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Data: 10/04/2020 09:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate di Annamaria Villafrate - La Cassazione con la sentenza n. 7701/2020 (sotto allegata) conferma il provvedimento della Corte d'Appello, che a sua volta ha confermato quella del giudice di primo grado, con cui è stata disposta la condanna della datrice a corrispondere al lavoratore un'indennità di licenziamento pari a 20 mensilità dell'ultima retribuzione al dipendente separato con un figlio. Non rileva che alcuni colleghi con un'anzianità lavorativa superiore e carichi familiari abbiano percepito una somma inferiore. Ciò che rileva è infatti la condizione personale del singolo lavoratore.
Indennità di 20 mensilità per il dipendente padre licenziato[Torna su] Un lavoratore agisce in giudizio per contestare il licenziamento intimatogli dalla s.r.l datrice. Il Tribunale accoglie in parte l'opposizione contro l'ordinanza emessa nella fase sommaria, dichiarando inefficace il licenziamento, condannando la datrice a pagare un'indennità pari a 20 mensilità dell'ultima retribuzione, oltre accessori e pronunciando la risoluzione del rapporto di lavoro. La datrice appella detta sentenza ritenendo eccessiva la misura dell'indennità riconosciuta al lavoratore. La Corte d'Appello però rigetta il reclamo e condanna la società a rifondere le spese del grado. La Corte ha tenuto conto nel rigettare il reclamo della datrice dell'anzianità di servizio del dipendente e della condizione di padre e di separato. Il giudice di primo grado quindi ha esercitato correttamente il potere discrezionale che gli è riservato dall'art. 18 della legge n. 300/1970. Datore di lavoro: colleghi con maggiore indennità di servizio[Torna su] La società datrice ricorre in sede di legittimità contestando la nullità della sentenza per motivazione apparente in quanto:
Confermata l'indennità più elevata per il lavoratore separato e padre[Torna su] La Cassazione lavoro, con sentenza n. 7701/2020 rigetta la doglianza sollevata dalla datrice perché inammissibile. Il primo motivo non individua infatti un vizio di mancanza radicale di motivazione o di motivazione apparente o perplessa. Non è possibile ai sensi dell'art. 360 c. 5 c.p.c censurare la correttezza logica del percorso argomentativo del giudice a meno che non risulti del tutto incomprensibile il ragionamento o la contraddittorietà delle argomentazioni addotte non si risolva nell'assenza di motivazione. La Corte d'Appello, per la Cassazione a dato conto dei motivi del reclamo formulati dalla datrice e li ha vagliati in modo critico, spiegando le ragioni per le quali il provvedimento emesso in sede d'impugnazione, ha deciso di confermare la sentenza di primo grado. |
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