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Data: 10/04/2020 15:10:00 - Autore: Claudio Roseto L'attuale formulazione dell'art. 3, comma 6-bis, del D.L. 23 febbraio 2020, n. 6, convertito in L. 5 marzo 2020 n. 16, introdotto dall'art. 91 del D.L. 17 marzo 2020 n. 18 prevede che: "il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti". Il rispetto delle misure COVID-19, pertanto, assurge a "causa di forza maggiore" ai fini della valutazione della responsabilità del debitore/appaltatore. La norma in esame, infatti, dev'essere letta, innanzitutto, come supporto alle imprese che, in questa situazione drammatica, possono evidentemente essere in difficoltà nell'adempiere alle prestazioni previste nei contratti dalle stesse stipulati prima dell'emergenza in atto. Specificamente, in materia di appalti pubblici, il MIT ha stipulato il "protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del Covid-19 nei cantieri edili" che prevede ipotesi tipizzate di sospensione, con conseguente esclusione della responsabilità dell'appaltatore.
La responsabilità del debitore/appaltatore[Torna su]
Come noto, secondo quanto prescritto dall'art. 1218 del Codice Civile, il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo siano stati determinati da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, atteso che, in tal caso, l'obbligazione si estingue ex art. 1256 c.c. Non v'è dubbio che, nella sua formulazione letterale, la norma in parola sanzioni l'inadempimento a prescindere dall'indagine circa la colpa o il dolo, specie nei casi in cui il debitore è un imprenditore, che assume il relativo rischio economico. Pertanto, nel caso in cui il creditore agisca per ottenere il risarcimento del danno da inadempimento, spetterà al debitore offrire la prova liberatoria dell'impossibilità sopravvenuta della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. La rigidità del suesposto principio, tuttavia, dev'essere temperato con le clausole generali contemplate in specifiche disposizioni codicistiche (cfr. artt. 1175, 1176, 1375 c.c.). In tale prospettiva, è pacifico che non occorre valutare, sic et simpliciter, la generica inesattezza dell'adempimento da parte del debitore, ma è necessario valutare la diligenza, la correttezza e la buona fede del medesimo nel tentare di eseguire, con ogni sforzo possibile, l'esatta prestazione da lui dovuta. In altri termini, occorre accertare se, nonostante il contegno del debitore sia stato improntato ai suddetti principi, la prestazione sia risultata comunque impossibile. Laddove ciò si verifichi, se ne deve dedurre, conseguentemente, che il debitore non potrà essere tenuto al risarcimento del danno. In materia di appalti, l'art. 1672 del Codice Civile disciplina i casi di impossibilità di esecuzione dell'opera e stabilisce che il contratto si scioglie quando l'esecuzione è divenuta impossibile in conseguenza di una causa non imputabile ad alcuna delle parti. In tal caso, il committente deve pagare parte di opera già eseguita, nei limiti in cui è per lui utile in proporzione del prezzo pattuito per l'opera intera. Si tratta di un'ipotesi di impossibilità sopravvenuta che deve essere assoluta ed oggettiva. L'impossibilità sopravvenuta che libera dall'obbligazione (se definitiva) o che esonera da responsabilità per il ritardo (se temporanea), dev'essere obiettiva, assoluta e riferibile al contratto e alla prestazione ivi contemplata, e deve consistere non in una mera difficoltà, ma in un impedimento, del pari obiettivo e assoluto, tale da non poter essere rimosso. La forza maggiore quale causa di esclusione della responsabilità del debitore[Torna su]
Lo sforzo di diligenza richiesto al debitore incontra il limite invalicabile della forza maggiore, la quale può derivare da una causa naturale (es. epidemia), ovvero da fatto dell'uomo, come nel caso del c.d. factum principis, consistente in un provvedimento di divieto da parte della P.A., purché detto provvedimento di divieto non sia imputabile a fatto del debitore (es. chiusura azienda da parte della P.A. per violazione della normativa). L'attuale codice civile del 1942, a differenza di quello del 1865, non contempla espressamente la nozione di forza maggiore, sicché, secondo l'orientamento dottrinale maggioritario, essa risulta assorbita in quella di "causa non imputabile". Pertanto, il verificarsi di una situazione di forza maggiore determina, inevitabilmente, l'impossibilità di attribuire la colpa della mancata esecuzione della prestazione in capo al debitore. La giurisprudenza, sia amministrativa che civile, ha avuto modo di definire la nozione dell'istituto in esame e ha statuito che: "la causa di forza maggiore consiste in un evento che non può evitarsi neanche con la maggiore diligenza possibile" (cfr. ex multis: Cons. Stato, Sez. V, 18.10.2018, n. 5958; Cass., III, 1 febbraio 2018, n. 2480; id. 31 ottobre 2017, n. 25837), atteso che: "la forza maggiore si traduce in evento che oggettivamente e in modo assoluto impedisca la possibilità della relativa prestazione" (cfr.: ex pluribus: Cass. civ. Sez. lavoro, 26.06.2009, n. 15073). Il rispetto delle misure Covid-19 quale causa di forza maggiore[Torna su]
