno, minacce di morte, atti vandalici come la rottura delle serrature delle porte dell'immobile, l'imbrattamento delle mura esterne dell'abitazione e pedinamenti.

Dal quadro probatorio e dalla ricostruzione logica effettuata dal giudice di merito la Corte ritiene bizzarra la richiesta di concessione delle attenuanti previste dall'art. 62 n. 1, 2 e 5 e quella di natura risarcitoria avanzata nei confronti della vittima del reato.

L'unico motivo fondato è quello della continuazione, accennato anche nel terzo e poi precisato nei n. 7 e 8, con cui il ricorrente ha lamentato il mancato riconoscimento del vincolo con altri fatti giudicati con sentenza irrevocabile.

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