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Data: 08/04/2020 13:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate di Annamaria Villafrate - La Corte Europea con la sentenza del 2 aprile 2020 (sotto allegata), dopo aver riunito le tre cause aventi ad oggetto i ricorsi per inadempimento disciplinati dell'art. 258 TFUE e avanzati dalla Commissione nei confronti di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, per non aver rispettato gli obblighi di ricollocazione dei migranti per aiutare Italia e Grecia, da anni meta di un afflusso straordinario di migranti, accerta l'inadempimento dei tre Pesi UE e li condanna a sostenere le spese di giudizio proprie e della Commissione Europea.
Il ricorso della Commissione Europea[Torna su]
La Commissione chiede alla Corte di dichiarare che, Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria, non avendo indicato a intervalli regolari e almeno ogni tre mesi, un numero adeguato di richiedenti protezione internazionale che erano in grado di ricollocare rapidamente all'interno dei loro territori, sono venute meno agli obblighi previsti in ambito europeo con cui sono state disposte misure temporanee nell'ambito della protezione internazionale a beneficio dell'Italia e della Grecia. Le ragioni sull'inadempimento degli obblighi di ricollocazione[Torna su]
I tre Stati membri contestano le richieste della Commissione, dal punto di vista procedurale e del merito. Contestazioni a cui la Commissione si oppone. Nel merito in particolare i tre Stati espongono tutta una serie di argomenti a sostegno della mancata applicazione delle decisioni 2015/1523 e 2015/1601, che imponevano loro di ricollocare i migranti sbarcati in Grecia e in Italia. Polonia e Ungheria adducono motivi di sicurezza interna, mentre la Repubblica Ceca contesta l'inefficacia e il malfunzionamento del meccanismo di ricollocazione previsto dalle suddette decisioni. Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca: violate norme ricollocamenti migranti[Torna su]
La Corte Europea, sulle motivazioni addotte da Polonia e Ungheria chiarisce che: "sebbene l'articolo 72 TFUE preveda che il titolo V del trattato non pregiudichi l'esercizio delle responsabilità che incombono agli Stati membri per il mantenimento dell'ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna, esso non può tuttavia essere interpretato nel senso che conferisce agli Stati membri il potere di derogare alle disposizioni del trattato mediante un mero richiamo a tali responsabilità." Nel momento in cui uno stato dell'Unione rifiuti di provvedere alla ricollocazione, non è sufficiente richiamare gli interessi connessi al mantenimento dell'ordine pubblico interno e la salvaguardia della sicurezza. Esso deve dimostrare la necessità di avvalersi delle deroga prevista dall'art. 5 della decisione 2015/1523 al fine di esercitare la sua responsabilità in tali materie. Ragion per cui i motivi di difesa addotti devono essere respinti. Sulle giustificazioni avanzate dalla Repubblica Ceca, secondo cui il meccanismo di ricollocazione previsto dalle decisioni si è rivelato malfunzionante e inefficace a causa della mancata e sistematica cooperazione da parte dell'Italia e della Grecia e per l'assenza effettiva di soggetti richiedenti la protezione internazionale, la Corte evidenzia come questo Stato fondi le sue contestazioni "senza peraltro invocare, a tal fine, una base giuridica prevista dai trattati, sulla sua valutazione unilaterale dell'asserita mancanza di efficacia, o dell'asserito malfunzionamento del meccanismo di ricollocazione istituito dai medesimi atti, in particolare per quanto riguarda il mantenimento dell'ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna, per sottrarsi a qualsiasi obbligo di ricollocazione a esso incombente in forza di questi stessi atti." La Corte ricorda come gli oneri sanciti dalle decisioni 2015/1523 e 2015/1601 sono previsti per aiutare Italia e Grecia ad affrontare una situazione emergenziale di afflusso improvviso di cittadini extracomunitari nel loro territorio, che devono quindi, nel rispetto dei principi di solidarietà ed equa ripartizione delle responsabilità, essere ripartiti tra tutti gli Stati membri. La Corte fa presente che l'addotto malfunzionamento si è creato infatti a causa di un afflusso straordinario di persone, situazione inedita e complessa che richiede un certo tempo per consentire alle varie amministrazioni di coordinarsi, prima di vedere risultati concreti. Occorre inoltre considerare che sono stati apportati adeguamenti alla procedura per fronteggiare alcuni dei problemi pratici sollevati dalla Repubblica Ceca. Il motivo di difesa addotto dalla Repubblica Ceca deve quindi essere respinto. Leggi anche Via libera alla relocation del migranti: la Corte europea dà ragione all'Italia |
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