Come anticipato in premessa, secondo l'attuale formulazione dell'art. 3, comma 6-bis, del D.L. 23 febbraio 2020, n. 6, convertito in L. 5 marzo 2020 n. 16, introdotto dall'art. 91 del D.L. 17 marzo 2020 n. 18: "il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti". Le limitazioni imposte all'attività d'impresa, infatti, costituiscono, evidentemente, un evento di forza maggiore derivante da factum principis. Si pensi, ad esempio, al caso in cui un'impresa si era obbligata, prima dell'inizio dell'attuale emergenza epidemiologica, ad eseguire una specifica prestazione che, a causa delle suddette limitazioni, non potrà essere eseguita. Ebbene, la mancata esecuzione della prestazione, o il ritardo nell'esecuzione della stessa, in siffatti casi, non potrà determinare alcuna responsabilità per il debitore, atteso l'impedimento normativo all'esecuzione della stessa prestazione. Oltre a queste ipotesi di impossibilità "normativa" all'adempimento, occorre evidenziare i casi di forza maggiore per fatto naturale (emergenza epidemiologica in atto) che riguardano anche le prestazioni relative ad imprese la cui attività risulta consentita. Anche per queste imprese, infatti, non sono da escludere situazioni di impossibilità, anche temporanea, nell'esecuzione della prestazione a causa, per esempio, della riduzione del personale contagiato. Casi tipizzati di esclusione responsabilità dell'impresa in materia di appalti pubblici[Torna su]
Chiariti i principi generali in materia, giova soggiungere che, in materia di appalti pubblici, il "protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del Covid-19 nei cantieri edili" concordato dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti con Anas S.p.A., RFI, ANCE, Feneal Uil, Filca - CISL e Fillea CGIL il 19 marzo 2020 ha previsto una serie di casi in cui si esclude la responsabilità dell'impresa per il ritardo nell'esecuzione della prestazione. Il predetto protocollo elenca delle fattispecie che determinano la sospensione dei lavori, con conseguente esclusione della responsabilità dell'appaltatore e, segnatamente, le fattispecie in cui: 1) la lavorazione da eseguire in cantiere impone di lavorare a distanza interpersonale minore di un metro, non sono possibili altre soluzioni organizzative e non sono disponibili, in numero sufficiente, mascherine e altri dispositivi di protezione individuale (guanti, occhiali, tute, cuffie, ecc..) conformi alle disposizioni delle autorità scientifiche e sanitarie (risulta documentato l'avvenuto ordine del materiale di protezione individuale e la sua mancata consegna nei termini); 2) l'accesso agli spazi comuni, per esempio le mense, non può essere contingentato, con la previsione di una ventilazione continua dei locali, di un tempo ridotto di sosta all'interno ditali spazi e con il mantenimento della distanza di sicurezza di 1 metro tra le persone che li occupano; non è possibile assicurare il servizio di mensa in altro modo per assenza, nelle adiacenze del cantiere, di esercizi commerciali, in cui consumare il pasto, non è possibile ricorrere ad un pasto caldo anche al sacco, da consumarsi mantenendo le specifiche distanze; 3) caso di un lavoratore che si accerti affetto da COVID-19; necessità di porre in quarantena tutti i lavoratori che siano venuti a contatto con il collega contagiato; non è possibile la riorganizzazione del cantiere e del cronoprogramma delle lavorazioni; 4) vi sia il pernotto degli operai ed il dormitorio non abbia le caratteristiche minime di sicurezza richieste e/o non siano possibili altre soluzioni organizzative, per mancanza di strutture ricettive disponibili; 5) indisponibilità di approvvigionamento di materiali, mezzi, attrezzature e maestranze funzionali alle specifiche attività del cantiere: conseguente sospensione delle lavorazioni. La ricorrenza delle predette ipotesi deve essere attestata dal coordinatore per la sicurezza nell'esecuzione dei lavori che ha redatto l'integrazione del Piano di sicurezza e di coordinamento. Si evidenzia, infine, che la suesposta tipizzazione delle ipotesi di esclusione di responsabilità dell'impresa deve intendersi, ovviamente, come meramente esemplificativa e non certo esaustiva. Avv. Claudio Roseto Specializzato in diritto amministrativo Tel: 0981/58003 - Cell. 320/1431818 e-mail: claudioroseto@gmail.com - P.E.C. avv.claudioroseto@pec.it |
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